“L’abilità
umana più importante è comunicare e si esprime in quattro modi: leggere,
scrivere, parlare e ascoltare. Fin da piccoli, siamo stati abituati a imparare
le prime tre abilità; della quarta, nessun maestro si è mai preoccupato”(D. Cesana)
Cominciamo
con l’affermare che
“uno”
non sceglie / compra prodotti, servizi, idee, ma compra i modi in cui ci si
pensa di sentire usandoli.
Nulla
di male in ciò. Però esserne consapevoli non sarebbe meglio ? Magari questa
consapevolezza porterebbe anche ad una
scelta diversa oppure, nel confermare il prodotto scelto, potremmo davvero
vantarci ( e assumerci la responsabilità) che è quello che vogliamo veramente,
con tutto noi stessi.
Sicuro che quell’automobile sia davvero quel
che ti serve o stai privilegiando come ti sentirai avendo le chiappe sul sedile
di quel mezzo di trasporto ?
Potrei
approfondire aggiungendo che
“uno” non compra o vende prodotti, ma relazioni umane.
Quando comperi l’abbonamento in quella
palestra, comperi anche un certo tipo di relazioni umane, non solo per quel che
accade dentro la palestra vera e propria, ma anche per quel che ciò significa nel tuo rapportarti
con amici, familiari, conoscenti tanto quanto con le relazioni che andrai ad
instaurare con le mille parti che ti compongono e… in virtù di quella scelta in
quella palestra, qualcosa di te, del tuo mondo e del tuo modo di pensare ed
agire, ne verrà cambiato.
Nessuno
di noi è una monade e il semplice vivere è comunicare / relazionarci, ovvero
cambiare ( magari senza accorgerci della direzione presa o trovando più comodo
e deresponsabilizzante fingere di non accorgerci !!
Ormai
è un fatto conclamato che la quantità e la qualità delle nostre relazioni con
gli altri sono tra i fattori che più incidono, nel bene o nel male, sulla
qualità della vita.
Anche
in virtù di ciò, non solo le nostre scelte ci influenzano, ma noi stressi siamo
influenzati dalle relazioni in atto nello scegliere un prodotto o un servizio
piuttosto di un altro.
Sovente
compriamo credendo che ciò che abbiamo acquistato per noi sia davvero per noi e
non pesantemente influenzato dal parere o di situazioni che altri vedono e
giudicano del prodotto scelto.
“Basterebbe
focalizzarci su come ci vediamo allo specchio: la convinzione che ciò che
indossiamo ci stia bene è in relazione non solamente a ciò che realmente
vediamo, ma anche e soprattutto a un modello mentale dell’immagine attesa di
noi stessi con indosso quel capo d’abbigliamento e a quanto i contesti
potenziali di contorno possano interagire per migliorare (commessa) o
peggiorare (fidanzata) questo differenziale percettivo”. (D. Cesana)
In
questa morsa, l’individuo si vede alla fine spinto a costruirsi una facciata
socialmente desiderabile, magari simile ai sorridenti e vincenti modelli
offerti dalla televisione e dai mass media.
Se
l’operazione ha successo, gli altri individui la restituiscono come specchi; ma
quest’immagine, che si è voluta dare, è, almeno inizialmente, estranea al suo
stesso autore.
La
paura del giudizio altrui blocca la spontaneità; le persone più vulnerabili si
vergognano di mostrare la propria umanità, preferiscono nascondersi e recitare
una parte standard.
Alla fine, non si riesce più a condividere i
propri stati d’animo con nessuno, nemmeno con se stessi. E, spesso, si finisce
per diventare quella “maschera”, quel “ruolo” inizialmente
giocato solo per “cantare nel coro”, per soddisfare esigenze non autenticamente
nostre.
E
se uno che non è “uno”, consapevole delle due premesse qui esposte, volesse scegliere
comunque, razionalmente ed emotivamente,
per sé ? O almeno provarci ?
Sarebbero
c…. amari !!
Non
solo perché questo lo porterebbe ad una differenziazione sospetta agli altri,
ma anche perché lui stesso negli altri coglierebbe con precisione, antipatica a
costoro, l’indifferenziato schiavismo di scelte e ripetizioni.
Voglio
dire, “uno” può anche ascoltare ed apprezzare una canzonetta pop di questo o
quella, ma se la sua lunghezza d’onda musicale è stabilmente sintonizzata su
quel genere, il suo sentire musicale, il suo emozionarsi sonoro, diverrà, col
tempo, un identico piattume e .. pattume.
Se
ti fumi e ti godi un paio di sigarette al giorno, e goditele; se ti fumi un
intero pacchetto, sei probabilmente un dipendente da nicotina, sicuramente uno
con i polmoni ( e non solo loro) malandati. Se poi ti andasse di essere un narcodipendente
e in perenne odore di malattia, OK,
fatti tuoi ( che investono però il relazionarti diverso / malsano con gli
altri) Basta che tu non finga di non saperlo, non faccia spallucce come se non
fosse vero, perché saresti in malafede.
Chissà
perché, se questo vale per il fumo, spesso per “uno” non vale per musica,
attività motoria, letture, genere di compagnie, ecc. ecc.
Non
è che la quantità in cultura / beni culturali / passatempi ecc. non incida
quanto la quantità in cibo “materiale” e tutto quanto identifichiamo come
materia !!
Non è che la stupidità culturale, il veleno
culturale, sia meno pernicioso di quello che intacca la salute fisica !!
Mi
trovo a riflettere sulle mie scelte: Innalzare il praticare marziale a forma
terapeutica quanto a chiave di lettura del vivere quotidiano; vestirmi
privilegiando la comodità dei movimenti al gusto estetico via via dominante;
studiare saggi di diversa estrazione, informarmi attingendo a diverse fonti comprese
alcune minoritarie; ecc. ecc.
Attenzione,
non sono un “talebano” del serio e serioso, dell’impegnato. Tutt’altro. Solo
lascio che le letture “fantasy”o la visione di una partita di calcio non siano
la norma. Di più, mi trovo ad attingere anche a loro per capire di più di me e
di come stare al mondo.
E’
dura, ma preferisco questa solitudine a quella dei tanti “uno” che masticano le
stesse cose, condividono le stesse scelte di massa nell’andare in palestra a modellare
il fisico; acquietarsi davanti a fiction e talk show riempiendo la serata con
“zia” televisione; affollare face book dichiarando (a chi ?) dove sono stati a
mangiare o l’aver raggiunto il livello XY nel tal gioco virtuale o pubblicare a
raffica frasi e citazioni di altri, mai affrontando un discorso, una
riflessione autonoma, di sé e del proprio sentire; indossare jeans e i capi d’abbigliamento consentiti dalla
moda del momento; e vuoi non farti un tatuaggio ? (1) e vuoi non domandare “Che
lavoro fai?” appena incontri una persona ? (2) ecc.
Questi
“uno” per cui la solitudine dentro, in realtà: “immersi nella folla della città, a contatto con colleghi e vicini,
sembra l’ultimo dei problemi, ma la solitudine, quella subita più o meno
consapevolmente, è terreno di coltura di molte patologie, comun denominatore di
tutte le malattie mentali, causa ed effetto di qualsiasi dipendenza” (O.
Castellani).
Che
nel gregge, le pecore sono “uno” indistinti. Nel branco, il lupo è tanto uno
unico quanto parte. Ma già, il lupo mette paura …
(O. Castellani)
1. No, “uno” non incide sulla pelle un
simbolo, un richiamo ad un evento fondamentale nella sua vita, un accadimento
che l’ha segnato dentro. Piuttosto un delfino, una rondine, il “tribale” che va
tanto di moda, il proprio nome tatuato in caratteri giap (o cinesi ? o
vietnamiti ?, Va bè, tanto fa lo stesso, “uno” nemmeno li conosce quelle lingue
e quegli ideogrammi) da un tatuatore italiano che, assai probabilmente, anche
lui, quella lingua non conosce.
2.
Che ne direbbe il gentile “piccolo principe” di Antoine-Marie-Roger de
Saint-Exupéry ? I grandi amano le cifre.
Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose
essenziali. Non si domandano mai: "Qual è il tono della sua voce? Quali
sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?" Ma vi domandano:
"Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo
padre?" Allora soltanto credono di conoscerlo.
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