lunedì 3 ottobre 2016

Vengono



“Il coraggio è di due specie: quello fisico davanti al pericolo personale, e quello che occorre avere di fronte alle responsabilità, sia verso il potere superiore di una qualsiasi forza esterna, sia verso la propria coscienza. Riuniti, essi costituiscono il coraggio perfetto”
(Karl von Clausewitz)

 

Vengono, nuovi curiosi, curiosi alla scoperta del praticare Arti Marziali.
Vengono, alcuni del tutto a digiuno, altri con alle spalle un passato marziale o di sport da ring.
Vengono e si sorprendono nel non trovare un modello da imitare, delle “tecniche” da imparare e copiare.
Vengono e si stupiscono, perché incontrano pratiche in cui la percezione della propria corporeità non è oggettivizzata, cosalizzata, ma integrata nel sé corporeo, nel sé fisicoemotivo.

Vengono e si aspettano, da quanto hanno visto altrove o hanno provato in prima persona, dei movimenti stereotipati e scarso spazio a movimenti spontanei.
Palestre visitate o frequentate, pratiche viste o agite, dove regnano asimmetrie cinetiche e posturali, unitamente ad una scarsa familiarità sia con la motricità grossolana che con quella fine.
Dove “quello” che si pratica, ma soprattutto “come” lo si pratica (che si tratti di Arti Marziali, sport da ring o pratiche ginnico-sportive non importa, non fa differenza), porta il praticante a considerare il proprio corpo come un meccanismo estraneo, in cui,
- da un lato, percezioni ed azioni paiono localizzate in uno spazio esterno, estraneo. Il corpo viene considerato un oggetto di esperienza e non parte del soggetto, dunque esso è proiettato e trattato come se fosse altro da sé: dall’ammirazione narcisistica nel guardarsi gli addominali “scolpiti” all’affermare un comodo e rassicurante "mi si contraggono le spalle" invece di un adulto ed autocentrato "Io sto contraendo le spalle” o, meglio ancora, “Io sono spalle contratte”.
- dall’altro si è alienata la trama, il tessuto, che relaziona individuo ad individuo, incapaci di dare senso a quel che l’altro sta facendo accanto o insieme a te.

Pratiche frammentarie e frammentate che riflettono una cultura ed una prassi facilmente definibile schizofrenica, quando non psicotica: “Nella mia esperienza, i pazienti psicotici partecipanti ai gruppi di Dmt ripropongono  nella loro corporeità le proprie modalità psicopatologiche di funzionamento (tensioni croniche, vissuti di frammentazione, scarsa strutturazione del confine corporeo, perdita di piacere del muoversi, pesantezza…)”, scrive Vincenzo Bellia , psichiatra e gruppoanalista, danzaterapeuta.

A noi, allo Z.N.K.R., il compito di accompagnare il praticante a ri-abitare il corpo. Il corpo, per restare nella nostra cultura europea, che anni dietro Cacciari distingueva tra il modesto Korper, ovvero il corpo anatomico, l’avere un corpo e il vivente e palpitante Leib, che è corpo - vissuto, essere corpo; differenza, questa, ripresa poi da Umberto Galimberti.
Come io ripeto spesso, noi siamo corpo, ogni momento del nostro vivere è esperienza di corpo, corporea, e poi in pedana, giocando ironicamente sull’equivoco, sprono tutti esclamando: “Andate di corpo!”.
Con il ri-abitare il proprio corpo, scopriamo anche la cura della relazione con l’altro: l’intersoggettività come capacità di entrare in sintonia con l’agire dell’altro e, unitamente, l’affermazione di una sana separazione dall’altro, ovvero l’adulto che sa tanto tessere relazioni di comprensione anche conflittuale, quanto sa stare da solo affermando la propria piena autonomia. (*)

Non solo Chi Sau, Souei Shou, Sujin Te. Molte sono le occasioni, qui allo Z.N.K.R., per lavorare sul saper stare nelle relazioni, ovvero sull’essere consapevoli di sé e del proprio agire, unitamente al comprendere il compagno cosa fa e come lo fa e, consapevolezza fine, sottile, profonda, sorta di sesto senso, pure intuire cosa questi ha compreso di te e del tuo fare. E poi, scambiandosi calci e pugni e gomitate, assumersi la piena responsabilità di tutto questo !!
Prendiamo in mano le armi, d’acciaio: coltello, machete, bart cham dao, i coltelli a farfalla, (rigorosamente affilate, perché, altrimenti, che armi sarebbero?)  o di legno: tambo, il bastone corto e i doppi bastoni corti, jo, il bastone “medio”, e ne scopriamo gli innumerevoli stimoli in quanto a modificatori della nostra estensione nello spazio, a conduttori di attività multipla e simultanea, a guida esplicita dentro una sensomotricità nutrita di affondo nel bacino, esplorazione della muscolatura profonda, concatenazioni mio – fasciali. (**)

Vengono e, nel caso qualcuno si fermi, un mese, un anno o dieci, nessuno di loro sarà più lo stesso. Non lo sarà perché, su di sé, avrà scoperto che ogni singolo gesto di qualsiasi parte del corpo rivela un aspetto della nostra vita interiore.
Poi, starà a lui scegliere se fingere di non saperlo, mentendo a se stesso prima ancora che agli altri, o continuare, qui o e dovunque egli vada, con la nostra compagnia o quella di altri non importa, il suo personale cammino di individuazione, di affermazione coraggiosa e vitale.

 

“Mentre i movimenti degli animali sono istintivi e per lo più fatti in risposta a stimoli esterni, quelli dell’uomo sono carichi di qualità umane, poiché egli, con i suoi movimenti, esprime se stesso e comunica qualcosa del suo essere interiore. L’uomo ha la facoltà di prendere coscienza degli schemi creati dai suoi impulsi di sforzo e di imparare a svilupparli, a rimodellarli e ad usarli”
(R. Laban)

 
(*) Fossero così “adulte” le donnette che sento sparlare del marito / compagno in ogni occasione conviviale, come pure le clienti incontrate nelle mie diverse funzioni professionali, all’Ufficio Lavoro o nelle sedute di counseling. Invece, eterne bambine capricciose, sanno solo lamentarsi e, come mi disse recentemente una di loro all’ennesima fuga vigliacca, all’ennesima passività mostrata “Abbiamo paura della nostra stessa ombra”. E chissà se trattasi di coraggiosa affermazione di codardia o dell’ennesima piccola scusa per garantirsi un po’ di connivenza dell’interlocutore, comodamente sedute dietro un ridicolo paravento.

 (**) Ovvero tutti i movimenti, anche i più apparentemente semplici, sono in realtà così complessi che richiedono una precisa sequenza eseguita da un collettivo di muscoli, tendini, legamenti, articolazioni e nervi.






Nessun commento:

Posta un commento