Io e
Monica sprofondiamo nelle poltrone del cinema Anteo: ci attende la proiezione
di
Jo
Jo Rabbit
regista Taika Waititi
Ci
ha incuriosito un trailer divertente che lasciava intravedere note di
profondità; ci ha ulteriormente spinto il gradimento espresso da una coppia di
amici.
E la
pellicola non delude le nostre aspettative, anzi.
E’
un film che danza spericolato in bilico tra il dramma e la commedia, il
grottesco e l’umoristico, senza mai perdere un colpo di autenticità, senza mai
smettere di farti riflettere mentre ridi di gusto o le lacrime della commozione
(almeno a me) invadono gli occhi. Dunque, una storia intensamente umana dal
sapore agrodolce e dalle tinte surreali.
Non
è che la sua realizzazione sia sta cosa semplice.
Osteggiato
dalle case di produzione, con una sceneggiatura realizzata già nel 2011, ci sono
voluti ben sei anni perché si trovassero i finanziatori disposti a mettere in
scena una parodia del regime nazista.
Perché
di questo, e altro, tratta il film.
Esso
è una delicata ma irriverente satira anti-militaristica, che prende lo spunto
dal contesto della Germania nazista; un fluire di ironia dissacrante ed
irriverente che si fa surreale e investe i temi della diversità, del
condizionamento delle masse, dell’attitudine tutta umana, ma necessaria alla
sopravvivenza, di “salire sul carro dei vincitori”.
Possibile
che il timore di ritorsioni nel trattare un tema così spinoso quanto
drammaticamente attuale o di un flop economico proprio per la “pesantezza” dei
temi trattati, abbia giocato nel ritardare la realizzazione di questa stupenda
pellicola?
Sì
perché il film è una autentica meraviglia per il cuore, per le emozioni,
inducendo a severe riflessioni tra uno scoppio di risa e una carezza ruvida sul
volto.
Metafore
e metonimie si intrecciano l’una all’altra, conducendo per mano lo spettatore
dentro un mondo di sogni e preconcetti, di soprusi e tenerezze, in una
girandola che non conosce soste.
- La
musica dei Beatles che accompagna le scene di supina isteria di massa del
popolo tedesco ai piedi del Fuhrer, o sullo schermo scorrevano le scene di
supina isteria di massa dei fans del gruppo britannico?
- Il
ballo come luogo neutrale di convivenza, come luogo di libertà per corpi e
cuori martoriati e offesi.
- Quei
lacci delle scarpe come vincolo necessario purché stretto per andare avanti e
non per impedire di andare.
- L’intreccio
tra le credenze instillate dal regime e la genuina curiosità di un ragazzino
che, tutto preso dalla convinzione che gli ebrei abbiano le corna e sappiano
manipolare la mente degli indifesi ariani, si trova costretto a misurarsi con
una realtà ben diversa, con una ricchezza ed una disperazione umana che non può
non sentire anche sue.
Film
profondamente satirico, in grado di
sgretolare il linguaggio dell’odio a colpi di sorrisi ed incanti emozionali, si
chiude con un poetico danzare tra le macerie di un mondo, di una società
sconfitta sì ma che, purtroppo, ha ancora oggi la forza di rialzare la testa. Non
solo riproponendo gli stessi pregiudizi, le stesse porcherie ideologiche, le
stesse violenze di nero vestite, quanto, in modo subdolo e di una violenza
ancora più letale, costruendo una dittatura della finanza e dei mercati che, a
braccetto di costumi sociali beceri, superficiali e ignoranti, ci sta facendo
marciare con lo stesso passo dell’oca verso un nuovo mattatoio.
“Gli idoli dell'uomo moderno avido,
alienato sono la produzione, il consumo, la tecnologia, lo sfruttamento della
natura. (...) Quanto più ricchi sono i suoi idoli, tanto più l'uomo si
impoverisce. Invece della gioia egli va in cerca di piacere e di eccitamento;
invece di crescere cerca possesso e potere; invece di essere, egli persegue
avere e sfruttamento; invece di ciò che è vivo sceglie ciò che è morto.”
(E.
Fromm)
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