martedì 1 aprile 2014

La Notte del Guerriero: parte 1 - Ouverture

Sabato 10 Maggio, terremo la 4° edizione de “La Notte del Guerriero”: otto ore di formazione marziale “non stop”, dalla mezzanotte alle otto del giorno successivo.
Su questo mio blog, nelle prossime settimane, con una serie di post successivi, anticiperò metodi e contenuti dello stesso. Chi si è iscritto, avrà un’idea di cosa lo attende, chi non ci sarà … avrà un’idea di cosa si è perso !!
Attendo commenti, suggerimenti, critiche, domande e quant’altro.


Dal punto di vista evolutivo è giusto che le immagini interne, pur essendo molto realistiche, non possano mai sostituire davvero quelle reali.
E' giusto perché, se potessimo saziarci solo pensando a un banchetto, non ci prenderemmo la briga di mangiare e presto ci estingueremmo.
Nello stesso modo, qualunque creatura si accontenti di immaginare orgasmi, difficilmente trasmetterà i suoi geni alla generazione successiva
(Vilayanur S. Ramachandran,)

Quando tocchiamo qualcuno, ne siamo a nostra volta toccati. La relazione sottile che scorre tra corpo e mente ( se mai si possa dividere l’uno dall’altra se non per necessità di dialogo, di comprensione) può essere chiaramente percepita toccando altre persone. L’arte del tocco e della riorganizzazione dei nostri riferimenti è una ricerca di comunicazione, è trasmissione e accoglienza di energia che fluisce in noi stessi e tra noi e gli altri.
Nel lavoro del tocco con le mani, entriamo in sintonia con i vari tessuti del corpo e con le qualità emotive  ad essi associate; ciò si realizza variando ritmi ed intensità del tocco, portando l’attenzione su particolari strati del corpo, accompagnando le linee di forza già esistenti, con ciò suggerendo nuovi riferimenti, nuovi schemi di pensiero ed azione all’altro e …. a noi stessi.
E quando tocchiamo noi stessi ? Ci tocchiamo con le mani, che è una possibilità, ma, sovente, ci “tocchiamo” con le sensazioni, ascoltandoci. A volte volontariamente, a volte involontariamente, solo perché qualcosa succede, qualcosa nel corpo, del corpo, ci parla.
Questo avviene continuamente, momento dopo momento, da soli o nel relazionarci con altri. Magari non ce ne accorgiamo, siamo sordi ai noi stessi, presi come siamo da quello che facciamo, travolti dal nostro stesso fare, ingorgati da un surplus di fare e fare e fare. Alte volte, ce ne accorgiamo ma non vi diamo peso, ci diciamo che  non è importante, che altre sono le cose importanti nel vivere. Questo, sia quando “l’autotocco”, l’induzione interna, ci da piacere, sia quando ci da malessere, dispiacere.
Piuttosto, ricorriamo ad un elemento esterno per sopraffare, dimenticare, quanto stiamo incontrando, quanto di noi stiamo toccando. Che sia una pastiglia  per “dimenticare” un mal di testa, una “sbronza” per “dimenticare” un amore tradito, una vacanza all’estero per lenire l’ammorbante stillicidio di tutti i giorni,
 uno shopping compulsivo o una sudata in palestra per “dimenticare” quel nostro quotidiano di lavoro o di affetti che ci soffoca, ci tarpa ali ed aspirazioni. Ma anche una “pastiglia” o “similpastiglia”, ovvero un qualsiasi corpo/ accadimento altro, estraneo, per dimenticare o vanificare quel momento di serenità, di gioia, di curiosità che ci spingono verso scelte di vita, persone, incontri, di cui temiamo le conseguenze: un appuntamento con un uomo o una donna che non sia il / la proprio/a; un’occasione di lavoro che tanto ci tenta nel suo essere così diverso da quello attuale; la struggente voglia di un abbraccio che non sappiamo chiedere; quella gioia inaspettata che ci dà la luce del mattino  e che fuggiamo spaventati rinchiudendoci tra le pareti  dell’ufficio; il piacere e la tentazione del letto caldo che ci  avvolge e turba il nostro senso del dovere, a tal punto da farci immediatamente alzare, prepararci e correre al solito luogo di lavoro.
Così, viviamo ( sopravviviamo?), negandoci al contatto, imbottendoci di sonniferi, che siano  sanitari o di altra fattezza, purché capaci di “curarci”,  stordirci e farci continuare una vita di mediocrità, di stenti emozionali e, sovente, di stenti, di malanni del vivere che si riversano sulla nostra salute fisica.
Poi, vecchi, magari coloriremo di avventure, di incontri straordinari, una vita intessuta, invece, di sentimenti ed emozioni ed incontri negati o “curati” con una o mille pastiglie medicamentali, di occasioni lasciate morire, di anafettività, di coercizioni imposte o subite, di consumo senza godimento.
Emozioni, sussulti, avventure ed incontri che, ohibò, la vita ci ha posto davanti, ma noi … non ci siamo fatti toccare o ne abbiamo ucciso, “medicato” e “curato”, il tocco stesso.
Questa “Notte”, sarà dedicata al toccare lasciandoci toccare. Fuori e … dentro.


Mentre tu sei l'assurdo in persona
e ti vedi già vecchio e cadente
raccontare a tutta la gente
del tuo falso incidente
( P. Trampetti - E. Bennato: http://www.youtube.com/watch?v=iXLwkczqHUM )

Post illustrato con immagini di Art Brut.
Per saperne di più:






11 commenti:

  1. Parole forti, dal sapore rancido come quello che hai in bocca dopo una colossale sbronza, amare come un narcotico che sale in circolazione..parole antiche, d'Ombra sotto il Sole, occhiali scuri e lenti spesse per non vedere dentro, per non mostrare? parole che mi riportano ai seminari di un tempo che fu "sapere nel profondo" ,conflittuali,letali,risolutivi, amalgame magiche,dense di emozioni e corpi fusi assieme.
    Marziale nel profondo, perchè il peggior nemico, siamo noi.
    curioso attendo, come in gran parte è in sti momenti del mio vivere,che la notte si schiuda e nuovi nati (o ri-nati?)serpeggino sulla Terra.

    Oss!!
    Gio

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  2. Io un suggerimento per la notte del guerriero ce l'avrei....qualche lavoro col coltello, quello vero...si può fare Tizi?

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  3. Quando Valerio ci ha proposto La Notte del Guerriero mi sono iscritta piena di euforia. Uno dei motivi che mi ha condotto al Dao è proprio l'essermi fermata urlando "Basta!": basta ad annegare nel fare, ad inventare scuse per non affrontare le conseguenze delle mie azioni.
    Ora sto iniziando ad ascoltare il mio corpo, ad aver fiducia in me stessa e ad amarmi...non è facile e sono consapevole di essere solo all'inizio di un lungo percorso! Alcune volte torno dal Dao stanca perchè è proprio in pedana che sto conoscendo me stessa, imparando che non sono solo mente ma anche corpo; così come non sono solo paura ma anche forza.

    Verrò alla Notte del Guerriero a toccare lasciandomi toccare, fuori e dentro!

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  4. Grazie per gli interventi. La prima parte della nottata di formazione, pur non toccando l'intensità dei Seminari "Sapere del Profondo" aprirà uno scenario di conoscenza che auspico interessante per tutti. Così sarà nel proseguire die momenti di formazione, tutti pronti a toccare pancia e cuore dei praticanti.
    In questo senso, ho previsto del tempo da dedicare alla pratica del coltello.
    Tu, Andrea, cosa vai cercando nell'affrontare l'essenza di una lama, di un'arma ?
    Mi aiuti a capire, perché io meglio possa costruire il "come" della pratica ?

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    1. Non mi sono mai chiesto perché mi piacesse il coltello...e perché non la katana piuttosto? adesso che me lo chiedi mi vien da dire che probabilmente cerco confidenza con un'arma che può tranquillamente essere vista come un prolungamento delle nostre braccia, quindi delle "armi" di cui siamo dotati per natura. Questo credo sia dovuto al fatto che in pedana negli anni abbiamo sempre cercato di trovare un nesso tra noi e le armi (bastoni, coltelli di legno, shinai, tanto, ecc) ma pochissime volte ho avuto occasione di farlo con un'arma vera. Forse tutto il lavoro che fate voi nel kenshindo è la stessa cosa ma rapportato a un'arma ben più grande, ma non so perché ho sempre prediletto il coltello al katana e, ahimè, lo abbiamo usato abbastanza poco negli anni.
      Mi fa molto piacere che anche tu ci avessi pensato per la notte o che lo fai per soddisfare le nostre richieste :)

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  5. La mia incursione qui, vuole essere solo la voce di un bel ricordo della mia unica presenza alla Notte del Guerriero di qualche anno fa. Dove dopo una notte buia, vidi per la prima volta il mio cuore sulla punta del katana.
    Un abbraccio.
    Gilda

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  6. Affiancare il lavoro profondo al lavoro di combattimento, a stretto giro di posta, rischia di essere uno shock, che porta a richiudere immediatamente ciò che a fatica si è aperto, così come può rappresentare un'opportunità per agire sè stessi ad un superiore livello di intensità e di presenza, per riconnettere il dentro col fuori, il segreto ed il sociale, e dare un giusto spazio ad entrambi. Si cammina sul crinale (da "crino": scegliere) di una sfida formativa pericolosa che, se ben ricordo, ha già mietuto le sue "vittime" nel novero di ex allievi, per l'appunto..... ex. Ancora, dopo molti anni e diverse esperienze, io stesso ho reticenze e timori verso questo percorso fosco ed incerto; mi ci butto perché sono matto e perché in esso riconosco uno spiraglio che si apre nella conoscenza di me, e quindi le motivazioni sono più pesanti delle riluttanze. Tuttavia, se scomparirò furtivamente nelle tenebre, se i miei occhi cominceranno a guizzare in cerca di una fuga o si annebbieranno ritirandosi in sé stessi, significherà che quella preponderanza delle motivazioni non è più così netta. Attenzione Tiziano, non siamo più bambini, la spregiudicatezza che avevamo è stata straziata e ridotta, fino a dimenticare la temerarietà ed il valore del pianto: ora siamo più deboli!

    "Un uomo non dovrebbe mai aver paura di piangere": cit. Rutger Hauer in "furia cieca"

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  7. Grazie Andrea per il tuo prezioso contributo.
    In realtà, in questi anni, al coltello, ovvero utilizzando l’arma vera e propria, abbiamo dedicato diverse serate, come ti può testimoniare il tuo maestro Giuseppe. Ovviamente, serate di formazione svolte nell’Honbu Dojo di Milano, più che in occasione dei Raduni e degli Stage.
    Serate che ho interrotto non tanto a seguito di una paio di incidenti di rilievo, che hanno richiesto l’intervento medico ed alcuni punti di sutura, quanto perché in essi ho letto un certo picco di tensione.
    Questo picco di tensione, da un lato è necessario per capire che impugniamo un’arma, niente a che vedere con fantasiosi ed irreali giochi, giochini, duelli e disarmi che puoi “ammirare” sia su “you tube” che dal vivo negli stage e che non risparmiano né Arti “tradizionali” (Karate, Judo e Aikido) né queste nuove scoperte machoparamilitari ( Krav Maga, Sistema, ecc.), tutti rigorosamente svolti con giocattoli di plastica o di legno; dall’altro pone il praticante davanti al dilemma “vita o morte”, con le conseguenze emotive profonde che ciò comporta. O meglio, le conseguenze di cui il praticante può farsi carico o meno.
    Come sai, modi ed obiettivi con i quali io intendo praticare Arti di combattimento nel terzo millennio, non hanno nulla a che vedere con modi ed obiettivi che si propongono le altre Scuole tutte ( troverai di ciò in molti miei post su questo blog, per cui non mi dilungo).
    Per farla breve, il praticante che, in formazione, impugna il coltello e lo usa contro un altro essere umano, quando ne incontra lo spirito assassino deve, per me, fare i conti con questo spirito, con il dilemma “vita o morte” anche e soprattutto nel suo quotidiano. Se vedo che, nella vita privata, i turbamenti dell’arma non hanno lasciato alcun segno sostanziale, ritengo che sia inutile continuare a “turbare” chi dorme, e profondamente, dentro e fuori la sua vita. Oppure, inversamente, è arrivato il momento di sospendere la pratica dell’arma perché, finalmente !!, qualcosa sta germogliando nel praticante.
    Ancor più se, come è capitato ad alcuni miei allievi, nonostante l’arma, ovvero un oggetto che penetra e taglia, anche solamene in pedana, questi lo gestiscono come fosse un giocattolo della “Giochi Preziosi”, o lo stecco di un gelato !! Due colpi in pedana, tanta trascuratezza, entrambi forieri di possibili ed inutili ( in quanto non terapeutici) danni ad un compagno, e tutto finisce lì… “dormienti”, supini ripetitori di un “copione” nella loro vita privata,
    Per questo sono un paio d’ anni che di coltello non tiriamo più.
    Lo ripresenterò al “Notturno”, un po’ per vedere come ci si rapporteranno i “vecchi” di pratica, molto per capire dei nuovi, di coloro che poco o nulla hanno masticato di acciaio, sangue e turbamenti. Per annusare quanto stanno con me, stanno allo Z.N.K.R., per conoscersi, capirsi, accettarsi e, ognuno con i suoi mezzi, cambiarsi, quanto, invece, io e la Scuola siamo solo un “parco giochi”, un “intervallo” nel loro dormire …..
    Poi, lo sai, con me e allo Z.N.K.R., c’è posto per tutti, anche per chi non usa ( spreca ?) una simile ghiotta occasione.
    Ah, avevo già in programma per chi non se la sentisse di impugnare un’arma ( ed una mail “privata” di uno di voi, mi conferma quest’esigenza ) di organizzare un momento formativo alternativo, affidato ad uno dei Maestri che compongono la Commissione Tecnica della Scuola.
    Ad ognuno, il suo per quel che si sente.

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  8. Sì Gilda cara, ti ricordo a quel “Notturno”. Anche se l’immagine di te, impugnando un katana, che più mi è rimasta dentro è legata ad un Seminario nella tua terra. Un’estate, tra le colline marchigiane, ti vidi guerriera forte e tenera insieme, determinata e gentile. Poi, fu il cielo della notte ad inghiottire lentamente il bagliore di una lanterna che si perdeva in alto, in alto, fino a scomparire.
    Un ricordo che sento vivo anche ora, a distanza di anni. E, lo so, il mio è un sentimento stupido ed egoista, ma io continuo a nutrire la speranza di rivederti ancora, piccola bionda guerriera, sfoderare l’acciaio affamato e sorriderne.

    Grazie Davide per il tuo sincero intervento. Starò bene attento a guidarvi con forza, ma anche tanta leggerezza, lungo il nostro percorso marziale notturno. So che saranno i misteri della notte, le diverse anime che ne agitano il lento scorrere, a comporre l’armonia del vostro stare, e come stare, nel percorso. Sarà quest’alchemico e sapiente dosarsi di ingredienti, a decidere se e quando portare Aya, l’atto con cui il giocatore di Go si appresta a catturare un pietra dell’avversario. Quell’avversario che, per noi, siamo noi stessi.

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  9. Bè ovviamente so che ci son state molte lezioni di coltello a cui non ho partecipato, ahimè non potendo iscrivermi in entrambi i dojo...cmq la mia voglia di lavorare il coltello forse è dovuta proprio al fatto che non ho ancora trovato quella confidenza con la lama di cui parli, o meglio quel qualcosa che ti fa decidere se andare avanti e studiare a fondo la cosa o smettere perché non la senti tua!

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  10. E coltello sia !!
    Poi, ogni praticante, farà i conti, se lo vorrà, con quel che avrà incontrato.

    PS) Non ho capito l’affermazione sull’iscrizione. Ma, probabilmente, non è importante.

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