Questa volta, a teatro ci vado da solo.
Davanti al botteghino c’è tanta, tantissima gente.
Soprattutto giovani, probabilmente studenti universitari.
La sala è colma, nemmeno una poltrona vuota.
Sul palco, una giovane donna nuda, seduta su una seggiola
da giudice di tennis, in mano un microfono.
Squittio di una voce femminile che, nel corso della serata,
assume tonalità diverse, sempre coinvolgenti nella loro musicalità a volte
profonda, greve, altre altisonante.
Monologo di giovane donna bassina e dalle cosce grosse,
forse qualcosa di strano in testa, a confidarsi delle sue paure, delle sue
strampalate convinzioni, dei suoi incontri veri o immaginari. Una che ci prova, o forse no, a farsi strada in
una società dove contano le belle, le forti, quelle decise, quelle che sempre
ce la fanno.
Monologo di ironia al vetriolo, di una resa invincibile, di
piccoli gesti quotidiani, di scorrettezza profusa a piene mani, alla faccia
delle buone maniere e del “politicamente corretto”.Monologo di disperazione stravagante, persino innocente, di tagli nel cuore che paiono sbuffi di panna ma la panna, ad assaggiarla davvero, sa di acido, sa di stantio.
E merda mal trattenuta che fuoriesce da un corpo costretto,
lei così bassina e dalle cosce grosse, a rimpinzarsi, a gonfiarsi, sorta di
ideale boteriano, ad espandersi in volumi enormi, in volumi esagerati.
E merda rimangiata, che l’obiettivo è vicino, così vicino,
ad un passo.
Anche se l’obiettivo, in fin dei conti, è una particina in
uno spot pubblicitario cercata dentro ad un malandato garage. Specie di
tentativo goffo ed autolesionista di uscire dall’anonimato per apparire e con
ciò credere di autenticamente essere.
Chissà perché mi vengono in mente i post su fb dove un
Tizio pomposamente comunica che è al tal ristorante, una Tizia, con figlioli
distratti al seguito, si mostra sorridente sulla soglia di un anonimo
appartamento di un anonimo mare, un Tizio si fotografa le scarpe di marca, una
Tizia, visibilmente attempata, pubblica una sua foto e giù commenti strepitosi
nel loro essere leccaculo e “come sei
bella” e “per te il tempo non passa
mai”, un Tizio comunica che lui sì che è un uomo “arrivato”, sorta di tardo
epigono dell’uomo che “non deve chiedere mai”, una Tizia dichiara che i gatti
sono molto meglio degli uomini, un Tizio…
Ognuno (inconsapevolmente o non vuole guardarsi dentro?) “giovane
donna bassina e dalle cosce grosse, forse qualcosa di strano in testa”. Ognuno
nella sua personale merda a soffocarsi dentro il totalitarismo della società del consumo senza uso a cercare
di farsi notare, non importa come, importante è apparire, importante è
nascondere i propri piccoli mostri e mostrarsi luccicanti, splendenti.
Sì che il padre della nostra “giovane donna bassina e dalle
cosce grosse” glielo ricordava spesso che pure i mille di Garibaldi erano
bassini, tanto bassini che la loro camicia rossa farebbe da vestitino ad un
giovane di oggi. Eppure, questi bassini ma tutti belli, ovviamente, fecero una
gran cosa, fecero l’Italia.
Mah, forse, a ben guardare, non è che quest’Italia sia poi
una gran bella cosa.
E chissà se tutti questi giovani, che hanno riso spesso durante
lo spettacolo e che ora battono entusiasti le mani e gridano di entusiasmo
all’interprete, spettacolo finito, fanno i conti con la loro personale
interiore “giovane donna bassina e dalle cosce grosse”.
Ma non sono fatti miei, io ho i miei di piccoli e grandi
mostri dentro, ho il mio di combattimento da affrontare, giorno dopo giorno. Ed
ogni guerriero sa come questo sia difficile, sa come sia doloroso accettare la
propria “giovane donna bassina e dalle cosce grosse” e trovarle un posto dentro senza sputtanarsi in questa volgare società, dentro un genocidio culturale, come lo chiamava Pasolini, che tutto ammassa ed ammorba.
La
Merda
di Cristian Ceresoli – con Silvia Gallerano
Teatro
Leonardo1, 2, 3 Febbraio
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