martedì 3 marzo 2015

33° Kangeiko. Stage Invernale


“Due strade divergevano nel bosco ed io… io scelsi quella meno battuta e questo fece la differenza”
(R. Frost)

 Freddo e cielo sereno e vento e verde sterminato affogato nel bianco mantello della neve. Chiazze di fango scuro, melma vischiosa come bava di un enorme insetto immondo che lì si sia rintanato. Folate di aria fredda, unghiate perverse a graffiare i volti.
Pratica del combattere, formazione marziale, formazione allo scontrarsi duro e incessante, sempre mutevole. Come avviene ogni dì, con noi stessi e con gli altri. Sempre che a noi stessi non mentiamo, fingendo ed inanellando perle scadenti su di un filo che, con gli anni, pesa quanto una catena. Sorta di collana degli inganni e delle bugie, delle proiezioni sugli altri e delle fughe vigliacche da sé, che, col trascorrere del tempo, diviene una massiccia catena della schiavitù.
E siamo qui, forse, mi auguro, cacciatori di quella preda che siamo nuovamente e solo noi, cercatori di quell’oro e di quelle miserie che si trovano innanzitutto dentro di noi, viaggiatori intrepidi dentro quel territorio infinito e mutevole che, ancora una volta, siamo noi.
Altrimenti, che ci faremmo al freddo, esposti alle legnate gelide del vento o del compagno di fronte ? Che ci faremmo, nell’ora buia che raccontano le fiabe del terrore o ai primi sorrisi di un sole incerto, a tirar di coltello o a danzare Tai Chi ?
Che ci faremmo, dagli amici dell’Agriturismo “Il Palazzino, in quel di Maserno – Montese, per il nostro Tradizionale Kangeiko, lo stage invernale ?
Almeno per me, questo è il sentire autentico, anche doloroso, ma mai banale, fittizio. Piuttosto sempre a vivere di autentica vitalità, anche quando permeata dall’abbraccio dolente della melanconia o avvelenata dai miasmi acri del “mal di vivere”. A lottare con e contro una realtà psichica, fisicoemotiva, scissa ed alienata per abbracciare trasformazione e creatività, violando così i cancelli della delusione del desiderio, le pulsioni di annullamento e di stolido oblio drogato.

Danziamo Tai Chi Chuan, ascolto del corpo e traslocazioni spaziali generose, contenuto forte in una forma fluida intimamente connessa. Chi è “nuovo” all’esperienza, scopre un’Arte  ben lontana dalla ginnastica che viene mostrata, e venduta, ovunque: goffa paccottiglia di nomi cinesi, figure di una natura e di una cosmogonia animalesca posticcia, al servizio di gesti sconnessi e malconci. Scopre una fare che amplia le risorse del movimento, libera dolcemente parti del corpo prigioniere di ogni senso di colpa e di inadeguatezza, forgia nuove vie di comunicazione ed espressione artistica, fino a denudare ogni resistenza del praticante perché questa resistenza egli accolga come parte integrante di sé.

Lottiamo, ci scontriamo, di pugni e di calci, di gomitate e di leve articolari, di proiezioni al suolo e di strangolamenti, terreno grande del nostro fare Kenpo.
Facile occuparsi solo del rissare, del “menar le mani”, del prevaricare l’altro. Preferisco invece guidare i praticanti lungo l’esplorazione delle loro resistenze motorie, dei movimenti parassiti, dispersivi, forzati. Quelli che mostrano impietosi la difficoltà, persino l’ansia, dell’individuo nell’accettarsi come nell’accettare lo sguardo (il giudizio) degli altri; dell’individuo che cala, pesante come una mannaia, un giudizio negativo su ogni suo gesto ancor prima che questi sia ultimato; che si fa sordo di fronte al canto delle emozioni; che sfoggia muscoli e sudore machista per non guardarsi nudo dentro; che inanella gesti belli, quelli che il Karate d’Okinawa chiamava spregiativamente “la mani fiorite”, per tinteggiare di nuovo un corpo/cuore distante.

Le mani dispensano energia nello spazio così come i piedi, forti nel terreno, ne assorbono l’energia. E sono le coltellate feroci del nostro Knife Kenpo Fencing. Sono tagli a vorticare a ridosso della pelle del compagno, a segnargli di rosso, striature  fameliche nel loro chiedere sangue e tessuti da lacerare, il viso e la gola. Acciaio luccicante o brunito, comunque strumento di macellazione e  morte.

Forme patenti, ineludibili e terribilmente sincere, di ogni relazione sana. Quelle che, nascoste e “politically correct”, sono il rispetto e l’interesse per l’interlocutore e ciò che rappresenta, l’ascolto simpatico / empatico di ciò che ci dice e ci mostra, il modo umile e semplice con cui a lui ci approcciamo e tanto altro ancora.
Tanto altro che, chi lo ha voluto, ha potuto ri – scoprire in questo nostro 33° Kangeiko, lo stage invernale. Ri – scoprire di sé e del proprio stare al mondo. Altrimenti, per quanto mi è dato comprendere, sarebbe stato più semplice e godereccio restare a casa, nel proprio tranquillo tran tran domestico. Senza farsi del male, col freddo e con il buio, con i pugni e le bastonate; soprattutto, senza farsi del male guardandosi dentro.

 “Abbiamo davanti agli occhi i peccati degli altri uomini, ma i nostri li portiamo sulla schiena”
(Lucio A. Seneca)








 

1 commento:

  1. i cuori intrepidi nella Terra infausta
    all'arrembaggio di noi stessi,
    selvatici indomiti ai colpi di frusta
    tra un pugno e una lama, sorrisi sì espressi

    e dall'interno di un mostro di fango
    due cuccioli con artigli da leone
    ne escon saliti di rango
    e tra le mani la cinta marrone

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