venerdì 3 aprile 2015

Essere soli


“L’abilità umana più importante è comunicare e si esprime in quattro modi: leggere, scrivere, parlare e ascoltare. Fin da piccoli, siamo stati abituati a imparare le prime tre abilità; della quarta, nessun maestro si è mai preoccupato”(D. Cesana)

 Uno vive e sceglie, o crede di scegliere, si fa consapevolmente o meno scegliere. Uno che è ognuno di noi. Anche tu che mi stai leggendo.
Cominciamo con l’affermare che
“uno” non sceglie / compra prodotti, servizi, idee, ma compra i modi in cui ci si pensa di sentire usandoli.
Nulla di male in ciò. Però esserne consapevoli non sarebbe meglio ? Magari questa consapevolezza  porterebbe anche ad una scelta diversa oppure, nel confermare il prodotto scelto, potremmo davvero vantarci ( e assumerci la responsabilità) che è quello che vogliamo veramente, con tutto noi stessi.
Sicuro che quell’automobile sia davvero quel che ti serve o stai privilegiando come ti sentirai avendo le chiappe sul sedile di quel mezzo di trasporto ?

Potrei approfondire aggiungendo che
uno” non compra o vende prodotti, ma relazioni umane.
Quando comperi l’abbonamento in quella palestra, comperi anche un certo tipo di relazioni umane, non solo per quel che accade dentro la palestra vera e propria, ma anche  per quel che ciò significa nel tuo rapportarti con amici, familiari, conoscenti tanto quanto con le relazioni che andrai ad instaurare con le mille parti che ti compongono e… in virtù di quella scelta in quella palestra, qualcosa di te, del tuo mondo e del tuo modo di pensare ed agire, ne verrà cambiato.

Nessuno di noi è una monade e il semplice vivere è comunicare / relazionarci, ovvero cambiare ( magari senza accorgerci della direzione presa o trovando più comodo e deresponsabilizzante fingere di non accorgerci !!
Ormai è un fatto conclamato che la quantità e la qualità delle nostre relazioni con gli altri sono tra i fattori che più incidono, nel bene o nel male, sulla qualità della vita.
Esse sono le fondamenta di tutte le principali aree del nostro vivere sociale.
Anche in virtù di ciò, non solo le nostre scelte ci influenzano, ma noi stressi siamo influenzati dalle relazioni in atto nello scegliere un prodotto o un servizio piuttosto di un altro.
Sovente compriamo credendo che ciò che abbiamo acquistato per noi sia davvero per noi e non pesantemente influenzato dal parere o di situazioni che altri vedono e giudicano del prodotto scelto.
“Basterebbe focalizzarci su come ci vediamo allo specchio: la convinzione che ciò che indossiamo ci stia bene è in relazione non solamente a ciò che realmente vediamo, ma anche e soprattutto a un modello mentale dell’immagine attesa di noi stessi con indosso quel capo d’abbigliamento e a quanto i contesti potenziali di contorno possano interagire per migliorare (commessa) o peggiorare (fidanzata) questo differenziale percettivo”. (D. Cesana)
In questa morsa, l’individuo si vede alla fine spinto a costruirsi una facciata socialmente desiderabile, magari simile ai sorridenti e vincenti modelli offerti dalla televisione e dai mass media.
Se l’operazione ha successo, gli altri individui la restituiscono come specchi; ma quest’immagine, che si è voluta dare, è, almeno inizialmente, estranea al suo stesso autore.
La paura del giudizio altrui blocca la spontaneità; le persone più vulnerabili si vergognano di mostrare la propria umanità, preferiscono nascondersi e recitare una parte standard.
Alla fine, non si riesce più a condividere i propri stati d’animo con nessuno, nemmeno con se stessi. E, spesso, si finisce per diventare  quella “maschera”, quel “ruolo” inizialmente giocato solo per “cantare nel coro”, per soddisfare esigenze non autenticamente nostre.

E se uno che non è “uno”, consapevole delle due premesse qui esposte, volesse scegliere comunque, razionalmente ed emotivamente, per sé ? O almeno provarci ?
Sarebbero c…. amari !!
Non solo perché questo lo porterebbe ad una differenziazione sospetta agli altri, ma anche perché lui stesso negli altri coglierebbe con precisione, antipatica a costoro, l’indifferenziato schiavismo di scelte e ripetizioni.
Voglio dire, “uno” può anche ascoltare ed apprezzare una canzonetta pop di questo o quella, ma se la sua lunghezza d’onda musicale è stabilmente sintonizzata su quel genere, il suo sentire musicale, il suo emozionarsi sonoro, diverrà, col tempo, un identico piattume e .. pattume.
Se ti fumi e ti godi un paio di sigarette al giorno, e goditele; se ti fumi un intero pacchetto, sei probabilmente un dipendente da nicotina, sicuramente uno con i polmoni ( e non solo loro) malandati. Se poi ti andasse di essere un narcodipendente e in perenne odore di  malattia, OK, fatti tuoi ( che investono però il relazionarti diverso / malsano con gli altri) Basta che tu non finga di non saperlo, non faccia spallucce come se non fosse vero, perché saresti in malafede.
Chissà perché, se questo vale per il fumo, spesso per “uno” non vale per musica, attività motoria, letture, genere di compagnie, ecc. ecc.
Non è che la quantità in cultura / beni culturali / passatempi ecc. non incida quanto la quantità in cibo “materiale” e tutto quanto identifichiamo come materia !!
Non è che la stupidità culturale,  il veleno  culturale, sia meno pernicioso di quello che intacca la salute fisica !!

Mi trovo a riflettere sulle mie scelte: Innalzare il praticare marziale a forma terapeutica quanto a chiave di lettura del vivere quotidiano; vestirmi privilegiando la comodità dei movimenti al gusto estetico via via dominante; studiare saggi di diversa estrazione, informarmi attingendo a diverse fonti comprese alcune minoritarie; ecc. ecc.
Attenzione, non sono un “talebano” del serio e serioso, dell’impegnato. Tutt’altro. Solo lascio che le letture “fantasy”o la visione di una partita di calcio non siano la norma. Di più, mi trovo ad attingere anche a loro per capire di più di me e di come stare al mondo.
E’ dura, ma preferisco questa solitudine a quella dei tanti “uno” che masticano le stesse cose, condividono le stesse scelte di massa nell’andare in palestra a modellare il fisico; acquietarsi davanti a fiction e talk show riempiendo la serata con “zia” televisione; affollare face book dichiarando (a chi ?) dove sono stati a mangiare o l’aver raggiunto il livello XY nel tal gioco virtuale o pubblicare a raffica frasi e citazioni di altri, mai affrontando un discorso, una riflessione autonoma, di sé e del proprio sentire; indossare jeans  e i capi d’abbigliamento consentiti dalla moda del momento; e vuoi non farti un tatuaggio ? (1) e vuoi non domandare “Che lavoro fai?” appena incontri una persona ? (2) ecc.
Questi “uno” per cui la solitudine dentro, in realtà: “immersi nella folla della città, a contatto con colleghi e vicini, sembra l’ultimo dei problemi, ma la solitudine, quella subita più o meno consapevolmente, è terreno di coltura di molte patologie, comun denominatore di tutte le malattie mentali, causa ed effetto di qualsiasi dipendenza” (O. Castellani).
Che nel gregge, le pecore sono “uno” indistinti. Nel branco, il lupo è tanto uno unico quanto parte. Ma già, il lupo mette paura …

 “L’unico modo per crescere è essere straordinari”
(O. Castellani)

 

1. No, “uno” non incide sulla pelle un simbolo, un richiamo ad un evento fondamentale nella sua vita, un accadimento che l’ha segnato dentro. Piuttosto un delfino, una rondine, il “tribale” che va tanto di moda, il proprio nome tatuato in caratteri giap (o cinesi ? o vietnamiti ?, Va bè, tanto fa lo stesso, “uno” nemmeno li conosce quelle lingue e quegli ideogrammi) da un tatuatore italiano che, assai probabilmente, anche lui, quella lingua non conosce.

2. Che ne direbbe il gentile “piccolo principe” di Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry ? I grandi amano le cifre. Quando voi gli parlate di un nuovo amico, mai si interessano alle cose essenziali. Non si domandano mai: "Qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?" Ma vi domandano: "Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?" Allora soltanto credono di conoscerlo.




 

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