Seminario
Kenshindo 9 Luglio 2016
Agriturismo
“Il Bivacco”
(in “Polemos vol. II”)
Scriveva
Andrea Venanzoni, che l'uomo, da secoli, indirizza gran parte della sua energia
per trincerarsi dietro quelle che Carlo Marx chiamava “sovrastrutture” (uberbau)
ovvero, in linguaggio semplice: “comode bugie”, solo per coprire la sua vera
natura di bestia, legata ad istinti primordiali e naturali. Questa ipocrita
negazione, è esponenzialmente aumentata col passare del tempo e con i progressi
della civilizzazione.
L'uomo
moderno, per negare, ricorre a bugie sempre più contorte. Viviamo in un mondo
in cui da un lato si predicano amore, pace, fratellanza, accoglienza e poi,
dall'altro, ci si crogiola, solleticando i peggiori appetiti, guardando in TV il
plastico di Cogne o l'ennesimo dettagliato servizio sul delitto di Yara
Gambirasio, (siamo a quello che Andrea Venanzoni chiama “cortocircuito pornografico”). Dall’altro, lasciamo che i governi,
anche in barba alla Costituzione, esportino ovunque guerre e massacri
foderandoli di bugie colossali travestite da dotte e generose teorie
sull’esportare la democrazia, girando sguardo ed orecchie al sentire dei danni
provocati da “bombe intelligenti” o delle colossali ruberie con le quali i
“nostri” business men spogliano e depauperano intere nazioni (vedi l’ENI in
Nigeria) innescando così bibliche migrazioni di popolazioni affamate ed
incazzate verso le nostre coste.
E,
allora, che ci facciamo noi, individui del terzo millennio, con il lungo
acciaio del katana in pugno?Sorta
di generosa pratica guerriera che orienta la lama verso la regione possente che
vive, magari sopita ma mai del tutto scomparsa, nel mondo interiore di ognuno
di noi, per ridestarne il fuoco e il sapere ancora possibile, ancora risvegliabile,
attraverso la disciplina, il combattimento, lo sguardo di un uomo che ingaggia
lo sguardo di un altro.
Là
dove, nello sfoderare l’arma letale, nel sibilarne l’acciaio a pochi centimetri
dal collo del compagno o nel soddisfarne la fame assassina tranciando di netto
stuoie e bambù, si compie il rito vero, autentico, feroce, del cacciare se stesso.
Sorta
di guerrieri a sangue freddo, che esplorano e portano alla superficie lo stato
naturale dell’essere umano, scandalizzando gli inetti pacifisti quanto i
praticanti delle spade di latta perché sbattono un’immagine adulta e coraggiosa
in faccia a una cultura e ad una collettività in cui i modelli dominanti sono deboli
perbenisti, anomalie gender, conformismo di massa e trasgressioni di massa,
mondi e pratiche virtuali.
Da
troppo fastidio questo mio parlare di loro come di criminali per bene?
Disturba
questo mio disprezzo verso le parole di amore universale e new age come se i giacobini
della violenza, perché senza ghigliottina, non siano tali?
E
noi, noi pochi, pochissimi, siamo qua, in uno spiazzo d’erba nelle campagne
pavesi, a tirar d’acciaio, lustro e affilato.
Siamo
chi siamo, maschi e femmine, che la Via della conoscenza e della trasformazione
non fa distinzioni; la pratica del confliggere, del combattere, non subordina,
non discrimina, solo chiede a maschi e femmine il coraggio umile di penetrarsi
fino in fondo, mentre tranciamo stuoie e bambù e maschere di cartapesta
indossate ogni dì.
Siamo
arrivati qui come eravamo, ognuno con la sua canzone, triste o sfacciata,
noiosa o divertita, a volte così uguale alla mediocrità mondana a volte così
diversa da far quasi tenerezza.
Io,
che pure sono il Sensei, il “nato prima”,
la guida di questi uomini e di queste donne che da anni mi accompagnano,
cercatori a loro volta, a loro volta cacciatori di sé, di tutte le strade
possibili non so quale sia quella giusta, sempre che una sola sia la giusta.
Nemmeno so di incroci e svolte, che troppi sono gli ostacoli lungo il cammino.
Il
viaggio di un guerriero, di un cercatore, non è l'illusione di attimi
pericolosi sulle coste del nord Africa, dove mitragliatrici e filo spinato tutelano
la quiete delle ville e dei bagnanti; non è lo stordirsi di binge drinking come omologazione al resto del gruppo; non è
l’ossessivo e compulsivo ritmare di pollici sulla tastiera di un computer o
sulla console della play station; non è il corso di sopravvivenza o le iperboli
narrate sui forum di Arti Marziali; non è fuga né sfogatoio né pretesa di
onnipotenza.
Il
viaggio del guerriero, del cercatore, è la
gioia del tempo, è direzione che non prevede sosta, è solitudine nel
gruppo.
Così,
io non so mai, finito lo scivolare dell’acciaio, il suo incontrare l’Ombra di
ognuno, che succederà dopo. Perché ogni guerriero, ogni cercatore dello
Z.N.K.R. non porta il katana al fianco per divertimento, prestazione o tornare
a casa contento.
Lo
fa perché, per alcune ore o per tutta la vita, ha scelto di essere vento, che
nessuno può comprare, nemmeno l’uberbau, le balle che ci raccontiamo
per tacere di noi e del nostro spirito predatorio, nemmeno il pacifismo di
maniera che parcheggia l’auto sulle strisce pedonali e gongola curioso nel
fermarsi a vedere il sangue dell’incidente stradale buttando anche un occhio
alle cosce nude della ragazzina che corre lì accanto, nemmeno lo spirito
vigliacco di chi scappa davanti al pericolo e “chi se ne frega” se altri ci muoiono dentro.
Lo
fa e basta, che sa di vivere.
(E. Che Guevara)
Nel tameshigiri al tramontar del Sole guardo là, dove le fronde degli alberi incobcontrano il Cielo:
RispondiElimina" che belli i colori di un Sole che muore".
Ed è quando il Sole "rinasce" poi, tra le calde mura della mia tana, il cinguettare degli uccelli, le sinuose forme dell amore, ieaculare mentre la luce avanza..in un continuo Tao di amore e morte, là, respiro la vita.