venerdì 1 aprile 2016

Into the Woods

























Alla ricerca di un film da guardare tutti insieme,
la scelta cade su “Into the Woods”.
Ed eccoci tutti e tre, più Kalì acquattata accanto, sul divano: inizia !!

Il film è la trasposizione cinematografica di un musical della metà degli anni ’80, in cui convivono quattro celebri fiabe (Cenerentola, Cappuccetto Rosso, Raperonzolo, Jack e la pianta di fagioli) unitamente alla presenza di una strega prepotente  e alle speranze genitoriali di una coppia di fornai.

Il cuore del film, dopo un avvio simpatico che già promette sviluppi impensati, prende forma quando le diverse storie confluiscono in un enorme bosco.

Il bosco rappresenta il rito di passaggio, quell’esperienza della vita che porta, anche attraverso l’incontro con le parti più oscure di noi, alla perdita dell’innocenza. Un passaggio obbligato nella vita di ogni individuo che lo aiuta nella crescita interiore. Aiuta sì, ma sta a chi si perde nel bosco lavorare per trasformarsi, altrimenti ne uscirà “innocente” (stupido ? superficiale ?) come prima.
Per diventare adulti è imprescindibile imparare ad affrontare da soli tutte le difficoltà della vita, non facendolo, si resterà bambini. Ovvero incapaci di dominare l’ambiente, stretti nella morsa della paura, incapaci di accettare la realtà com’è e sempre volendo, pretendendo, quello che non c’è

E’ qui il caso della matrigna e delle sorellastre di Cenerentola, che si dichiarano non atte a combattere la gigantessa e tornano precipitose al villaggio d’origine. Il film non ce lo mostra, ma noi sappiamo che il villaggio non c’è più, distrutto dalla gigantessa stessa. Dunque, costoro, nel tornare, restano in realtà sospese in un limbo di “innocente” superficialità, in uno spazio – tempo insulso e non reale. Eterne bambine.

Altri, nel bosco, posti di fronte ai propri limiti, iniziano, volenti o meno, un personale “viaggio” interiore.
Perché il bosco è spazio oscuro ed incantato, dove emergono le paure più folli ed i lati più oscuri delle persone che vi sono costrette.
In un clima di disordine totale, con la sensazione che forse non ci sarà un domani e di essere costretti in un perpetuo presente senza conseguenze, c’è chi scappa, chi abbandona, chi tradisce, e c’è chi, disperato, accusa tutti gli altri per trovare una giustificazione al proprio fare e al male che si è scatenato.
Un male che scopriamo non nascere dalla volontà di una singola persona, quanto dall’insieme di piccoli gesti, desideri e scelte, apparentemente comprensibili che, invece, una volta inevitabilmente in relazione tra di loro, conducono a conseguenze dal sapore catastrofico.

Contrariamente alle versioni edulcorate che ci sono note, il film riprende, a suo modo, le caratteristiche truculente delle fiabe così come erano in origine.
Soprattutto, la distinzione tra bene e male non è affatto netta, delimitata.
Qui non vediamo l’eroe convenzionale e rassicurante, il personaggio tanto attraente da permettere una immediata e facile identificazione da parte del bambino spettatore.
Qui tutti si perdono, poi si ritrovano e di nuovo si fuggono, a volte desiderando smodatamente altre aggrappandosi ossessivamente ai propri desideri.

E, nel film, la fiaba torna ad essere  terapeutica perché lo spettatore trova ( se lo vuole) le proprie soluzioni meditando sullo svolgersi delle vicende che più rispecchiano i suoi conflitti interiori in quel momento particolare della sua vita, senza far riferimento mai a fatti reali, in un contesto fantastico ( protetto ?) tra principi, carrozze, uccellini che capiscono la nostra lingua, mucche che ingoiano mantelli e scarpette …
Ciò rispecchia, di fatto, il funzionamento della nostra mente, un campo aperto dove tutto è pensabile, anche il fantastico, purché ci aiuti poi nel quotidiano sfangare di tutti i giorni.

Attenta alla favola che racconti.
Quella è l'incantesimo. I figli ascolteranno.
Attenta prima di dire: "ascoltami".
I figli ti ascolteranno.
Attenta a ciò che desideri. I desideri sono figli.
Attenta alla strada che prendono
I desideri si avverano. Ma a un prezzo.
Attenta all'incantesimo che fai. Non solo sui figli.
A volte l'incantesimo può durare più di quanto non immagini.
E rivoltarsi contro di te.”

Così recita la canzone finale. Ed io, da genitore così come da “sensei, da conduttore di gruppi, non posso che riflettere sulla forza pericolosa di queste parole.

Nessun commento:

Posta un commento