martedì 25 luglio 2023

Conferenze brasiliane


Per me, Franco Basaglia era “solo” l’uomo a cui si doveva la chiusura dei manicomi e l’avvio di una stagione di confronto (purtroppo mai avvenuto) tra malattia mentale e società.

Poi, leggo

Conferenze brasiliane

Scopro, così, un uomo politico nel senso compiuto ed autentico del termine, un militante appassionato totalmente coinvolto nell’ottimismo della pratica, capace di annodare tra loro lotte apparentemente le più diverse perché creino un intreccio di autentico cambiamento strutturale.

Facile (lo so da anni!!) comprendere perché ai posti di potere dello Stato non siano stati (e mai saranno) chiamati, che so, Basaglia o Gino Strada alla Sanità; Daniele Novara o Anna Rezzara all’Istruzione; Augusto Ponzio o Enzo Spaltro al Lavoro, ecc. Uomini e donne impegnati a dare lustro alla res publica, ad una radicale trasformazione sociale. Qui, invece, vige il motto gattopardesco “Cambiare tutto per non cambiare niente”, dunque l’asservimento ai dettami ed ai valori della società dello sfruttamento.

Conferenze brasiliane raccoglie, di fatto, la summa del pensiero di Franco Basaglia, le conferenze che tenne in Brasile un anno prima di morire.

In esse emerge una visione completa e complessiva delle istanze libertarie e trasformatrici che attraversano le menti più acute della società ed i moti popolari di massa. Una visione che chiede ad ogni istanza di collegarsi alle altre ed insieme di coinvolgere nel processo di radicale cambiamento la struttura socio-economica.

Basaglia non si limita ad affermare che “Il malato non è solamente un malato ma un uomo con tutte le sue necessità”, a smontare il meccanismo oppressivo dell’internamento, ma arriva ad affermare “Non credo che una persona malata possa vivere in questa società perché questa società la uccide. E’ chiaro che il nostro compito è cambiare la società, perché vogliamo vivere e vogliamo che il malato viva”.

Da queste premesse parte una visione del cambiamento che investe la società tutta, nel rapporto uomo – donna, padre – figlio, ecc. e lo fa sempre legando ogni cambiamento all’altro, intessendo un tessuto unitario senza il quale ogni tentativo di riforma non avrà successo.

Basaglia, poi, pone in guardia il lettore dal credere che la contrapposizione sia muro contro muro. No, il potere è capace di assorbire ogni spinta al cambiamento annacquandolo e piegandolo, ancora una volta, alle leggi del potere, dello sfruttamento. Visione lucida, appassionata, che impone, ad oltre quarant’anni dalla sua morte, una riflessione anche sulle istanze di cambiamento più recenti.

Penso alle istanze LGBTQIA e alla teoria Gender, che, nella loro sovraesposizione, altro non sono che il frutto di una mentalità di eterni adolescenti servi di una visione consumista, per la quale l’individuo indefinito maschio o femmina non ha come obiettivo un desiderio unico e personale, ma vive per soddisfare capricci momentanei.

Penso alla facile presa che queste istanze e teorie hanno sulle menti acerbe e in formazione di adolescenti già bombardati da pretese consumistiche di soddisfazione immediata, di appagamento immediato. Penso alla stupidità delle organizzazioni sindacali che, alla festa dei lavoratori, invitano sul palco tal Fedez il quale, invece di spendere parole per gli oltre mille morti sul lavoro, cinguetta di libertà di pittarsi le unghie a piacere. Penso a come questi pretesi diritti individuali siano ora pane quotidiano anche per insospettabili adulti al seguito del pensiero di cantanti, influencer e politici presunti progressisti, in realtà domestici della società dello sfruttamento e del consumismo.

Penso alle tante lotte contro il riscaldamento globale, l’inquinamento da plastica, il razzismo e vedo che esse restano tali, senza un tessuto comune, senza un progetto politico comune e le vedo, di conseguenza, depauperate e svilite da un potere che le accoglie e le inquina fino ad avvelenarle.

Di più, vedo che nella lotta all’inquinamento non compare mai la lotta all’inquinamento culturale, valoriale, che la sta facendo da padrone nelle menti e nei comportamenti di giovani ed adulti.

Ormai domina l’individualismo più sfrenato, il modello USA “Se non ce la fai, non mangi”, il narcisismo più becero e volgare, il “consumo senza uso”, la furbizia dell’evasore elevata ad intelligenza contro lo Stato oppressore.

Alcune delle lotte dei miei anni adolescenziali e giovanili, anni ’60 – ’70?

La libertà sessuale? Ha aperto le porte a un enorme mercato pornografico, a un sesso virtuale in cui si evita di confrontarsi realmente, di corpo, per fingersi quello che non si è vantandosi di prestazioni virtuali, finte, e mettendosi a posto quel che resta della coscienza con la bugia che “Tanto è solo un gioco”.

L’antiautoritarismo scolastico? E’ diventata l’occasione per sfasciare la scuola come luogo di educazione e formazione e per reinventarla introducendo i primi tentativi di restaurazione servile al mercato del lavoro con lo slogan berlusconiano “inglese e computer” ed ora con il “Ministero dell’istruzione e del merito”.

E’ ancora Basaglia a porre l’accento sulla questione del potere nei manicomi come negli ospedali, nella scuola, nei luoghi di lavoro: “Finché non cambia la relazione di potere, non potranno cambiare le condizioni della salute, della vita”.

Ecco, ormai nel terzo millennio, di queste sue idee e di questa buona pratica capace di estendersi oltre i confini della salute mentale, cosa è rimasto? Una classe dominante ormai avvezza a quella che Marcuse chiamava “tolleranza repressiva” e il montante individualismo che penalizza ogni costruzione comunitaria, che fa della spettacolarizzazione il suo credo.

Non so se una soluzione, per i pochi Ribelli e visti i profondi cambiamenti sociali intervenuti in questi ultimi decenni, sia fare il salto dalla lotta di classe alle lotte di classe come teorizzato da alcuni, oppure, come dice e scrive Umberto Galimberti, il nichilismo sia il nostro destino.

Basaglia scriveva “Parlando per assurdo, potrei alimentare tutti gli uomini, offrire casa a tutti, creare condizioni di conforto materiale che possano soddisfare tutti, tuttavia il dolore che opprime l’uomo, l’angoscia di ogni giorno nella relazione con gli altri uomini, tutto questo io non posso risolverlo. Questa angoscia esistenziale fa parte dell’uomo, è una realtà, e tale relazione tra l’ordine sociale e la dimensione esistenziale rappresenta la contraddizione e l’opposizione della nostra vita”.

Eppure, queste amare considerazioni non gli hanno impedito di lottare fino agli ultimi giorni di vita per una società migliore, per un uomo migliore.

 

Scritta apparsa sulla scala presso fermata Porta Romana

 

 

 

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