martedì 4 ottobre 2022

Spingere, che è premere. Tirare, che è cedere

I push hands, (suoishou, tuei shou o comunque si voglia chiamarli) sono variamente interpretati; a loro si attribuiscono caratteristiche e fini sovente diversi, quando non divergenti, tra una Scuola e l’altra.

Per me, la caratteristica principale, quella che è “in figura” lasciandone altre sullo sfondo, è la capacità di costruire una membrana elastica, uno scudo difensivo capace di trasformarsi in scudo offensivo.

Partiamo dalla fisiologia del corpo, generalmente orientata su ritmi binari: compressione ed espansione, condensazione e dispersione, di cui è modello la regolazione del tono muscolare. La nostra muscolatura vive di continue alternanze tra tensione e distensione, che sono la base di ogni nostro gesto ed esprimono i nostri stati d’animo, emos – azioni.

I processi psichici più arcaici agiscono lungo confronti binari che, in situazioni di crescente complessità, si articolano in sintesi dialettiche. Osserviamo l’agguato di un predatore: ogni preda, al momento dello svelamento del pericolo, si immobilizza. Quella che rapidamente muta tale stato in fase di fuga ha probabilità di sopravvivere, quella che indugia nello stato di fissità, muore.

Le azioni di tirare a sé e respingere sono quelle basiche nell’uomo: portare il cibo alla bocca, abbracciare chi si desidera, come accettazione, conoscenza, desiderio di avere; l’opposto è respingere, allontanare, repellere. I push hands sono dunque espressione fondamentale dell’individuo; praticarli riporta all’istintualità, alla ricerca del predatore / guerriero che lottava per la sua sopravvivenza, alla scoperta di quei tratti arcaici che differenziano l’artista marziale dallo sportivo. Ho scritto “differenziano”, senza nessuna pretesa di superiorità dell’uno sull’altro, semplicemente l’obiettivo è diverso tra chi cerca il contatto con la pulsione di morte, con il gioco dialettico vita / morte e chi cerca l’eccellenza nella prestazione sportiva.

Praticarli, per me, significa scoprire che le dinamiche cedere e premere (yeld and push) e raggiungere e tirare (reach and pull) operano, in forme diverse ma collegate tra di loro, nei diversi schemi di coordinazione motoria, sostenendoci sia quando ci flettiamo su noi stessi e sulle nostre risorse sia quando esploriamo lo spazio fuori di noi.

La lentezza nell’esecuzione dei push hands

inibisce la formazione all’esplosività necessaria quando si colpisce?

Nient’affatto. Non solo agire lentamente permette una capacità autodescrittiva fondamentale per conoscersi nel movimento e migliorarsi, ma la variazione temporale tra premere e colpire diventa non più soggetta ad una intenzione, ovvero ad una costruzione di pensiero, ma ad una capacità intuitiva, al percepire ciò che sta dietro le cose, all’apparenza, dentro il dialogo degli opposti con il compagno di pratica, attingendo alla nostra parte “oscura”, animalesca, distruttiva. Così l’esplosione di forza e penetrazione che, in alcuni momenti della formazione si usa, sarà davvero fa jing, o hakkei, e non semplice contrazione muscolare; sarà amalgama, per dirla con Rudolf Laban, della combinazione perfetta di ciò che serve a creare un “full effort” (1), quello necessario in ogni situazione estrema, traboccante cariche emotive; appunto: combattere per non morire.

 

1. “Il tipo di Sforzo che guida una determinata azione determina come tale azione viene eseguita” (https://labaneffortsinaction.com/labans-efforts)

 

 


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