mercoledì 1 febbraio 2023

Il professore sul ring

In un locale della vecchia Milano, incontro Claudio, amico di lunga data come di lunga data lo è come allievo (da quarant’anni circa), a sua volta Maestro di Arti Marziali; quella vecchia Milano che ancora odora di classe operaia, di solidarietà di classe. E’ solo un “odore”, un ricordo vieppiù balbettante, ma mi fa tanto bene in questi tempi di fighetti e radical chic, stupidità e vanità assurti a valori; in una città che nulla ha mostrato del passaggio dalla Moratti del “centrodestra” a Pisapia e poi Sala, il sindaco “dai calzini arcobaleno” che vince le elezioni come rappresentante del “centrosinistra”, lui già uomo di fiducia della Moratti medesima!!

Sul tavolo, un libro in regalo per me

Il professore sul ring

di Jonathan Gottshall

Gottshall, tranquillo quarantenne professore di inglese, intenzionato a scrivere un libro sulla violenza, si mette in gioco in prima persona iscrivendosi ad una palestra di MMA, le arti marziali miste, allenandosi duramente con lo scopo di affrontare un avversario nella “gabbia”, il “ring” caratteristico delle MMA. Gottshall, poi, anche dopo l’incontro, continuerà a praticare MMA anche se solo in palestra e senza mai più scendere in gara.

Lodevole l’intenzione dell’autore: Se scrivo un saggio sulla violenza, il cui sottotitolo è “Perché gli uomini combattono e a noi piace guardarli”, voglio sapere di cosa sto scrivendo, lo voglio sapere non solo in teoria, ma sperimentandolo in pratica, su di me corpo. Complimenti per l’onestà intellettuale e il coraggio umano.

Interessante il corposo volume, oltre trecento pagine, denso di riferimenti alle ricerche scientifiche e sociali di altri autori mescolate con le riflessioni di Gottshall; sempre coinvolgenti le sue peripezie tra pugni presi e pugni dati, paure improvvise e slanci di inaudito coraggio.

Un bel libro, da leggere senz’altro.

Scritto questo, passiamo ad alcuni dei passaggi su cui avanzo i miei dubbi.

Concordato che è in uso nell’ambiente marziale parlare di “combattimento” per ogni scontro, sia in allenamento che in gara, all’autore forse sfugge che di convenzione si tratta. Sì perché il combattimento è ben altro. Di combattimento in ambito civile, ovvero escludendo i militari, dunque di momento in cui rischi la faccia e forse la pelle, sanno qualcosa alcune precise categorie: delinquenti, estremisti politici, ultras del tifo sportivo. Sono loro a combattere senza sapere chi avranno davanti, quanti avranno davanti; a dover affrontare avversari che li attaccano anche di sorpresa, magari alle spalle; a non sapere preventivamente se dovranno affrontare mani nude o bastoni, coltelli, spranghe, tirapugni, pietre ecc. a non avere un arbitro a tutelare la loro incolumità fermando il combattimento quando hanno la peggio. (1)

Apprezzabile il coraggio di chiunque si alleni per darsele di santa ragione, a maggior ragione in contesti sportivi di contatto pieno e regole poche, ma l’esaltazione di Gottshall per la sua scelta e quella per gli incontri di MMA visti come uniche e autentiche prove di ardimento e virilità, cozza con la realtà di quanto ho scritto sopra.

Probabilmente, in questo ha un ruolo l’essere Gottshall una brava ed onesta persona, sovente, come lui stesso scrive, bullizzato da adolescente, che si è sempre tenuto lontano dalla violenza fisica di strada e dalla criminalità, piccola o grande che sia. Altrimenti un distinguo tra “combattimento sportivo” e “combattimento reale” lo avrebbe fatto. Certamente, con questo mio, non voglio indirizzarlo a scrivere un secondo volume dopo aver passato qualche anno a sfasciare auto, scontrarsi con la polizia, lanciare molotov, picchiare a sangue degli sconosciuti, rischiare l’osso del collo in risse di gruppo offendendo e rischiando offese di coltello o chiave inglese. Però potrebbe intervistare hooligans o black block e un’idea se la farebbe, dato che scrive “i nostri scontri sono normati con regole chiare su ciò che è permesso e ciò che non lo è”, mentre in strada davvero “no rules”, non ci sono regole!! Insomma, come lui stesso scrive, i primi anni di MMA /UCF erano un massacro, un autentico rischio di perdere la vita, ma poi il business ha avuto il sopravvento e le regole sono diventate tante, pur in un contesto che resta di botte a più non posso, un contesto dunque, sportivo. (2) Lo stesso Gottshall scrive: “Bulli e criminali non vanno in cerca di mettere alla prova se stessi in scontri corretti, alla pari

Condivido la sua critica alle Arti Marziali Tradizionali, ormai lontane da un’apprezzabile aderenza allo scontro di strada (e pure noiose!!), anche se, in questa critica, si lascia prendere la mano dimostrando una generalizzazione che, per esperienza, so contraddetta da interpreti pochi e Scuole poche che, però, ci sono, eccome!!

La sua formazione USA, poi, gli fa temo perdere la consapevolezza che, piaccia o meno, la società sta cambiando: uomini vieppiù femminilizzati e donne vieppiù androgine, il che porterà, nel giro di un paio di generazioni, a leggere in modo totalmente diverso i comportamenti maschili e femminili in ogni ambito del vivere, sport “violenti” compresi.

Condivido appieno le sue annotazioni sui maschi che cercano sicurezza nell’aumento della massa muscolare, che dell’ipertrofia muscolare fanno un deterrente per eventuali maschi antagonisti (3). Pure condivisibili le sue parole: “I ragazzi che si avvicinano alle arti marziali sono quelli che temono di essere deboli” così come dei suoi compagni di allenamento MMA scrive di giovanotti tranquilli alla ricerca di sicurezza, aggiungendo: “Tutti noi ci andiamo per cercare di acquisire l’abitudine al coraggio”; sincera quanto rivelatrice è la frase: “la ragione che mi ero dato per fare un combattimento era quella di cercare di fare  qualcosa di coraggioso, di redimermi, almeno ai mie occhi, per tutte le volte che  da giovane mi ero tirato indietro”.

Molti sono gli spunti di discussione che il libro porta in figura, per esempio sulla scomparsa dei riti di passaggio e la loro sostituzione con episodi avventati perpetrati dagli adolescenti che la società adulta fatica a comprendere e a inquadrare; sulla enorme differenza anche “tecnica” tra scontrarsi con i guantoni e a mani nude; sull’importanza dei bulli e del ruolo che rivestono nella gerarchia gruppale; sul labile confine tra onore ed orgoglio.

Dunque, un libro da leggere, perché, in me, un libro se suscita dubbi, se mina certezze, se avanza teorie non ancora prese in considerazione, è un bel libro, un gran bel libro. D’altronde è quanto io faccio e provo nella mia esperienza marziale, intessuta di dubbi e scoperte, errori e ripensamenti, perché solo così io cresco, anzi, mi permetto di scrivere: Solo così chiunque cresce. Invece, chi coltiva e vanta certezze si tiene ben lontano dal crescere, dal migliorare, si tiene ben lontano dal conflitto in primis con se stesso abitando, invece, la paura di guardare in faccia quella parte di sé che probabilmente non ritiene all’altezza, di cui, forse, si vergogna.

Chiudo riportando alcune sue considerazioni che indubbiamente aprono un … “portone” di successive riflessioni che ognuno di noi, anche chi non pratica, potrà fare dentro ogni ambito del proprio vivere quotidiano e delle relazioni che intesse:

“Le arti marziali miste rendono la mia vita più ricca di asperità. Consentono a un professore un po' smorto come me di vivere con impeto, anche se solo per qualche ora alla settimana”. (omissis) Le MMA fanno davvero male (omissis) anche a me hanno lasciato delle lesioni permanenti al corpo, e forse anche al cervello. Ma le MMA fanno davvero anche molto bene. Hanno migliorato l’immagine che ho di me stesso, mi hanno reso più forte, più in forma e più sicuro di me. (omissis). Il mio fisico ha dei problemi. Facendo a pugni continuo a slogarmi il polso e il pollice sinistri. Ho iniziato a frequentare la palestra con degli alluci perfettamente sani e ora entrambi hanno l’artrite. Ho lottato contro la tendinite d’Achille per circa un anno, e per sei mesi contro uno strappo a un legamento dell’inguine. E la lesione al collo che mi sono procurato mentre lottavo con Clark non è mai completamente guarita, cosa che mi limita nella lotta a terra. Il mio corpo mi sta parlando forte e chiaro, mi sta dicendo che ho già sfidato la sorte ben oltre il limite. Mi sta dicendo che sono troppo vecchio per questo e che devo smetterla, che mi piaccia o meno. Ma io non lo voglio stare a sentire. Non ancora. Non sono pronto a lasciarmi scivolare giù dalle asperità della vita, a scendere nella monotonia delle pianure. E adesso, nel mio piccolo, capisco perché molti fighter vanno avanti ben oltre il punto in cui dovrebbero mollare: è perché il combattimento è una droga, e smettere di drogarsi è difficile., anche se sai che dovresti. Perché, come dice Mike Tyson con la sua brusca franchezza < Fuori dal ring tutto è così noioso >”

 

1. Chi volesse farsene un’idea può leggere l’agile “La banda Bellini” di Marco Philopat, ottimo per capire il clima violento e utopistico del ’68 e dei ragazzi che lo animarono, oppure guardare “Furioza” di Cyprian T. Olencki, intenso spaccato sul mondo degli ultras.

2. In un contesto di combattimento “vita o morte”, tra un predatore umano di 70 kg e un impiegato amministrativo o uno studente universitario o… un professore di inglese anche se di 90 o 100kg che, tre volte la settimana, si allena nelle MMA, su chi punterebbe Gottshall? Io, su chi puntare, non ho dubbi.  Potrei, forse, avere qualche dubbio se il predatore umano affrontasse un professionista MMA di 100 kg, ovvero uno che campa a suon di botte (A meno che “predatore umano” e praticante MMA, per qualsivoglia motivo, non convivano nella stessa persona!!). D’altronde, lo stesso Gottshall, riferendosi agli scontri in palestra, come già citato, scrive: “i nostri scontri sono normati con regole chiare su ciò che è permesso e ciò che non lo è. Ma anche perché le nostre gerarchie di dominanza mantengono le cose su un piano civile” e, negli incontri di torneo, ci pensa l’arbitro a mantenere lo scontro entro limiti stabiliti. Nella vita reale non è così.

3. Da giovane, presto notai come, fermi al semaforo, a far rombare il motore in chiassose accelerate fossero quelli al volante della FIAT Cinquecento “truccata”, mentre chi viaggiava in Porsche non aveva bisogno di attirarla l’attenzione né di mostrarsi rumorosamente: C’entra qualcosa con l’ostentazione di muscoli ipertrofici e la ricerca di una massa muscolare appariscente? Con la ridda di tatuaggi sparsi ovunque che mostrano animali feroci e frasi truculente?

 

 



 

 

 

 

 

 

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