martedì 7 gennaio 2020

Esotismo è…



Che ci fa un italiano a praticare Arti che sono proprie dell’Oriente? Arti che odorano di esotismo?
Esotismo, dal greco exo (fuori): quel gusto, quella passione che spinge verso culture, abitudini, costumi, “estranei” al nostro quotidiano.(1)

Un gusto, una passione che, con un pensare razionale, trova la sua giustificazione nell’essersi mantenuta ben più a lungo che da noi in quei paesi, in quel mondo, la Tradizione, la pratica, del combattere a mani nude, del combattere con armi bianche e simili. (2)
Un combattere “occhi negli occhi” che da noi, complice la rapida evoluzione e diffusione delle armi da fuoco, ha avuto vita breve e poco si è conservato nei secoli.

Ma, tuffo nel cuore, un gusto, una passione che si innerva e cresce con la capacità tutta orientale di immaginare oltre la realtà, di fantasticare su di essa, dando nomi improbabili, persino impossibili, a giochi ed esercizi e tattiche e strategie: “camicia” di ferro”, “spire del cobra”, “bufalo d’acqua”, “coda del dragone bianco” “solcare il mare senza che il cielo se ne accorga”, ecc. (3)

Lo scriveva già il grande Italo Calvino: “Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole, l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante”.
Un uomo antico, intriso di Tradizioni mai del tutto sopite, che si affaccia, curioso sempre, sulla Natura e le sue manifestazioni.
Un uomo che sa restare bambino, naso all’insù, a leggere di mostri e volti e avventure disegnate nel cielo da nuvole bizzarre o in acqua da correnti improvvise.

Come mi piace praticare queste antiche Arti che il continente asiatico copiosamente ci dona!!

“Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie  mani alla guerra e
prepara le mie dita alla battaglia”
(Salmo 143)


1. Resta inteso, come più volte scrissi, che nessun modello ha valore descrittivo generale e metacontestuale. Ogni modello, perciò, è culturalmente determinato: ha senso solo all’interno delle condizioni (antropologiche, culturali, sociologiche, ecc.) in cui è nato, in riferimento ai bisogni ed alle aspettative della comunità che gli ha dato forma e vita.
Infatti, nella pratica di queste Arti d’Oriente, come io le propongo, non si scimmiotta alcun modello teorico né tecnico; non ci si illude di essere samurai o monaci Shaolin!!
Piuttosto, si gioca a incarnare ogni sorta di immagine archetipica, universale, potentemente evocatrice di qualcosa per il combattente, il predatore; a compiere attività antiche con profonda valenza simbolica (raccogliere, seminare, tagliare, forgiare, accendere un fuoco, ecc) o gesti fondamentali (offrire, accettare, aprire, chiudere, ecc).
I simboli religiosi dello sciamanismo, qui sono sostituiti da simboli artistici.
 
2. L’introduzione delle armi da fuoco, in Giappone, avvenne tra il sedicesimo e il diciannovesimo secolo.
Il primo contatto dei Giapponesi con le armi da fuoco ebbe luogo nel 1543, quando tre avventurieri portoghesi giunsero sull’isola di Tanegashima ed impressionarono il signore del luogo abbattendo delle anatre coi loro moschetti.
Qui basti sapere che le prime cronache a riportare di armi da fuoco in Italia, più precisamente a Perugia citando lo schioppo, risalgono al 1364, praticamente due secoli prima!!.
Entro un anno, gli armaioli di Tanegashima furono in grado di riprodurre alla perfezione i moschetti portoghesi, mentre altri studiosi sostengono che gli armaioli di Tanegashima non riuscirono a replicare lo scodellino, la parte dell’arma in cui la polvere da sparo entra in contatto con la miccia accesa, generando così lo scoppio che lancia il proiettile fuori dalla canna dell’arma e dovettero attendere l’anno successivo, quando i portoghesi tornarono sull’isola con un loro armaiolo da mettere al servizio del feudatario.
Questa novità ebbe una entusiastica diffusione e, secondo alcuni, un’evoluzione tecnica addirittura superiore ai  corrispettivi europei, salvo venire poi pressoché abbandonata per oltre due secoli in favore del ritorno all’arte di combattimento tradizionale. Il Giappone tornerà alla polvere da sparo, e su larga scala, solo dopo l’arrivo della flotta statunitense dell’ammiraglio Perry nella baia di Tokyo (1853).

3. La Psicoterapia Breve Strategia (G. Nardone) utilizza, a scopo terapeutico, tutta una serie di stratagemmi che si rifanno all’arte della guerra dell’antica Cina conservandone i nomi, anche fantasiosi, proprio per le loro capacità evocative.







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