mercoledì 25 settembre 2013

Ciao papà

Giovedì 19 Settembre mi hai lasciato solo.
Sembrava ce la potessi fare, nonostante un ictus e le complicanze all’intestino, nonostante l’età, over 95. Invece no: una telefonata dall’ospedale, una corsa ( va bè, “corsa” nel traffico insensato di Milano non c’azzecca un gran ché), la porta della camera chiusa e quando i dottori sono usciti tu te ne eri appena andato.
Mi hai lasciato un dolore immenso, un buco nero profondo e che fatico a guardare. Ma, come ho detto ad alcuni amici, non posso certo lamentarmi: quanti possono vantare la compagnia del padre per tutti questi anni in cui mi sei stato accanto: 61 anni. Io, fino ai 61 anni, ho avuto con me il mio papà !!
Sarei stolido verso la vita e egoista verso gli altri, quegli altri che il papà l’hanno perso a 30, a 40 anni ed alcuni anche prima.
Però il dolore resta. Ed è forte e malevolo.
Mi consola sapere che hai smesso di soffrire; che tu, uomo dalle mille risorse e dalla grande vivacità costretto all’inedia dall’età e dagli acciacchi, hai smesso di chiedere di farla finita. Finita con una vita che, ormai, non ti dava più nulla, che era una canzoncina dimessa e stonicchiata per te che hai cantato a voce piena le più belle melodie che un uomo possa conoscere.
Un’infanzia povera da cui sei uscito contando solo sulle tue forze. Una giovinezza allegra per quanto possa esserlo per chi veniva dal “proletariato” e viveva sotto la dittatura fascista.
Poi gli orrori della guerra. Tu imbarcato sulla nave Neptunia, il siluro che la colpiva facendola affondare, e tu, che manco sapevi nuotare, precipitato in acqua, retto da un modesto salvagente di sughero, poi aggrappato ad un cadavere, prima di essere tratto in salvo. Una sosta all’ospedale e via: nel deserto africano, male armati ed equipaggiati, a portare in quelle terre l’orgoglio nazionale di una nefanda dittatura espansionista. Le battaglie, le scaramucce, la vergogna per quelle tue lacrime, “le uniche” ci tenesti a dirmi, a Tobruk, dove tanti tuoi compagni d’arme andavano contro il nemico e pochi erano quelli che tornavano.
La menzione d’onore che venne recitata per te davanti ai tuoi compagni, la granata che ti ferì ad una coscia, I tormenti di El Alamein e la cattura da parte delle truppe inglesi.
Ti portarono a Manchester e lì le cose cambiarono. La tua vivacità, la tua voglia di vivere, ti regalarono anni spensierati: una professione rapidamente imparata, il cuoco, come la padronanza della lingua di casa, l’inglese, e, complice quegli occhi grigi di gatto e la stazza, non restavi certo solo la sera…
Ma a casa c’era una donna ad aspettarti, insieme alla tua terra d’origine.
Ti rimboccasti le maniche e via, famiglia con due figli e lavoro in fabbrica. Però non smettesti mai di prendere la vita alla tua maniera. La passione per il modellismo funzionante, soprattutto navi e treni, che riempivano la casa. Le tue urla di biasimo, perché io mi divertivo a farli scontrare quei tuoi preziosi treni, i pomeriggi insieme, tra fontane e laghetti, a far andare le navi che costruivi con le tue mani. Le Domeniche in cui sempre portavi in tavola un cabaret di paste. La mia riluttanza a seguirti fuori casa, io che amavo stare a chiuso in cucina, a inventare storie interminabili con cow boy e pellerossa.
Sei sempre stato, per così dire, creativo e “diverso”: portavi per strada una nave di oltre un metro e mezzo scarrozzandola su un passeggino per bimbi che avevi adattato all’uopo; fosti il primo, in Italia, a disegnare orditi sui collant da donna, e poi fu il boom, la moda; portavi appeso al petto, in un seggiolino ideato e costruito da te, mio figlio Kentaro e di lì a poco commercializzarono i marsupi per neonati. Bastava farti una richiesta e tu, penna e carta, la traducevi prima in un disegno, poi … eccola realizzata. Anche se, sovente, il merito veniva attribuito ad altri: i titoloni dei giornali per quel modellino che aveva sbancato alla gara, col nome del proprietario accanto e nemmeno una accenno a te, che per lui lo avevi costruito; le belle parole per le tue invenzioni sui collant, ma prestigio e soldi a chi si accaparrò l’idea; anche se poi la tua ingenuità, a volte, ci lasciava stupefatti: quel marchingegno che costruisti per far scomparire le carte da gioco dentro la manica … proprio non ti venne il sospetto che il committente fosse un baro di professione ?
Ci furono anche gli anni nient’affatto idilliaci. Quando la violenza che mi rodeva dentro esplodeva incontrollata e la sbornia ideologica del ’68 ci portarono prima a non capirci, poi a scontrarci anche fisicamente.
Poi, piano piano, riprendemmo ad “annusarci”. Anche se per te ero sempre un tipo strano ( ma dai, chissà da chi avrò preso ?!). Quando venisti con me ad un mio abituale giorno di lavoro, tra riunioni con animatori sportivi, incontro con un assessore comunale e assemblea con dei genitori e tu, abituato a vedere i tuoi lavori crescere davanti a te, grazie al tuo ingegno ed alle tue mani, la sera, concludesti con uno sconsolato ”Se piace a te !”. Che lavoro poteva essere, per te, parlare e parlare e parlare !!
Ecco, questa è una delle doti che ti riconosco: quand’anche non mi capivi, però mi accettavi o, almeno, anche se in modo burbero, mi sopportavi e, a tuo modo, mi proteggevi.
E tu ci sei stato nella mia prima casa con Donatella, laddove alcuni mobili li costruisti tu e sempre tu correvi in nostro soccorso quando Kentaro era malato e noi dovevamo andare al lavoro ed ancora tu, in estate, a giocare con lui ore ed ore, a costruirgli il ring dei wrestler o l’auto radiocomandata e tu a prenderlo all’uscita di scuola.
Ci sei stato nella mia prima casa con Monica, a scegliere insieme gli elettrodomestici per poi regalarceli e a realizzare l’armadio grande.
Ci sei stato nell’aprire il Dojo, per costruire gli spogliatoi, per mettere il canniccio, per appendere il sacco, per stendere il linoleum. Io a farti da “magut”, da aiutante da te sempre bistrattato e rimbrottato: proprio non digerivi che, a parte menare le mani, i lavori manuali per me fossero fonte continua di impacci ed impicci.
Poi l’età avanzata ti ha impedito di essere quello stesso nonno grandioso anche per Lupo, poi la sordità, poi quelle che il poeta ebbe a chiamare “le ingiurie del tempo”.
Infine l’isolamento: per te che scappavi in Svizzera a vedere i treni o a Genova per vedere le navi; che passavi ore ed ore nella tua cantina adattata a laboratorio, tra tornio, frese e marchingegni d’ogni genere, che a tutte le ore ricevevi telefonate di amici e clienti perché facessi loro una locomotiva in  miniatura o costruissi quel pezzo di ricambio di una moto da cross che non si trovava più in commercio, perché miniaturizzassi un cannoncino della seconda guerra mondiale perfettamente funzionante o riparassi un frullatore; che leggevi tutto il quotidiano, dilettandoti anche con le pagine d’economia; ecco, per te quella forzata inedia, quello stanco sopravvivere, era già una fine.
La fine che ti ha colto Giovedì 19 Settembre.
Addio per sempre, papà.

Il giorno in cui mi vedrai vecchio e non lo sarò  ancora, cerca di comprendermi...............
se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi.....abbi pazienza.
ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo.
se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose.....
non mi interrompere...... ascoltami.
Quando eri piccolo, dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi.
Quando non voglio lavarmi, non biasimarmi e non farmi vergognare...
Ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno.
Quando vedi la mia ignoranza delle nuove tecnologie , dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico, ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l'abc.
Quando,  ad un certo punto, non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso .... dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non ti innervosire ..... la cosa più  importante non è quello che dico,
ma il mio bisogno di essere con te ed averti li che mi ascolti.
Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo, non trattarmi come fossi un peso .
Vieni  verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.
Quando dico che vorrei essere morto... non arrabbiarti. un giorno comprenderai. che cosa mi spinge a dirlo.
cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive.
Un giorno scoprirai che, nonostante i miei errori, ho sempre voluto il meglio per te e che ho tentato di spianarti la strada.
Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa
allo stesso modo in cui  io l'ho fatto per te.
Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza, in cambio io ti darò  un sorriso e l'immenso amore che ho sempre avuto per te.
Ti amo figlio mio e prego per te, anche se mi ignori




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