giovedì 26 marzo 2020

Essere e vivere di corpo: cosa ci può insegnare il Covid - 19


 


Uomini, donne, giovani e anziani, costretti in casa a fare i conti con relazioni che, per forza, si fanno strette, assillanti, quotidiane.
Genitori e figli posti, per la prima volta per giorni e giorni, sempre gli uni davanti agli altri senza diversivi o vie di fuga. Mogli e mariti posti, per la prima volta e per giorni e giorni, sempre fianco a fianco 24 ore su 24 a condividere angusti spazi fisici e spazi sentimentali, cose da fare e da evitare.
Uomini, donne, giovani ed anziani, costretti, per contro, a stare lontani, distanti contro la loro volontà. Amanti nascosti i cui momenti intimi rubati negli intervalli non esistono più. Lavoratori instancabili e appassionati e lavoratori  disinteressati in fuga dalla routine di casa che non hanno più la loro isola comunque felice. Amici del cuore ed occasionali incontri di un aperitivo che non sbocciano più ma appassiscono di giorno in giorno.

Lo scrittore israeliano David Grossman (1) paventa un dopo segregazione in cui ognuno sceglierà di cambiare qualcosa di sé e del suo vivere, dopo questa esperienza di convivenza ( ma io dico anche di lontananza) forzata.
Forse.
Ma chi sceglierà il cambiamento: fare un figlio o rinunciare a farlo, separarsi dal coniuge per congiungersi all’amante o viceversa, abbandonare il posto di lavoro o decidere di farvi carriera ecc. lo farà per autentica scelta o per fuga vigliacca dalle sue responsabilità? Lo farà per scelta adulta o inseguendo i capricci o gli ormoni di un novello Peter Pan?
Ottimista Grossman nel ritenere che “La presa di coscienza della fragilità e della caducità della vita spronerà uomini e donne a fissare nuove priorità. A distinguere meglio tra ciò che è  importante e ciò che è futile”?
E chi sceglierà di non cambiare, lo farà per una raggiunta consapevolezza, per amore del trovato o ri-trovato, o per pigrizia, per abitudine, perché, come si dice in certi ambienti “La merda puzza ma tiene caldo”?
Mah, forse è più nel vero Massimo Gramellini che prevede un banale ritorno alla normalità dell’ameba. (2)

Crescono, pare, le videochiamate e l’assembramento su quelle piattaforme che permettono di parlarsi e vedersi in più d’uno contemporaneamente.
È un modo per richiamare il corpo, “evocare il contatto attraverso l’apparizione dell’immagine dell’Altro”, scrive lo psicoanalista Massimo Recalcati.
E’ una solidarietà non retorica ma necessariamente solitaria e silenziosa, l’occasione concessa di fare parte di una comunità di solitudini?
Forse.
O forse è il terrore di affogare in un mare di solitudine di cui non si vede il fondo, la convinzione popolare che “mal comune mezzo gaudio”, la castrata voglia di fuggire dal dove e con chi sei adesso.
Ci sono momenti di solitudine che cadono all’improvviso come una maledizione, nel bel mezzo di una giornata. Sono i momenti in cui l’anima non vibra più” scriveva Alda Merini
Quanto è la consapevolezza della tua fragilità forte a farti cercare l’altro? Quanto un rinnovato senso di  solidarietà e collettività ti induce ad offrirgli un ponte seppur virtuale?
E quanto, invece, ti spingono la tua dannata paura della solitudine, della caducità ed incertezza del vivere che questo Covid – 19, o meglio, le decisioni dei potenti su questo Covid – 19,  ti ha svelato senza possibilità di mentirsi o fuggire?
Siamo tutti yogurt la cui data di scadenza ci è nascosta”, mi disse, decenni addietro, un allievo.

Questa evocazione di corpo e corporeità si sostanzia, sui social, di programmi dei più svariati, e scriteriati, per “tenersi in forma”. Tutti, dagli specialisti al generico quotidiano “La Repubblica”, accomunati
- da una concezione del corpo come asettico strumento, come macchina: “Allenare glutei ed addominali”,”10 esercizi per tenersi in forma”, pezzi di un corpo asettico, altro da me.
Se la lingua italiana in questo non ci aiuta, ricorriamo, come fatto altre volte, alla lingua tedesca.
Il filosofo e matematico Edmund Husserl chiamava Korper il “corpo-oggetto” o “corporappresentazione”: il corpo in quanto occupa un certo spazio e risponde quindi a certe misure, il corpo ridotto alla semplice misurazione di certe quantità (peso, larghezza, lunghezza, ecc.). Invece Leib è il corpo vissuto come esperienza, come abitato, unità imprescindibile  di percezione e movimento, quello che io chiamo “fisicoemotivo”. (3)
- da una ignoranza totale degli stessi componenti di questa macchina,  come se la stessa potesse funzionare e durare nel tempo senza un equilibrato rapporto tra i componenti: Allenati per farti una carrozzeria Ferrari e non curarti se il tuo motore è quello di una FIAT 126; fatti la carrozzeria di un SUV Porsche sul telaio di una Smart; metti le ruote di un Hammer ad una Nissan Micra ecc.  e, soprattutto, fottiti del guidatore!! (4)
Insomma, questi incompetenti non solo non sanno dello stretto, inseparabile rapporto tra fasi psicologiche e fasi di movimento in cui ogni intervento sul corpo volto a riorganizzarlo e a reintegrare le caratteristiche di movimento comporta una conseguente riorganizzazione sul piano psichico e viceversa, ovvero una crescita sul piano psicologico dischiude a un nuovo modo di muoversi.
Questi nemmeno sanno come intervenire, senza far danni, sulle singole parti !!
Così abbondano esercizi in iperlordosi lombare, affondi con sovraccarico sulle ginocchia, crunch con affaticamento dei dischi intervertebrali e lombari e con pressione abnorme delle vertebre cervicali, piegamenti sulle braccia e plank col peso sostenuto  dall’articolazione del polso invece che scaricato sul centro della mano, ecc.

Allora eccoli uomini e donne, giovani resi sfrontati dall’età anagrafica o attempati ed attempate  il cui pelo in capo e quello tra le cosce che si va imbiancando terrorizza mostrando loro il tempo che passa, dedicarsi forsennati ad una pratica motoria volta ai conseguimenti mondani, ad accrescere l’autostima davanti allo specchio o sulla bilancia, a farsi accettare dalla collettività in quanto magri e sodi, a esporre e vendere meglio il prodotto corpo / korper per soddisfare gli ormoni scomposti al mercato della vanità e del consumo sessuale.

Laddove invece l’autenticità, lo Spirito Ribelle, sta proprio nel liberarsi dalle costrizioni imposte, dalle mode imposte, dall’alienazione indotta, per inoltrarsi nel terreno perturbante del se stesso.
Perché la capacità fisicoemotiva di modificare, contrarre, espandere lo schema corporeo, di sentirlo a seconda delle situazioni, di prendersi spazio o di ridurlo quando occorre è una caratteristica di plasticità della persona  adulta ed autosufficiente, quella che, pur se sbalzata o ammaccata dalle situazioni del vivere, pur se a volte cade ed altre si smarrisce, sa, o almeno ci prova, coltivare vitalità ed erotismo, sa tenere  lontana la nevrosi.


Praticare di Leib e non di Korper, è un atto rivoluzionario
proprio perché significa dedicarsi a qualcosa che, secondo i canoni in voga,
è radicalmente privo di utilità 
e, 
mi permetto di sostenere,  
per questo già di per sé genuinamente terapeutico. (5)

Scegliere di praticare un cosa e un come che non solo non ti salverà dal destino che attende tutti ma ti porrà in conflitto prima con le tue paure e le tue presunte certezze  poi con l’opinione comune; scegliere questo che farà di te un individuo unico nella massa indistinta; un unico per cui se solo pochi altri “unici” avranno per te valore questo non ti impedirà, in una società in cui puoi essere qualsiasi cosa, di farti gentile con tutti, ha in sé un che di enormemente coraggioso. E’ solo un soffio, ma è quel soffio per cui vale la pena vivere sapendo che dovrai morire.

Chissà se questa segregazione imposta, obbligati al distanziamento sociale, alla reclusione nelle nostre case, sarà, come scrive Recalcati, “un’esperienza assolutamente nuova e radicalissima della libertà”.
Una libertà intesa  come connessione prima di tutto con il sé fisicoemotivo più autentico e profondo che è condizione indispensabile per una connessione, un senso di comunità, con l’altro e lo sconosciuto perché Nessuno può fischiettare  una sinfonia. Ci vuole un’intera orchestra per suonarla” (H. Luccock)


2. Signor Virus, come se non bastassero la reclusione e la puzza d’amuchina, ogni giorno c’è qualche vip avido di soldi e di fama, pronto a spiegarci che tu ci farai diventare più saggi e meno avidi. Si sa che la paura di morire compie miracoli di introspezione. Però, come tutte le emozioni, di solito si esaurisce con la situazione che l’ha causata. Correggimi, tu che la sai lunga perché vieni da lontano, ma l’apertura del cuore e la consapevolezza sono il risultato di un duro lavoro su sé stessi. Non vengono elargiti di colpo da una circostanza esterna. Altrimenti, considerato lo sproposito di guerre ed epidemie che ti hanno preceduto nei millenni, adesso dovremmo essere tutti santi e madonne, su questa barca” (M. Gramellini  in “Il corriere della sera” del 24.03.2020)



4. “… scoprire la relazione tra i livelli di attività, anche minimi, all’interno del corpo e i movimenti più grandi compiuti dal corpo stesso: relazione che porta a un allineamento tra movimento cellulare interno ed espressione del movimento nello spazio esterno. Ciò implica identificare, distinguere e integrare i vari tessuti all’interno del corpo. Vuol dire scoprire in che modo  ciascuno di essi contribuisce a dare al movimento una specifica qualità, comprendere l’evoluzione che ha avuto nel processo di sviluppo della persona e il ruolo che  gioca nell’espressione della mente” (B .Bainbridge Cohen, in “Sensazione, Emozione, Azione”)


5Le parole ‘terapia’ e ‘guarigione’ sono entrambe apparentate non alla malattia, bensì al servizio, alla vigilanza, alla consapevolezza” (S. Ginger, in “La terapia del con – tatto emotivo”)













3 commenti:

  1. Articolo denso di spunti di riflessione interessanti.
    La situazione di isolamento generale sta, per quel poco che posso vedere io e limitatamente alla mia fascia demografica generale, producendo risultati vari e difficilmente riconducibili ad una singola tendenza. Limitandomi a quella che parrebbe essere la reazione più comune: abbondano commenti e contenuti da parte di giovani (termine che ormai si estende per me inspiegabilemte fino ai 30-35 anni)che illustrano scherzosi quanto poco sia cambiata per loro la vita tra il prima e il durante la quarantena.
    L'accettazione sorridente della propria alienazione e frammentazione, dell'essere scissi dall'Altro (e quindi da sè, di cui l'alterità è componente e collante fondamentale), talvolta anzi la celebrazione di questo stato disumano non è del tutto nuova, si è formata in questo primo ventennio del nuovo millennio una cultura dell'inerzia sociale e emotiva (talvolta addirittura della sofferenza sociale e d emotiva)come fregio di cui vantarsi all'interno di circoli online sempre più coesi ed al contempo anonimi.
    Il grande elemento di novità è il clima di silente disagio che accompagna queste dimostrazioni paradossali di tribalistica solitudine.
    Si ride al notare che siamo soli e tristi ora come prima, ma le risate sono sempre più spente, i sorrisi sempre più tirati e incerti, la partecipazione a questa automutilazione pubblica sempre meno entusiasta.
    Una cara amica con molta più esperienza di vita di me ha paragonato queste reazioni a quelle che vedeva nell'America della guerra fredda, dove l'ostentazione opulenta e volgare che dominava ottima parte del discorso pubblico doveva convivere con la reale paura di un'attacco nucleare e/o dell'esplodere di un'altro conflitto su scala mondiale.

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  2. Tale incertezza unita ad un'altra quotidiana ostentazione di volgarità e opulenza da parte di governanti, ricchi e potenti, pronti a dare consigli e incoraggiamenti dai loro yacht e ville private, o a lanciarsi in iniziative incompetenti e prive di qualunque autoconsapevolezza o reale impatto (si veda il video divenuto virale e tristemente famoso di celebrità americane che cantano "Imagine" per tirare su di morale i molti le cui vulnerabilità, messe a nudo da questa crisi,esse non sono probabilmente neanche in grado di immaginare. Standiamo invece un velo pietoso sui ipermiliardari che donano un miliardesimo della loro assurda ricchezza e si aspettano lodi da riservare ad un salvatore biblico, o sugli interventi tardi e miopi di molti governi.) sembra stare provocando in alcuni, pochi per ora, una riflessione simile a quella auspicata da Grossman.
    Tale riflessione però si esprime, parrebbe almeno per ora, più a livello di acuita consapevolezza del sistema sociale che non personale ed emotivo-relazionale.
    Ciò non è necessariamente un bene, la critica generale e sistemica del proprio contesto di vita non può essere scissa dalla presenza nel proprio immediato contesto interpersonale, che un apparato sociale generale dovrebbe mirare a migliorare e arricchire quanto più possibile per essere davvero funzionante e giustificato.
    Ciònonostante è interessante sentire e leggere persone che mai avrei creduto pronte ad un confronto aperto su temi importanti e politici esporre dubbi e riflessioni talvolta davvero profonde e acute sullo stato delle cose.
    Si rivela una curiosità verso il ritorno alla realtà in cui ormai avevo difficoltà a sperare.
    Altrettanto interessante è come tali espressioni non siano spesso pubbliche, bensì relegate a conversazioni private, a getti di sincerità quasi emersi contro la volontà della persona che li esterna.
    Emerge un'immagine di una coscienza non vulnerabile ma vulnerata, simile talvolta ad un'animale ferito che si tiene al limite della caverna, incerto se uscire o rientrare, pur sapendo che rientrare e addormentarsi gli sarebbe fatale.
    La gentilezza e la generosità, impostazioni sempre più radicali nel mondo odierno, si sono rivelate il modo migliore per incoraggiare queste timide ma preziose prese di coscienza.
    Continueranno il cammino a "normalità" ripristinata, quando la crudeltà e l'incompetenza dei Pochi si potranno di nuovo più facilmente ammantare di parole vuote e di merda calda e confortevole, spingendo da parte le proprie colpevoli mancanze e facendole come sempre scontare a chi è lontano dal discorso pubblico, e quindi dallo sguardo della società?
    Difficile dirlo, la frammentazione nelle attività e nella concezione di sè e degli altri è profondamente radicata (gli esercizi da fare a casa, come anche l'idea generale che bisognerebbe gettarsi in una folle e stakanovista attività lavorativa o produttiva in senso consumistico puro, producendo qualcosa da dare in pasto subito a intervali regolari, perché "ora si ha il tempo per farlo", interiorizzando e riproducendo un meccanismo alienante di cui pure ci si lamenta in condizioni meno apparentemente critiche e più comuni.), e da persona spesso in difficoltà nello scoprirsi ferito e mancante durante la nostra pratica, comprendo la difficoltà di questa pur troppo spesso minima e momentanea apertura.
    Voglio essere cautamente ottimista. Forse si può fare di più e di meglio e guadagnare qualcosa dalla crisi in corso, formando forse l'orchestra di cui parla Luccock.

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  3. Grazie del tuo eccellente contributo, che mi suscita diverse riflessioni ma, per non eccedere, mi limiterò a prendere una tua frase e lasciare che, da questa, sgorghino una serie di pensieri aperti, confidando su interventi che altri vorranno fare.
    Scrivi “gli esercizi da fare a casa, come anche l'idea generale che bisognerebbe gettarsi in una folle e stakanovista attività lavorativa o produttiva in senso consumistico puro, producendo qualcosa da dare in pasto subito a intervalli regolari, perché "ora si ha il tempo per farlo", interiorizzando e riproducendo un meccanismo alienante di cui pure ci si lamenta in condizioni meno apparentemente critiche e più comuni”
    e mi sovviene “Lavorare rende liberi ?” il post che qui pubblicai nel 20102
    ( http://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/search?q=Lavorare+rende+liberi )

    - Questo tempo libero (o liberato?) che siamo costretti a scoprire diverrà un tempo lento, dilatato, in cui sarà possibile e ben accetto ascoltarsi ed ascoltare emozioni e sensazioni?
    Se la parola cinese “Ta”, “comprendere le cose, e proprio per questo prenderle alla leggera”, se il “Wu Wei”, “non tirare tropo la corda” fossero concetti diffusi nella nostra cultura almeno quanto il concetto di competizione, come cambierebbe il nostro modo di vivere?
    Se accettassimo, dai vichinghi, il concetto di “Lagom”, 'quanto basta', perché per loro era una questione d’onore che ognuno razionasse la propria dose di idromele in modo che il corno che lo conteneva non si prosciugasse prima della fine del giro di tutti i presenti, abbandoneremmo il “consumo senza uso” che oggi la fa da padrone? Impareremmo a fare davvero “squadra”, “collettività”?
    - Quando riscopriremo la “controra”, questo termine dialettale che indica le prime ore del pomeriggio, tradizionalmente destinate al riposo, troveremo, come scriveva Clara Luz, l’otium, il silenzio, “non come conseguenza, ma come premessa all’azione, uno stato di apertura, di attesa, di vuoto, di pre-occupazione che diventa condizione indispensabile per la ricerca e la comprensione dei fenomeni che ci stanno a cuore”?
    - Impareremo a comprare solo ciò che ci serve davvero, a viaggiare meno in giro per il mondo scoprendo, invece, le straordinarie bellezze del nostro paese Italia? Impareremo ad usare i mezzi di trasporto per quello che sono, automobile compresa, invece che farne status symbol o strumenti di svago dissennato? Abbracceremo uno stile di vita frugale?
    - Impareremo a stabilire i propri confini, facendone una membrana permeabile e flessibile in grado né di erigere un muro né di confonderci con l’altro, bensì capace di scegliere quando e come costruire una effettiva empatia, e persino simpatia, così che ogni contatto fisicoemotivo intimo e profondo abbia un senso e non sia né una compilation di “amici” virtuali né un agglomerato indistinto di vicinanze confuse e superficiali e tanto meno una fuga dalla propria fragilità per darsi in pasto ai capricci di tardi Peter Pan ed allo sfogo di ormoni incontinenti?
    - Ricorderemo l’importanza di quei lavori, la cassiera, il fattorino, che sino ad oggi abbiamo guardato con sufficienza, quando non con disprezzo, perché ogni lavoro è degno, ogni lavoro è collante di una comunità?

    Scriveva Massimo Recalcati (La Repubblica del 27.03.2020): “Il tempo che stiamo vivendo è il tempo di un trauma collettivo, se il trauma è un evento che spezza violentemente la nostra rappresentazione ordinaria del mondo introducendo la dimensione angosciante dell’inatteso, dell’imprevedibile, dell’ingovernabile” (omissis) “Essere audaci significa per me questo: non misconoscere il trauma, ma prenderlo come un'occasione potente di trasformazione.”
    Apprezzo il suo ottimismo, che non è il mio.

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