“Tu non segui
l’esempio, sii tu stesso l’esempio”. Queste parole sono scolpite indelebili
nel mio modo di proporre la pratica marziale, a comunicare all’allievo di
dimenticare chi sia per lui testimone a cui rimettersi per essere invece lui
stesso attore e testimone di quel che fa, del clima culturale che lui stesso va
contribuendo a costruire in Dojo, attore e insieme testimone, in un processo di
relazione e relazioni che travalica il luogo “Dojo” e la stretta pratica
marziale, della società e dell’epoca in cui è calato.
So che insieme, io lui, il gruppo tutto dei praticanti che
mi circonda, stiamo costruendo un sogno, non credendo a nessun altro e con la
convinzione di demolire tutte le mura issate attorno.
Nulla, stereotipi “marziali”, paccottiglia diffusa ovunque
a piene mani da macho men dallo sguardo truce o simil soldatini in divisa
acquistata al mercatino dietro l’angolo (e la giovane età testimonia che
nemmeno la naja, l’obbligo di leva, hanno assolto), o da efebici intellettuali del
verbo mistico a cui mai una goccia di sudore o un paio di sberle sul muso hanno
fatto visita, offusca il nostro incedere.
Noi sappiamo che gli uomini sono prima emozione, poi
pensiero e solo dopo logica riflessione.
Quando siamo faccia a faccia, in un reciproco guardarsi
attento, a tentar di capire se stiamo andando “a male” o, come sembra, stiamo
rivoltandoci dentro, respirando in altri mondi, sguazzando di calci e pugni in
altri mondi. Mondi che poi siamo ancora noi, noi dentro.Perché, quando siamo faccia a faccia, stiamo vivendo in questi altri nostri, personali, mondi.
A volte, sono strappi di adrenalina, altre, sono melodie
cinetiche, altre ancora sovviene la tentazione di volgere lo sguardo, e non
solo quello fisico, verso il basso e tornarsene fra “nani e ballerine”.
Il freddo che sta fuori, sappiamo non ci sarà dentro,
nemmeno l’appiccicoso buonismo per cui un “No” debba sempre essere educato,
persino esitante, ma nemmeno il “va ffa…” sbraitato per ignoranza codarda.Solo, tentiamo di non negarci al sogno, coltivandolo ed accudendolo perché, fuori di qui, fuori dalla metafora del dojo e del lottare, non svanisca, piuttosto intendendolo vivere ad occhi aperti, a cuore aperto.
E ci chiediamo adesso, qui ed ora, dove siamo, cosa stiamo
facendo, come faremo a capirlo, se divelliamo ogni indicatore di direzione,
ogni obbligo di direzione.
Allora, ombre nere sguscianti a tracciare macchie
indistinte contro questi muri così bianchi, bianchissimi, almeno per quel pugno
di ore, non siamo più, non siamo mai, spettatori esterni, ma siamo insieme
l’opera e chi l’opera va edificando.
Fuori di qui, tra le vie di Milano e altrove, il mondo
altro non si è mai fermato, il consumo senza uso e i battaglioni di amebe la
fanno da padroni.
Noi qui ci siamo vestiti di sangue e sudore, di ferocia ed
amore, di fragile forza umana, di sorrisi e incessante ricerca interiore Se poi
sarà stato solo un breve delirio, una fuga in avanti simile a “mosca
cocchiera”, o se invece antichi valori inizieranno a ri – costruirsi dentro
ognuno di noi per essere portatori sani di un mondo diverso fuori, allora
nessun tempo, nessuna energia, sarà stata spesa invano.
Vittoria o sconfitta non importa, l’etica del Bushido ci
impone la nobiltà nella sconfitta stessa, se la battaglia l’abbiamo ingaggiata.
Da Davide, in viaggio lungo le terre d’India dalla metà di Agosto, ricevo quanto.
RispondiEliminaPurtroppo i mezzi informatici l’hanno tradito, dunque sta a me renderne fattibile la pubblicazione
"Benché lontano, per quanto lontano ci sia ancora da andare, porto con me, ambasciatore silenzioso, i frutti colti allo znkr; perché il viaggio intrapreso nacque, in me, come idea, fino a farsi sentire come esigenza, grazie alla libertà acquisita scontrandomi con voi tutti, ed a ciò va ascritto.
Il paziente lavoro sul corpo, il lento tornare alla sfera dell'essere, un tempo antagonista solo dell'avere, oggi anche del ben più temibile sembrare, hanno una valenza che non si apprezza mai a sufficienza".
Grazie Davide per l’intervento.