Sfilano davanti agli occhi e nel cuore, sfilano i concerti, nemmeno tanti, a cui ho partecipato.
Di molti, il ricordo è, almeno a tratti, ancora vivo.
Lo spazio che mi pareva immenso e laggiù, in fondo, i
Beatles, ed era il 1965. L’eccitazione adolescenziale a ridosso del palco dove
gli Who, tra urla e schiamazzi, fracassavano la chitarra. Lo scorrere dei
cantanti, dei gruppi, ancora poco conosciuti: Vasso Ovale, Equipe 84, New Dada,
i Corvi, Dino … ai concerti del Ciao Amici Club. Il piacere colto di Giorgio
Gaber e la musica calda di Pino Daniele. L’occasione del servizio d’ordine per
accostarmi alla musica torbida di Lou Reed. L’animalità eccitante di Skin, la
chitarra dai suoni struggenti di Gary Moore.
La voce è calda, a tratti potente, sensuale. Petra è voce,
è musica: colto animale da palcoscenico.
Petra si muove abilmente, affascinante, cavalcando ogni
genere, ogni autore: da Monteverdi a De André, da Dalla a Puccini, da Mozart ai
Rolling Stones.
Il pubblico in sala è estasiato, a volte turbato da una
sonorità dirompente, che ti prende e ti travolge.
Un concerto da ascoltare, da vedere e, come mio solito
fare, accettare con il corpo tutto, passando dalla respirazione ventrale a
quella toracica, dalla centratura corporea all’abbandono dilatato, dalla
tridimensionalità di sé corpo a cercarne tracce nei suoni, nei vocalizzi
disperati, lunghi e brevi, che Petra dona al pubblico.
Momento memorabile, intenso e bellissimo, nel foyer del Teatro
Parenti.
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