“L’esperimentazione è essenzialmente l’atto, o il genere di atti, che si riserva il privilegio di fallire. Il fallimento di un’esperienza rivela più della sua riuscita” (P. Klossowski)
E’ che nella pratica della spada,
nella pratica dell’acciaio affilato, riaffiora l’intuitivo, l’inconscio per
come ci parla e ci agisce, piuttosto che cercarne un significato univoco.
La paura è il motivo per farci desistere, sistema corpo
infettato di cattivi sentimenti, e sai che mentre la vitalità prende a disfarsi
è la forza del cuore che si allontana.
Sono fendenti e falciate, sono agguati violenti nei Rinto
Kata o rapide e mortali estrazioni nei Natsu no Sora Kata.
Il colpo apre il tuo cranio a questa lama affamata, vampate
di calore irradiano la colonna vertebrale che si fa onda gigantesca, onda
potente, sopra fianchi pesantemente ondulatori.
La simulazione di una morte data apparecchia i tuoi morti
spiriti e la tua tremula carne, che poi è brutale violenza mentale, efferata
estirpazione di cuore.
“Plasmare in sé forme spezzate”, scriveva Friedrich Nietzsche, è l’oblio capace di lenire l’accumulo di ricordi.
Contro lo svilirsi della vita e
la povertà di ogni esperienza che sappia di frivolezza e narcisismo, lì si erge
la domanda di quale rapporto etico tra vita e morte, tra potenze di vita e
potenze di morte.
Sono riflessi sporchi e incerti che comunque percorrono
ogni estrazione di spada, ogni fendente di spada. Altrimenti che staremmo qui a
fare, armati di acciaio affilato? Altrimenti cosa ci differenzierebbe dalle
solite scuole che ripetono e ripetono e ripetono mille e più volte tecniche
imposte nella memoria ed agite come bambini d’asilo ad una recita scolastica?
Agite, per giunta, impugnando lame giocattolo, spade di tolla, di latta, deboli
e non affilate?
Certo, è solo una simulazione, ma io e te sappiamo che uno
dei due, a breve, sarà steso a terra, senza vita, e il suo corpo non sarà più
lo stesso, né lo stesso il respiro. E’ solo una simulazione?
Sempre Nietzsche, nel suo “Lo
stato dei greci – l’agone omerico” scriveva del carattere aperto, contingente,
imprevedibile di ogni forma di scontro, scontro che non deve finire mai,
tantomeno con una vittoria definitiva e una sconfitta altrettanto definitiva.
Ancora il filosofo tedesco a ricordarci la semplicità
davanti al peggio, la sua disinvoltura, e dunque ad offrirci una visione
illuminante del duello, di ogni duello.
Non so perché ricordi del
pensiero nicciano affiorino a lampi in questa sera di Kenshindo,
sudato e impegnato allo spasimo.
Forse perché ogni duellante di spade, oggi, nel terzo
millennio, è soprattutto un ribelle, un visionario, che disvela nella banalità
e nel conformismo imperante l’intollerabile, lo sgradevole, ogni compromesso al
ribasso che tende a mantenere i rapporti di forza e potere esistenti, a
mantenere la subalternità e l’obbedienza massificata: “Noi abbiamo preso
atto del dovere di mentire secondo una salda convenzione, di mentire cioè tutti
insieme in uno stile vincolante per tutti” (F. Nietzsche).
Io, noi Spirito Ribelle, ognuno a modo suo, non ci
stiamo. E l’immenso pensiero ribelle e visionario di Nietzsche si muove dentro
di noi e ci chiama all’azione. Anche questa sera, sera di Kenshindo.
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