lunedì 11 luglio 2016

L’acciaio del guerriero di pace


Seminario Kenshindo 9 Luglio 2016
Agriturismo “Il Bivacco”

 

 
 “…le Eresie virili per così dire, si ritrovano a dover riconquistare la loro specificità, minacciata dall’egualitarismo spinto e dalle logiche di mercato che sulla massificazione fondano il loro dominio”
(in “Polemos vol. II”)

 

 
Scriveva Andrea Venanzoni, che l'uomo, da secoli, indirizza gran parte della sua energia per trincerarsi dietro quelle che Carlo Marx chiamava “sovrastrutture” (uberbau) ovvero, in linguaggio semplice: “comode bugie”, solo per coprire la sua vera natura di bestia, legata ad istinti primordiali e naturali. Questa ipocrita negazione, è esponenzialmente aumentata col passare del tempo e con i progressi della civilizzazione.
L'uomo moderno, per negare, ricorre a bugie sempre più contorte. Viviamo in un mondo in cui da un lato si predicano amore, pace, fratellanza, accoglienza e poi, dall'altro, ci si crogiola, solleticando i peggiori appetiti, guardando in TV il plastico di Cogne o l'ennesimo dettagliato servizio sul delitto di Yara Gambirasio, (siamo a quello che Andrea Venanzoni chiama “cortocircuito pornografico”). Dall’altro, lasciamo che i governi, anche in barba alla Costituzione, esportino ovunque guerre e massacri foderandoli di bugie colossali travestite da dotte e generose teorie sull’esportare la democrazia, girando sguardo ed orecchie al sentire dei danni provocati da “bombe intelligenti” o delle colossali ruberie con le quali i “nostri” business men spogliano e depauperano intere nazioni (vedi l’ENI in Nigeria) innescando così bibliche migrazioni di popolazioni affamate ed incazzate verso le nostre coste.

E, allora, che ci facciamo noi, individui del terzo millennio, con il lungo acciaio del katana in pugno?Sorta di generosa pratica guerriera che orienta la lama verso la regione possente che vive, magari sopita ma mai del tutto scomparsa, nel mondo interiore di ognuno di noi, per ridestarne il fuoco e il sapere ancora possibile, ancora risvegliabile, attraverso la disciplina, il combattimento, lo sguardo di un uomo che ingaggia lo sguardo di un altro.
Là dove, nello sfoderare l’arma letale, nel sibilarne l’acciaio a pochi centimetri dal collo del compagno o nel soddisfarne la fame assassina tranciando di netto stuoie e bambù, si compie il rito vero, autentico, feroce, del cacciare se stesso.

Sorta di guerrieri a sangue freddo, che esplorano e portano alla superficie lo stato naturale dell’essere umano, scandalizzando gli inetti pacifisti quanto i praticanti delle spade di latta perché sbattono un’immagine adulta e coraggiosa in faccia a una cultura e ad una collettività in cui i modelli dominanti sono deboli perbenisti, anomalie gender, conformismo di massa e trasgressioni di massa, mondi e pratiche virtuali.

Da troppo fastidio questo mio parlare di loro come di criminali per bene?
Disturba questo mio disprezzo verso le parole di amore universale e new age come se i giacobini della violenza, perché senza ghigliottina, non siano tali?

E noi, noi pochi, pochissimi, siamo qua, in uno spiazzo d’erba nelle campagne pavesi, a tirar d’acciaio, lustro e affilato.
Siamo chi siamo, maschi e femmine, che la Via della conoscenza e della trasformazione non fa distinzioni; la pratica del confliggere, del combattere, non subordina, non discrimina, solo chiede a maschi e femmine il coraggio umile di penetrarsi fino in fondo, mentre tranciamo stuoie e bambù e maschere di cartapesta indossate ogni dì.
Siamo arrivati qui come eravamo, ognuno con la sua canzone, triste o sfacciata, noiosa o divertita, a volte così uguale alla mediocrità mondana a volte così diversa da far quasi tenerezza.

Io, che pure sono il Sensei, il “nato prima”, la guida di questi uomini e di queste donne che da anni mi accompagnano, cercatori a loro volta, a loro volta cacciatori di sé, di tutte le strade possibili non so quale sia quella giusta, sempre che una sola sia la giusta. Nemmeno so di incroci e svolte, che troppi sono gli ostacoli lungo il cammino.

Il viaggio di un guerriero, di un cercatore, non è l'illusione di attimi pericolosi sulle coste del nord Africa, dove mitragliatrici e filo spinato tutelano la quiete delle ville e dei bagnanti; non è lo stordirsi di binge drinking  come omologazione al resto del gruppo; non è l’ossessivo e compulsivo ritmare di pollici sulla tastiera di un computer o sulla console della play station; non è il corso di sopravvivenza o le iperboli narrate sui forum di Arti Marziali; non è fuga né sfogatoio né pretesa di onnipotenza.
Il viaggio del guerriero, del cercatore, è la gioia del tempo, è direzione che non prevede sosta, è solitudine nel gruppo.

Così, io non so mai, finito lo scivolare dell’acciaio, il suo incontrare l’Ombra di ognuno, che succederà dopo. Perché ogni guerriero, ogni cercatore dello Z.N.K.R. non porta il katana al fianco per divertimento, prestazione o tornare a casa contento.
Lo fa perché, per alcune ore o per tutta la vita, ha scelto di essere vento, che nessuno può comprare, nemmeno l’uberbau, le balle che ci raccontiamo per tacere di noi e del nostro spirito predatorio, nemmeno il pacifismo di maniera che parcheggia l’auto sulle strisce pedonali e gongola curioso nel fermarsi a vedere il sangue dell’incidente stradale buttando anche un occhio alle cosce nude della ragazzina che corre lì accanto, nemmeno lo spirito vigliacco di chi scappa davanti al pericolo e “chi se ne frega” se altri ci muoiono dentro.
Lo fa e basta, che sa di vivere.

 “Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso.”
(E. Che Guevara)

 









1 commento:

  1. Nel tameshigiri al tramontar del Sole guardo là, dove le fronde degli alberi incobcontrano il Cielo:
    " che belli i colori di un Sole che muore".

    Ed è quando il Sole "rinasce" poi, tra le calde mura della mia tana, il cinguettare degli uccelli, le sinuose forme dell amore, ieaculare mentre la luce avanza..in un continuo Tao di amore e morte, là, respiro la vita.

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