“Alcune
volte vinci. Tutte le altre volte, impari …”
(detto giapponese)
by newcastlemale |
Mi
muovo in uno spazio angusto, tra sedie, scrivania e pochi mobili. Alle pareti
la bandiera del TAO, i nunchaku e l’anello di bambù del Wing Chun. Poi alcuni
quadri che offrono frasi motivazionali ed ancora oggetti d’Oriente: Il bokken
di bianco legno levigato, il porta incensi …
Chiuso
in ufficio, ripercorro le strade del Tai
Chi Chuan.
L’ampia finestra che dà sul parco illumina di
un candore debole la stanza. Io scivolo sinuoso, quasi elegante, fendendo
l’aria immobile. Odori di essenze, eucalipto e menta, si levano tra le volute
del fumo che il vaporizzatore sciorina come stanche litanie di un rosario senza
tempo.
Le
sorti di ogni conflitto, di ogni contrasto, sono per lo più affidate alla
capacità del contendente di poter contare sul maggior numero possibile di
opzioni; di scegliere strategie differenti e, in esse, avvalersi di più
tattiche; di anticipare i mutamenti o, almeno, sapersi adattare rapidamente.
Dunque
mi muovo impetuoso in attacco, onda furibonda e cieca di ogni possibile
ostacolo, per poi sgusciare via lontano dalle fauci aperte della fiera che ho
di fronte; ne avvolgo l’ostilità tra forme e gesti spiraloidi che danzano nello
spazio cerchio dentro cerchio, cerchio sopra cerchio per poi, di nuovo,
piombare diretto e frontale.
Alterno,
confondo, mescolo, novello alchimista del combattere, gesti e spostamenti come
fossero materiali per chissà quale intruglio, chissà quale miracolo di
trasformazione. Espongo e nascondo, giochi di irriverente destrezza, danza di
un potere occulto come fossi un illusionista: un po’ spavaldo e malvagio Dark
Shneider, un po’illuminato dottor Strange.
Escapologia,
l’arte dell’evadere, mai disgiunta dal
feroce spirito guerriero di un
berserker, i combattenti nordici animati da potente trance distruttiva, o di un
samurai, il cui voto alla morte conduceva a duelli impossibili.
by MorganeS |
Danzo
Tai Chi Chuan, accogliendo ogni sensazione,
in questo che è un percorso
fisicomoetivo.
Di
più, scelgo ogni sensazione come fosse un’arma, come un’arma la conosco nelle
sue possibilità, come un’arma la brandisco per quello che è in grado di fare.
Guai
a sbagliarsi, a confondere scudo con coltello, a credere di tranciare con in
mano una lancia o tirar di stoccate con un machete, di giostrare di lancia in
uno spazio angusto e chiuso o di schermare con una scure.
Umiltà
nell’accostarsi alle sensazioni, alle emozioni, a chi le “armi” ce le mostra e
ce ne propone il differente uso. Dunque anche umiltà verso noi stessi, che
siamo i primi nostri stessi “Maestri d’arme” se lo vogliamo davvero, e coraggio
nell’imparare. Anche quando ciò costa fatica e dolore, la fatica del nuovo che
non si conosce e il dolore del vecchio da cui ci allontaniamo. Via la maschera,
la corazza delle frasi, degli atteggiamenti che ci diciamo per sminuire noi
stessi o il “Maestro d’armi” che ci sta davanti, ma in realtà diamo solo fiato
al nostro orgoglio di bambino bizzoso.
Quando
l’istruttore di sci ti spiega di tenere il peso a valle, subito, d’acchito, ti
rifiuti , temendo di perdere l’equilibrio e di cadere, che il peso a monte ti
rassicura. Certo, sei già disceso, a tuo modo, sulla neve, ma quel tuo incerto
“spazzaneve”, tra tentennamenti e cedimenti, lo chiami davvero “sciare” ?. Quando
l’istruttore di roccia ti spinge a tenere distante la parete così da vedere gli
appigli, tu ti ci appiccichi, temendo il vuoto e la caduta. Certo, da ragazzo,
ti sei già arrampicato sull’albero in giardino o sul muretto dietro casa, ma
quel tuo goffo salire di un paio di metri, tra sbuffi e rantoli e smanacciate,
lo chiami davvero “arrampicata” ?
Come
ti stai emozionando, ora ?
Da cosa stai fuggendo, ora ?
Torace
caldo, umido dei primi sentori di sudore sotto la maglia. Davanti a me, sulla
porta chiusa, campeggiano disegni e bigliettini di mio figlio Lupo: sono anni
di innocenza e fanciullezza aperti sul presente. Un presente che, ora, lascia
la danza del Tai Chi Chuan per
incontrare i primi clienti.
Tra
poco, entrerà Debora. E’ il secondo colloquio a distanza di due settimane.
Starà a me accompagnarla lungo un confronto che so già intessuto di “Tanto ti assumono solo se conosci qualcuno”,
“Mica sono l’unica disoccupata”, “Io volevo fare l’artistico, ma i miei
genitori non hanno voluto” ecc. ecc.
OK
ma … se saprò danzare Tai Chi Chuan,
una danza col culo seduto sulla seggiola ma danzata di immagini e frasi e
ascolto e affondi ed evasioni e attacchi improvvisi per poi ritirarmi e
lasciare a lei l’iniziativa; domande aperte che la conducano verso domande
chiuse; se saprò comunque scegliere strategie e tattiche adattandomi a lei ed
alla sua specifica situazione, forse aprirò il conflitto verso nuove vie, forse
lei vedrà una strada da seguire invece di fermarsi nel pantano
dell’autocommiserazione, nel giardino sfiorito in cui vegeta tra alberi
stortignaccoli, miasmi prepotenti ed una siepe buia e alta che le impedisce di
vedere l’orizzonte. .
Dipenderà
molto dal mio variegare, flettere e lanciare il mio Tai Chi Chuan …
(R.K. Morgan)
Nessun commento:
Posta un commento