mercoledì 10 agosto 2022

Incontri e scontri di corpi

In un precedente post (Il corpo che parla), ponevo la domanda su che senso avesse praticare Arti Marziali oggi, nel terzo millennio, in un contesto sociale e culturale del tutto diverso da quello in cui ebbero origine; mi spingevo, con le differenze già sotto gli occhi di tutti, a sottolineare che la concezione consumista, edonista e narcisista diffusa ovunque influenza e forma ogni tipo di pratica motoria:

Anche la pratica delle Arti Marziali?

Nei gruppi facebook dedicati alle AM a cui inviai il post e che fu accettato e dunque pubblicato (fa eccezione uno solo che spesso mi rifiuta senza dare spiegazioni), ho riscosso un discreto numero di approvazioni, “like” come si dice adesso in piena sottomissione alla moda anglofona, ma nessuna risposta. E nessuna risposta nemmeno qui, nel mio blog,

Nessuna risposta, davvero. Né offrendo a spiegazione una qualche citazione generica, né tantomeno e ben più importante, portando una propria esperienza di pratica, carnale: io faccio Arti Marziali rapportandomi in questo tal modo con un contesto che nulla conserva delle origini e dei valori delle stesse.

Per restare in superficie, mi ricordo di quel che mi disse alcuni decenni addietro un esperto di Arti Marziali, non ricordo se fosse il compianto Maestro Cesare Barioli o il Maestro Claudio Regoli: “Noi siamo abituati, non ci facciamo più caso, quando ci imbattiamo in gruppi di italiani col vestitino da Karate o da Kung Fu; credi che resteremmo altrettanto indifferenti se incontrassimo venti asiatici vestiti con gli abiti tradizionali del sud Tirolo?”

Fuor di ironia, cosa vivi di te nella pratica marziale, cosa cerchi e trovi in te corpo abitando un’Arte resa inutile nel suo scopo primario da una vita in cui nessuno ogni giorno cerca di ammazzarti; i cui contenuti di saggezza e calma interiore non sono certo raggiungibili ripetendo forme su forme, tecniche su tecniche? Il tutto, sotto la cappa di una concezione diffusa del corpo come oggetto, come strumento alienato dal sé, strumento da esibire.

Nella mia poca dimestichezza con i social, confido di non sbagliarmi se mi aspetto che, tra i post e video di chi mostra la sua bravura in una “forma” o in una difesa da aggressore, chi pubblica una importante frase tratta dai testi classici, ci sia anche chi scrive ed espone di sé e del suo senso nel dedicare tempo, energie e soldi a praticare delle Arti avulse da dove e come siamo noi ora. Uno scambio tra praticanti.

Ecco, allora scrivo di me, di come io intendo la pratica ora,

e magari qualcuno espone la sua di esperienza  

Personalmente pratico Arti Marziali recuperandone ed attualizzandone (appunto, siamo in Italia nel terzo millennio!!) l’aspetto di centralità del corpo: un corpo abitato, vissuto e non corpo oggetto, consumato, e di corpo inserito in relazioni di gruppo, di collettività.

Noi entriamo in contatto col mondo, con l’ambiente, attraverso il corpo: chi ora mi sta leggendo lo fa con gli occhi e dagli occhi trasmettendo impulsi al cervello; mentre mi legge, le sensazioni che prova, gli modificano il ritmo del respiro; mentre mi legge, ha una postura che cambia e agisce dei micromovimenti in tutto il corpo.

La nostra stessa mente è profondamente incarnata, come scrivevano già i taoisti e da alcuni anni ha scoperto il mondo delle neuroscienze.

Propongo un praticare di corpo che induca alla consapevolezza di come siamo ed abitiamo corpo e di come, attraverso il corpo, conoscere di noi stessi e di come ci relazioniamo con gli altri.

A fronte di una comunicazione sovente disincarnata, non solo per le restrizioni dettate dalla pandemia ma soprattutto, per l’imperare di una vita sempre più virtualizzata e tinta di consumo senza uso, sostenuta da valori egoriferiti e narcisisti, uso le Arti Marziali per ri – scoprire il sapere del corpo ed i giochi dei corpi; questo in un contesto di scontro, di lotta che, per metafora, forma a ben stare nei quotidiani “scontri” in famiglia, nel lavoro, negli affetti, ecc.

Così cerco di recuperare il cuore delle Arti Marziali per farne un percorso attuale e di senso compiuto anche oggi, in Italia, nel terzo millennio. Per realizzarlo, ogni esercizio, ogni gioco proprio delle Arti Marziali lo propongo ri -modellato e inserito in una didattica ed in una andragogia antagonista, anche alternativa, a quelle dominanti, ovvero maieutica e libertaria di contro a quella che chiede di imitare modelli dati, che ritiene l’allievo un asettico e passivo contenitore da riempire con un sapere dato, in cui il docente ordina e l’allievo obbedisce e imita.

Questo è il senso che io do al praticare arti di combattimento nate e cresciute secoli or sono, in società e culture ormai scomparse, praticate da uomini che conducevano vite del tutto diverse dalle nostre.

C’è qualcuno che si è posto il mio stesso interrogativo? Se sì, come lo ha affrontato?

 




 

 

 

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