sabato 11 ottobre 2025

Il silenzio dell’acciaio: Il coltello come compagno nelle Arti Marziali

 “Un coltello è un buon amico quando non hai nessun altro.” Non è una frase di violenza, ma di solitudine. Di presenza. Di assoluta verità.


Nel vuoto profondo che precede il combattimento, quando il respiro si fa più lento e il mondo si ritrae in un cerchio di silenzio, il coltello non è un’arma: E’ un confidente.

Non a caso, nella nostra italica cultura, era chiamato “il servo silente”. Lui non tradisce né mente. È lì, impassibile e lustro, come la luna sopra un campo di battaglia dimenticato. Ti guarda, e ti chiede: “Sei pronto a vederti davvero? Davvero dentro?”

Il Coltello è specchio

Nelle Arti Marziali, il coltello non è solo un oggetto da impugnare. È un’estensione della personalità, che tu lo riconosca o meno; è una lama che recide ogni illusione. Ogni gesto con lui è una confessione perché la traiettoria svela il pensiero, la postura svela il cuore. Chi pratica con il coltello non lo possiede né lo domina... lo ascolta, se ne è capace.

Il coltello è un amico fedele perché non ti lascia scappare. Ti costringe ad essere preciso, presente, autentico. Non c’è spazio per distrazione, per teatralità. Ogni gesto, ogni fendente, è reale, ogni errore è scavato nell'acciaio.

La Solitudine del Guerriero

Quando sei solo e non hai nessun altro accanto, non il Maestro, non il compagno di pratica, né alcuna certezza, il coltello è lì, non ti abbandona. Come ti è compagno nel Dojo così ti è accanto tra le pieghe dell’animo, nel dubbio che precede la trasformazione. È lì, come un cantico tagliente, che ti svela: “La tua forma è il tuo pensiero. Il tuo pensiero è la tua lama.”


In questa solitudine, il coltello diviene rituale. Non per lacerare, ma per scolpire. Non per distruggere, ma per svelare. È il compagno fidato che ti insegna a camminare sul confine sottile tra controllo e abbandono, tra tecnica e intuizione.


Il coltello come voce silenziosa

Nel Kenpo cinogiapponese, nel Kali filippino, nel Silat indonesiano, il coltello danza. Non urla, non strepita, non aggredisce: Bisbiglia, sussurra. È una voce che allude attraverso il tuo corpo, la tua gestualità; che narra storie di antenati, di sopravvivenza, di morte data per necessità o per piacere, di eleganza nascosta nella ferocia.

Chi lo pratica con kokoro, cuore, sincero scopre che il coltello non è mai solo. È la memoria di chi ha camminato prima, la disciplina di chi ha scelto la retta Via, il canto di chi ha trasformato il pericolo in arte.


Il coltello è il miglior amico quando non hai nessun altro perché ti ricorda che, nel silenzio, tu sei ancora vivo. E che ogni lama, se ascoltata, può diventare la penna che scrive di te e della tua storia vera.





martedì 7 ottobre 2025

Il Cerchio che Danza: Pa Kwa / Hakkeshou come racconto vivente

 La debolezza, lo so, è sempre una forma di male, più nascosta, latente, ma ugualmente fa marcire ogni raccolto. L’importante è non confondere ‘debolezza’, che è fragilità e remissività, con ‘cedevolezza’, che è flessibilità e adattabilità.


L’importante è formare un corpo aperto dentro, capace di allinearsi, di succhiare (il verbo preferito dal Maestro Xia Chaozen) ed espellere lentamente, come acqua che score attraverso un filtro.

E’ nel cuore del movimento flessibile ed elastico, là dove ogni gesto si fa parola e il respiro si fa racconto, che nasce il cerchio. Non una semplice figura geometrica, ma un grembo simbolico, un luogo sacro dove i corpi si dispongono come lettere di un alfabeto antico, pronti a scrivere insieme la storia di un’identità insieme costruita ed insieme condivisa.

La danza in cerchio non è spettacolo, ma rito. È il ritorno al principio, quando il gesto non era ancora separato dal significato, quando muoversi voleva dire appartenere. Ogni passo, ogni rotazione, ogni apertura delle braccia è un segno che parla, che evoca, che ricorda. È il linguaggio silenzioso di una comunità che si riconosce nel ritmo, nella forma, nella ripetizione che non è mai uguale.

Danzare è sperimentare ed esprimere con la massima intensità il rapporto dell’uomo con la natura, con la società, con l’avvenire e i suoi dei”

(V. Bellia ‘Danzare le origini’)

Nel Pa Kwa / Hakkeshou questa danza si propone Arte Marziale, ma non nel senso della lotta: Nel senso della relazione. Otto direzioni, otto trigrammi, otto archetipi che si dispiegano come petali attorno al centro. Il praticante non si muove da solo, egli si muove ‘con’, si muove ‘per’. Il cerchio funge da interlocutore, da specchio, da eco.

Ogni gesto nel Pa Kwa /Hakkeshou è un gesto che odora di radici profonde. È un gesto che porta con sé il peso e la grazia di una narrazione collettiva. Il palmo che si apre non è solo tecnica, è offerta, è invito, è memoria. Il passo che svolta non è solo hejo, strategia: E’ ascolto, è adeguamento, è danza con l’imprevisto. E quando più corpi si muovono insieme nel cerchio, il Pa Kwa / Hakkeshou diventa poema incarnato, tessitura di storie che si intrecciano senza bisogno delle parole.

In questo spazio, il gesto non è mai neutro. È carico di simboli, di vissuti, di sogni. È il modo in cui una comunità, minuscola o grande che sia, si racconta, si trasmette, si rinnova. Il cerchio diventa allora un archivio vivente, un luogo dove l’identità non è definita, ma continuamente danzata, dove il passato si fa presente nel corpo, e il presente si apre al futuro nel ritmo.

La pratica del Pa Kwa / Hakkeshou in cerchio non è solo esercizio: E’ celebrazione. È il modo in cui ci ricordiamo chi siamo, insieme, e ‘come’ siamo. È il modo in cui il gesto diventa ponte, il corpo diventa casa e il movimento diventa canto.

Allora, nella relazione, nel confronto, si scopre che il Pa Kwa / Hakkeshou è anche lotta letale, che non dà scampo; lotta mortale di cedevolezza’, che è flessibilità e adattabilità.




giovedì 2 ottobre 2025

Giochi preparatori ai Push Hands /Sueishou: L’arte dell’ascolto incarnato

 


Nel silenzio fertile tra due avambracci che si sfiorano, si origina un linguaggio antico. Non fatto di parole, ma di pressioni, cedimenti, spirali. È il preludio ai Push Hands /Sueishou, ma già qui, in questi giochi preparatori, si dischiude un mondo: Quello dell’ascolto incarnato.

Due corpi si incontrano. “A” preme, con volontà che non è aggressione, ma proposta. “B” non risponde con forza, ma con densità. Assorbe, addensa, scarica al suolo. Come la pioggia che non combatte la dura superficie, ma la attraversa, goccia dopo goccia.

Gli avambracci si toccano. Cerchi invisibili si disegnano nell’aria. Non c’è chi comanda, non c’è obiettivo. Solo il seguire, l’essere condotti, il lasciarsi plasmare dal ritmo dell’altro, dal ritmo condiviso.

A” a volte si fa pieno, altre si fa vuoto. “B” resta in ascolto, come il mare che accoglie ogni onda. Non c’è reazione, ma presenza. Non c’è difesa alcuna, ma disponibilità totale.

La pelle diventa sensore. Le ossa, antenne. Ogni variazione di ritmo, ogni cambio di direzione, è un messaggio. “A” parla con il corpo, “B” intensifica l’ascolto, si apre ad ogni pur modesta variazione.

Quando “A” preme, “B” non si oppone. Si flette impercettibilmente, devia, cede. Minuscoli movimenti, nascosti dentro la flessibilità del corpo, articolazioni e tessuto connettivo, sorta di totale intelligenza motoria. Non si lascia squilibrare, ma danza con la forza ricevuta.

È un gioco sacro. Un laboratorio di relazione. Qui si impara a non dominare, ma a dialogare, a non vincere, ma a comprendere.

Push Hands /Sueishou non sono solo tecnica. Sono poesia in movimento, filosofia incarnata. Sono l’arte di essere con l’altro, senza mai perdere se stessi.

Poi, Push Hands / Sueishou veri e propri, fino allo scambio libero, Sanshou. Ma non ora, non oggi, non in questo breve video.





lunedì 29 settembre 2025

Nel segno del serpente, tra contorsioni e volo

 

Nel segno del serpente, tra contorsioni e volo

Nel ventre del tempo, il corpo si snoda, memoria ambiziosa che mai si sgretola. La spina dorsale, in un cupo silenzio, rammenta il serpente che strisciava il mondo. Praticanti Spirito Ribelle, moderni ricercatori, moderni guerrieri apotropaici.


Onde chock, compiute o accettate, destano l’eco sepolta, vibrazioni che scuotono il gesto raccolto. Non è semplice lotta, ma sogno incarnato, il passo del rettile, nel cielo tracciato.

Spirali che danzano, come ali nel vento, trasformano il peso in sottile movimento. L’uomo, nel sogno, si fa volatile, soggioga il basso, volteggia nel bello.

Ma nell’immaginare contorto, la carne si addensa, la vertebra antica si torce, si lega. Ed è l’immaginare, la reverie bachelardiana a farsi realtà, a farsi serpente che chiama, nella gestualità marziale, la terra reclama.Non fuga, non scontro, ma alchimia sottile, dove il corpo si fa spirale gentile. Il serpente immagina, l’uccello ricorda, la marzialità è soglia, non corda.

È sogno ad occhi aperti e corpo in azione che vibra, è gesto che disegna, è onda che freme, è forma che si fa trans – forma ed affascina. Nel volo onirico, il marzialista si fa relazione tra il rampare del basso e il cielo di fronte.

Nel vociare indistinto del dojo a cielo aperto, qui ai giardini Marcello Candia di Milano o alla Rotonda della Besana, il corpo si fa eco di memorie antiche. Ogni gesto, ogni onda che attraversa la colonna vertebrale, è un bisbiglio del tempo in cui eravamo rettili. Gaston Bachelard , filosofo di immaginazioni che si fanno realtà, ci ricorda che “gli uccelli derivano dai rettili; diversi voli d’uccello sono la continuazione dei passi rampanti dei rettili”. E così, anche l’arte marziale, nel suo fluire spiraloide, non è altro che una danza tra l’origine e il sogno ad occhi aperti.

La memoria serpentina del corpo

Nel movimento a spirale, il praticante non combatte: Rammenta. La spina dorsale si snoda come un serpente antico, risvegliando la memoria biologica del rampare. Le onde chock, ovvero quelle vibrazioni che attraversano il corpo come scosse, non sono semplice violenza, ma risveglio guerriero. Sono il linguaggio primordiale del corpo che si ricorda di essere stato Terra, ventre, rettile.



Ogni spirale è una preghiera alla gravità, un omaggio alla natura rampante. Ma è anche una sfida: L’uomo, scrive Bachelard, “con il suo volo onirico, trionfa sulla natura rampante”. Ecco allora che la pratica marziale diventa sogno incarnato, volo senza ali, meditazione attraverso la disciplina.


Il sogno che si fa gesto

In ogni gesto marziale, l’uomo non si contrappone alla Natura: la trasfigura. Le spirali non sono solo arida biomeccanica, ma metafisica. Sono il ponte tra il serpente e l’uccello, tra il rampare e il volare. Il corpo, attraversato da onde, si fa sogno incarnato. E nei sogni, avverte Bachelard, “la spina dorsale si ricorda talvolta di essere stata serpente”. È dentro quel ricordo che nasce la potenza immane del gesto: Non come forza, ma come risonanza.



Le Arti Marziali come alchimia

La pratica marziale delle onde e delle spirali è un’alchimia del corpo. Trasforma il peso in leggerezza, la tensione in vibrazione, la difesa indanza per poi capovolgere il tutto È il luogo dove il serpente immagina di volare, e l’uccello si ricorda di strisciare. Dove l’uomo, nel suo volo onirico, non fugge dalla madre Terra, ma la sublima. Esse sono la Via.








N.B.) Le citazioni qui riportate sono contenute in ‘Psicanalisi dell’aria di G. Bachelard.














by ricometzen 123
























domenica 28 settembre 2025

Il mio pensiero di OTTOBRE 2025

E iniziata la stagione Spirito Ribelle 2025 – 2026. Le sensazioni, in questo Dojo all’aperto che sono i giardini Marcello Candia, tra Porta Romana e piazzale Lodi, in Milano. Le voci dell’’Arte Marziale, il corpo che comunica.

Ecco, già ancor prima di muoverti, tu sei già dentro il mondo. Il tuo corpo è qui ed ora, visibile, leggibile. Non puoi non comunicare.

Anche se resti fermo, anche se non parli, il modo in cui sei presente dice qualcosa. Dice chi sei, come stai, cosa porti di te agli altri.

Calpesti l’erba verde come se ogni passo fosse un verso. Lasci che il tuo respiro parli prima ancora del suono delle parole. Lasci che il tuo sguardo sia un ponte, non un muro.

Quando incontri l’altro, quando lo tocchi mente lui tocca te, non puoi nasconderti. Non puoi. Il tuo  te - corpo è già in relazione: Ogni gesto è una domanda, ogni postura una risposta.

Allora sii consapevole, perché la tua aspettazione comunica, la tua tensione comunica, la tua apertura comunica, la tua ritrosia comunica.

Prima di iniziare, ascolta, ascolta attentamente. Ascolta il tuo modo di esserci, di so - stare. Ascolta il modo in cui l’altro ti percepisce. Ascolta il dialogo silenzioso che già accade.

Perché la marzialità non è affatto waza, tecnica. È arte dell’incontro. È poesia incarnata. È la disponibilità ad essere letti, prima ancora di agire.

Perché se il mondo come esperienza appartiene alla parola – base Io – Esso, è la parola – base Io – Tu a creare il mondo della relazione, e quale relazione più sincera di un incontro che ha il sapore dello scontro?

 


venerdì 26 settembre 2025

Nel vociare dei giardini, il corpo si risveglia ed esplora

 

In un angolo di verde cittadino, dove le voci dei bimbi che giocano si incontrano e si sovrappongono tra di loro, dove il rumore delle auto che transitano accanto geme sullo sfondo, alcune figure scivolano tra balzi e strappi.

Non sono giovani aitanti, ma custodi di una saggezza che il tempo scolpisce nei gesti. Indossano maglie grigie e pantaloni color porpora, sorta di moderni monaci a caccia dell’equilibrio.

Stringono in mano una fune viola, non arma, ma ponte, dialogo tra forza e controllo, tra strappo e dolcezza.

Ogni movimento è un dialogo, la fune verbo, la tensione del corpo è frase.

Uno guida e detta i tempi, l’altro accompagna, quando riesce. Entrambi imparano.

Non vi è competizione, solo ascolto. Linguaggio antico, forse vetusto, quello delle Arti Marziali che dice di rispetto, di ‘qui ed ora’, di radicamento nella Terra e allineamento verso il Cielo, di apertura a ciò che accade all’improvviso, senza preavviso alcuno.

Ogni resistenza, ogni inciampo, ogni movimento goffo, non è un ostacolo, ma è lui stesso il Maestro. In quel gesto vive la metafora della formazione: Non opporti tentando di vincere la forza, ma cerca di comprenderla, di danzare con essa.

Queste immagini non testimoniano di un semplice riscaldamento. Sono un invito. Sono un’apertura dentro uno spazio sacro, un Dojo moderno ancorché privo di pareti e soffitto, dove il corpo si risveglia e va a caccia. La lezione, ogni Martedì qui ai giardini Marcello Candia in Milano, sarà ben poco tecnica, ma un viaggio. Un incontro con se stessi attraverso passione botte e sorrisi, e la bellezza di gesti finalmente consapevoli.

“Inizia così la nostra pratica marziale, con il respiro della Terra sotto i piedi e il silenzio del Cielo sopra la testa. Che ogni movimento, ogni gesto, sia poesia, ogni sforzo,ogni tentativo bene o male riuscito, laica preghiera”

(anonimo)

 

 

 

 

domenica 21 settembre 2025

Mani Nude



Mani nude, pellicola del regista Mauro Mancini tratta da un libro di Paola Barbato, si alza come un urlo silenzioso, una danza brutale tra carne nuda e immutabile destino.

Davide, ragazzo ‘bene’, trascinato suo malgrado nel fango dei combattimenti clandestini, non veste keikogi né onora Dojo, ma ogni colpo è un drammatico haiku di sopravvivenza.

Le Arti Marziali qui non ci sono, eppure ci sono. Non c’è kata, non c’è rispetto, ma il corpo comunica, come in ogni disciplina che nasce dal vuoto per domare il caos.

Minuto, l’allenatore, non insegna la Via del guerriero, ma una semplice e raccapricciante via del dolore, dove il tatami è cemento e il saluto è mostrare le mani nude.

Ciononostante, nel dramma della violenza, batte kokoro, il cuore marziale: Il combattimento come specchio dell’anima, il combattimento come rito di passaggio, la sofferenza come maestro silenzioso.

La pellicola non celebra l’Arte, la profana, la distorce, la obbliga a urlare. Ma proprio lì, nel suo tradimento, ci ricorda quanto sia sacra, quanto rantoli nel profondo di ogni umano. Quanto sia importante riconoscerla.

Mani Nude è il lato oscuro del Bushido, dove l’onore è violentato dalle scommesse e il guerriero non anela alla pace interiore e nemmeno alla vittoria, ma ad una impossibile redenzione

Una pellicola che non sprona ad imparare a combattere, ma a sopravvivere con tutte le proprie pur esili forze. Non indica la Via, ma il prezzo pesante di averla smarrita.

Poca, pochissima musica a sostegno delle riprese, chiaro / scuro a regnare sovrano, recitazione essenziale ed asciutta. Bellissimo. Per stomaci forti e curiosi, per ricercatori di sé e dello stare al mondo.

In TV su Paramount plus