Dagli errori non si torna, ma, è inutile negarlo, ogni
errore, prima di essere tale, è stato una scelta.
Impari dagli errori, ma solo se hai il coraggio di prendertene la
responsabilità.
Sarà anche per questo che ogni volta mi pare di rinascere,
perché di scelte (che sono state errori?) ne ho fatte, causando ferite a me e a
chi mi stava accanto, e di scelte altrui che mi hanno fatto sanguinare il cuore
ne ho subìte. (Chissà se per costoro sono stati errori o invece “vale
tutto” e nessuna colpa, nulla di cui pentirsi, sulla strada lastricata di
capricci e menzogne e violenze gratuite)
Una rinascita che non sa dimenticare, non può, le tracce
del passato.
E’ vero, sbagliando io o subendo lo sbagliare di altri, ho perso ciò che ero, ciò
che avevo, ma ho compreso ciò che sarei diventato, ciò che avrei avuto.
Anche in questo corpo
anziano, che mass media e senso comune oggi identificano come fragile, come
il più esposto alle aggressioni di malattie e traumi, come il meno adatto allo
stare al passo con i tempi frenetici della modernità.
Sono come un dipinto tracciato da una mano incerta, sono
come una canzone compressa in un pentagramma privo di un paio di note.
Le cose fatte e quelle subìte non cambiano, restano nel
tempo.
Siamo noi che cambiamo, sia che lo ammettiamo sia che lo
neghiamo.
Siamo noi a sapere che non c’è alcuna pietà nella delusione.
E mentre pratico Chi
Kung / Kiko, entrando nel mondo della Gru, Ho, che è simbolo taoista dell’immortalità, che è l’animale da
cavalcare perché ci porti nel mondo dei saggi eremiti, ascolto la diversa
qualità del movimento quando esso nasca dalle ossa oppure dai muscoli o dallo
spazio interno al corpo.
E mentre pratico Fushime
Taiso, la “Danza dei Mutamenti”,
colgo le difformità di stato
mentale, di sensazioni, di emozioni che si associano al variare del punti di
avvio del movimento.
Ho imparato a comprendere la mia fantasia, la mia
immaginazione.
Che sia l’agire del Taiki
Ken o del Tai Chi Chuan, che
siano le letture di Gaston Bachelard, vero mago della reverie, della realtà che si fa immagine e azione nel cuore, torno
e rinasco ogni volta più forte di prima.
Ogni volta che sento di abitare questo corpo anziano afferro il mio giorno e
lo rendo migliore, che io so essere forte e insieme fragile senza alcuna paura…
o meglio, affrontando a volto aperto ogni orrenda paura.
E resto lo stesso, lo stesso di sempre, quando accetto
anche dolorosamente che ogni vita, al suo apice, è destinata a scomparire, sia
essa persona, situazione, sentimento, ma anche quando mi tengo stretta la gioia delle cose durevoli
di contro alla voglia di cambiamento cercata solo per scrollarsi di dosso il
passato o quella noia da routine che porta ad inseguire incontri, persone ed
oggetti da “usa e getta”, da rimpiazzare rapidamente.
Una spasmodica e grottesca ricerca di quelle sorprese
che, prima ancora che in chi ti sta accanto e in quello che fai, non hai il
coraggio di ammettere che mancano dentro te stesso, ed allora è più semplice e
facile e comodo cercarle in altri ed altro.
Questo me corpo
anziano, così prossimo ai settant’anni, lo comprendo meglio osservando la
sabbia in riva al mare, là dove capire il vento è quasi impossibile ma ne trovo
l’identità nelle forme mutevoli che lascia nella sabbia e, a sua volta, la
sabbia stessa, indirizzandone la direzione, crea nuove e mutevoli e forse
comprensibili danze di vento.
Questo me corpo
anziano sì ma, oggi più di prima, vitale ed erotico, sapiente e sereno ad offrirsi
fragile e delicato allo scorrere incomprensibile della vita, alla danza odorosa
dell’amore e a quella putrida della morte.
“La
conoscenza del reale è una luce
che
proietta sempre da qualche parte delle ombre”
(G.
Bachelard)
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