Sveglia presto, dunque, perché poi, esaurita l’avventura
tra spiralizzazione dei tendini e “Camicia di ferro”, esplorazione del sistema
nervoso e intensa percezione sensoriale, mi attende la scoperta del lago di
Molveno.
Considerato una dei più bei laghi d’Italia, addirittura
classificato “IL” più bel lago d’Italia (lago più bello e più pulito d’Italia secondo
Legambiente e il Touring Club Italiano per la qualità dell’acqua, della
spiaggia e dei servizi) è un gioiello dentro il Parco Naturale Adamello Brenta,
dove si specchiano le Dolomiti.
Monica al volante, Lupo dietro,
con Kalì, a brontolare…è l’adolescenza.
Due ore di auto, tra pietre grigie che paiono denti di un
gigante e il verde di alberi e distese d’erba abbagliante.
Nell’immagine del lago, acque color di pietra preziosa,
lascio liberi demoni ed angeli che, sulle ali della fantasia, fugano ogni
abominio, ogni figlio di una rabbia generosa.
La brezza è gentile, i passi lungo la spiaggia e poi sul
sentiero che il lago costeggia chiedono il mio nome e come mi sento ora, cielo
striato di nuvole grigie e la mia famiglia accanto, sentore di pace che
riecheggia.
“Dimmi come mi sento per te” … mi
sono guardato intorno, occhio ballerino, e non ti ho visto lì… tra gli alberi,
di fronte alle montagne grandi, so che non sono mai stato visto nelle mani del
destino.
Respiro profondo, sorrido agli occhi neri e stupendi di
Monica, mentre le spalle forti di Lupo con le mani circondo.
So che mi conosci meglio di quelli che mi conoscono meglio,
il sentimento e tutto ciò che voglio è solo o addirittura tutto. Allora lascio
che la meraviglia si compia.
Me lo merito, o forse no ma non importa.
Il piccolo ristorante, con portate prelibate ed il buon
vino bianco. Nel sole, il lago ci lasciamo alle spalle.
Sulla via del ritorno, una
sosta a Trento, piazza candida, strade eleganti e vecchie case a custodire ogni
sorta di vita, di vite, che si susseguono da anni, decenni, secoli, storia
povera, storia araldica.
Dove muoiono le scuse, dove si rincorrono le menzogne, ma
ognuno, anche io, posso abitare nel vetro e lasciarmi vedere e vedere a mia
volta, spogliandomi di gesti di coraggio e piccole vergogne.
Non è colpa delle favole, non
è colpa delle illusioni, sta a me camminare per la strada scelta
e riscelta ogni giorno, anche quando sale il timore che una strada non ci sia, che
diventar grande sia un bluff, perché non posso certo illudermi che la maturità
arrivi quando lo voglio io o che le persone attorno siano più o diverse da quel
che sono nella loro perversa abilità.
Non è colpa delle favole, non è colpa delle illusioni se
sorrido anche quando un senso non c’è, se col naso al cielo intravedo le forme
di un volto e poi mi giro a guardare la donna che mi è accanto ed il cuore
prende a battere forte, se con la mano segnata dal tempo che non si arresta mai
cerco a sfiorare la mano giovane del figlio che al tempo corre incontro rapido
come lampo.
Io, di notte sogno molto, forse anche per questo di giorno
mi piace sognare ancora di più. E viverli quei sogni.
Poi, l’indomani, esaurito il
tempo della forma di Tai Chi Chuan e del lavoro sulla sensibilità articolare,
scopro le mani di polvere da sparo odorare.
Pistola semiautomatica in mano, linea di tiro davanti ed il
bersaglio a 25 metri.
Non è colpa delle notti e dei sogni a cavalcare avventure,
a immergersi in emozioni profonde, dove la calma in me danza avvinghiata ai
turbamenti.
Sono io qui, solo, in postazione 5, a sgranare un
proiettile dopo l’altro, e quando sento il mondo presentarsi
tiro fuori il bimbo che ho dentro, non lo nascondo più, e
lascio che corra in tondo, incespicando lui che è così incerto e vulnerabile,
accanto al lupo, alla fiera, lei così forte e selvaggia, che mi anima dentro.
Cento proiettili, un’ora piena di spari ed adrenalina.
Tanto so dove abita la forza fragile, quel che io sono.
So dove abita il desiderio che diviene riuscita, danza
nuda, svelata alle pulsioni del ventre e del cuore, danza di vita a piene mani
e sempre ambita.
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