martedì 2 agosto 2022

La forza delle immagini

Le Arti Marziali sono una pratica fortemente coinvolta nell’immaginare.

I testi classici ridondano di immagini atte a spiegare i principi del fare, atte ad accompagnare il praticante nel suo percorso marziale.

Nel terzo millennio, in una società che non ha più nulla del terreno sociale e culturale in cui le Arti Marziali nacquero, chi intende offrire una didattica fondata sulle immagini, chi intende usare l’immaginare come metodo di progressione e conoscenza, deve sapere cosa sia immaginare e come immaginare.

Il primo elemento da chiarire è che 

immaginare non è pensare.

Lo spiegava bene Gaston Bachelard (1) quando ricordava che, immaginando un ramo, ciò che rende peculiare e potente l’immagine non è forma o colore dello stesso, ma la forza vigorosa di torsione del ramo, il suo procedere nello spazio conquistando, centimetro dopo centimetro, terreno essenziale alla sua stessa sopravvivenza.

Se il ramo tu lo pensassi non saresti in grado di viverlo nella sua essenza, nella sua vitalità.

E qui interviene il docente, il Sensei, che sa (se lo sa!!) come aiutare l’allievo perché tale stato fantasticante e originariamente percettivo affondi nell’inconscio (Bachelard scriveva di “reverie”) e da lì si espanda per tutto l’essere vivente e il suo agire nello spazio.

Il secondo elemento, trattandosi di pratiche corporee, somatiche, è spogliare l’immaginazione del suo percorso dal soggetto ad un oggetto esterno (io e il ramo) costruendo invece un percorso immaginale dentro il corpo (io e il mio respirare, io e il mio braccio teso a colpire, ecc.)

Una volta capaci (ne siamo capaci?) di entrare in sintonia con i nostri gesti, di riconoscerli, siamo in grado di ascoltare le sensazioni che ne sorgono, però….

La questione che però si pone è se siamo noi ad ascoltarle, col dubbio di una… “sega mentale” (2), di una nostra costruzione illusoria, o sono loro, le sensazioni, che sono autentiche e si fanno sentire in quanto noi, finalmente, siamo liberi e capaci di ascoltarle.

Il primo caso suesposto è quando si propone un’immagine con l’intento di contattare la nostra parte corpo, materiale.  Il secondo è quando ciò che si si sente, si percepisce di e nel corpo a suscitare un’immagine. Il primo va dalla mente al corpo, il secondo, invece, dal corpo alla mente. (3)

Nel primo percorso, inevitabilmente, il te corpo ti dirà ciò che è più vicino alle tue aspirazioni, alle tue aspettative; Nel secondo percorso, sarà ciò che percepisci, ancorché confusamente, approssimativamente, a regalarti un’immagine di quel te corpo in quel momento.

Per praticare questo secondo percorso, occorre

-       - avere una facilità nell’immaginare scartando la prigione limitante del pensare

-      -  assumersi la responsabilità di sé corpo: Non “Ho le spalle contratte”, ma “Io sono spalle contratte”

-      -  accettare che il docente, il Sensei, mentre per esempio stai scaricando una mole di diretti al sacco, ti chieda “Quale parte di te corpo inizia il movimento?”, “Come senti diffondersi di e nel corpo questo primo movimento?”, “Cosa provi mentre stai colpendo il sacco?”.

Accettare questa didattica, riecheggiare i testi classici rivisitati in chiave moderna perché siamo italiani del terzo millennio, dà risultati eccellenti.

Sta a te scegliere, cominciando dal cercare il docente, il Sensei, in grado, per esperienza pratica e formazione anche teorica, di introdurti a questo emozionante viaggio aperto alla ricezione di tutto ciò che sei di corpo, di essere fisicoemotivo. Per crescere guerriero nelle Arti Marziali.

 

1. Filosofo della scienza.

2. Espressione usata in psicoterapia (la incontrai la prima volta negli scritti di Giulio Cesare Giacobbe, psicologo e psicoterapeuta) per connotare una eccessiva preoccupazione o complesso di pensieri che comporta ansia o paura, per estensione indica tutti i pensieri fasulli, disturbati e disturbanti, ridondanti, falsi, che l’individuo suscita e coltiva in sé anche senza averne reale motivo.

3. “Da un lato, le visualizzazioni, in cui la persona che facilita la sessione ti chiede di proiettare una serie di immagini sul tuo corpo o sul tuo contesto: ‘Visualizza una luce bianca che riempie il tuo utero’, per esempio. E dall’altro le tecniche percettive, in cui il facilitatore invita all’osservazione concreta di qualcosa che sta accadendo in quei momenti. Ad esempio: ‘Osserva il tuo respiro’”” (Tere Puig, laurea in Ingegneria, è scrittrice e insegnante di yoga). Andiamo alla posizione chuan chuang / ritsu zen: “Immagina che i gomiti siano appoggiati su delle nuvole” o invece “Senti qualcosa di pesante in te gomiti o spalle?” “Come puoi rendere leggero e piacevole lo stare di te gomiti?” “Dove trovi, in te corpo, l’appoggio più semplice perché i gomiti stiano leggeri e senza sforzo nello spazio?” ecc.

 



 

 

 

 

 

 

 

 

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