giovedì 10 aprile 2025

Di poeti, di anarchici, di ribelli e di eterni sconfitti al tavolo di gioco della vita

 L’elenco sarebbe lungo, lunghissimo. Perché sin dagli albori dell’umanità hanno vissuto singolari individui capaci di incarnare lo spirito ribelle e sovversivo di chi non canta mai nel coro e non si perita di doverne pagare le conseguenze. Di chi cerca oltre l’orizzonte non per narcisismo, per stupidità, per un malato delirio di onnipotenza, per una fede smisurata e incrollabile in una ideologia, ma per quella genuina sete di sapere mai disgiunta dal sapore beffardo dell’autoironia prima ancora che dell’ironia, dal gusto del maramaldeggiare facendosi beffe del conformismo e delle convinzioni dominanti, dal prendersi sul serio il giusto senza mai innalzarsi sul piedistallo.

Dei tanti, tantissimi, che hanno legittimamente posto nell’elenco, qui mi piace ricordare due uomini agli antipodi tra di loro per collocazione ideologica, per ruolo professionale e sociale, per importanza nella storia grande, per destino.






Ezio Vendrame, calciatore degli anni ’70, di cui lo scrittore Gianni Mura così ebbe a scrivere: “Uno che sostiene che il gol è la cosa più insignificante di una partita, che è molto più divertente mirare il palo, uno che una volta ha dribblato il portiere e poi, a porta vuota, è tornato indietro perché anche un portiere è un uomo e bisogna dargli un’altra possibilità, uno così non deve fare carriera. E non vuole farla”. Con quella testa, Vendrame non sfondò nel grande calcio. Morì a 72 anni per un male incurabile dopo che dal calcio era passato allo scrivere libri e poesie.

Giuseppe Rensi, considerato, da chi ne ha studiato la vita, il padre putativo del fascismo. A lui, militante a sua volta del socialismo rivoluzionario, si deve l’aver portato Benito Mussolini da radicate posizioni socialiste, attraverso l’interventismo, al fascismo.


Rensi ebbe ruoli importanti all’interno del Partito Socialista, tanto da essere direttore de «Lotta di classe» e collaboratore sia con la «Critica sociale» di Filippo Turati che con la «Rivista popolare» di Napoleone Colajanni. Costretto, in seguito ai moti milanesi del 1898, a lasciare l’Italia e a rifugiarsi nel Canton Ticino, lì avviò la sua conversione verso idee di stampo fascista. Fu elogiatore di Lenin, considerò il fascismo l’applicazione coerente delle teorie rivoluzionarie di George Sorel (1) ai ceti medi viste come nuovo socialismo. Una volta che il fascismo divenne regime di potere, gli si rivoltò contro, fedele al suo motto “Dalla parte di vinti e mai dei vincitori”. Da dissidente, fu incarcerato più volte e privato della cattedra universitaria.

Un ribelle “piccolo”, insignificante al palcoscenico della grande storia, e un ribelle che in quel palcoscenico ha avuto un ruolo di levatrice di profondi mutamenti, gravi tragedie.

Mi pare di riconoscere in Vendrame e Rensi due individui che scelgono deliberatamente di porsi controcorrente. Mentre molti di coloro che compiono questa scelta lo fanno nell’ansia di essere accettati, non da tutti indistintamente, è ovvio, ma dal loro ambiente, dalle persone che ammirano e di cui desiderano il rispetto e la considerazione, loro invece si sono posti proprio fuori e contro il loro ambiente: il primo l’ambiente da cui traeva la ‘pagnotta’ ed avrebbe potuto trarne successo, il secondo l’ambiente che lui stesso aveva contribuito a costruire.

Non ho una morale da trarre da quanto scritto sopra, né indicazioni di percorso

per chi volesse ascoltarmi.

Mi piace però pensare che essere un autentico ribelle significhi rinunciare alla illusione di un controllo totale sulle cose e di conseguenza tollerare la paura e l’ansia che originano dalla necessità di vivere in una aleatorietà che non può essere completamente eliminata.

Sapersi fermare, sapere di non potere capire tutto, una sorta di umiltà socratica che rende il dubbio non solo tollerabile ma auspicabile potrebbe essere stato, con diversa profondità, il “cum grano salis” di un piccolo atleta e di un corposo pensatore.

Vendrame autore di gesti sfrontati e irrispettosi, come quando salì a piedi uniti sul pallone e vi rimase per alcuni istanti guardandosi attorno, mano di taglio sulla fronte per comunicare ai compagni che non vedeva nessuno di loro libero a cui passare la palla. Oppure, in una partita il cui risultato di parità era già stato deciso in anticipo, puntò rapidamente la sua porta, dribblò i compagni e, davanti al proprio portiere, mimò di fare autogol perchè lui non tollerava le partite “combinate”. Purtroppo, sugli spalti, uno tifoso morì di infarto!!

Rensi, capace di allontanarsi dalla creatura alla cui nascita aveva tanto contribuito, di non cedere alle persecuzioni della stessa continuando la sua indagine filosofica e la scrittura di numerosi libri. Di attraversare positivismo, idealismo, scetticismo, incurante di ogni contraddizione e scontrandosi senza alcuna remora con colui che, allora, era considerato un gigante del pensiero ed una bandiera del regime: Giovanni Gentile.

Alcuni fallimenti ci spingono a insistere, altri invece a lasciar perdere; alcuni ci danno la forza di perseverare irremovibili, altri ci suggeriscono un cambiamento, e in questo altalenarsi il ribelle sceglie per estro ed istinto, mai per convenienza. Probabilmente, una virtù del fallimento è che non rende necessariamente più saggi, più umili o più forti, ma semplicemente disponibili ad altro: Per Vendrame la sua opera di poeta e scrittore, per Rensi il suo immergersi nella speculazione filosofica. Per altro, ambedue dimenticati e caduti presto nell’oblio sia in riferimento alla loro prima parte di vita che alla seconda!! E’ il destino di ogni autentico ribelle?

I grandi audaci sono grandi estimatori. Dell’altro ammirano sempre la singolarità. Pertanto non lo imitano: l’altro li affascina proprio perché inimitabile, però a lui si ispirano. E’ la bella virtù dell’esemplarità, che non bisogna intendere in senso imitativo, perché gran parte di ciò che siamo convinti di sapere non è altro, in realtà, che semplice fiducia nelle conoscenze di qualcun altro. I ribelli Vendrame e Rensi hanno osato andare oltre e conoscere sulla propria pelle, senza timore di apparire e probabilmente essere contraddittori, persino sciocchi secondo il vigente modo di pensare e giudicare le persone ed i loro atti, ed anche per questo sono stati rapidamente dimenticati.

Nella cultura giapponese, si chiama gyakufu (faccia al vento), chi o cosa si oppone ostinatamente all’ordine delle cose, al pensiero dominante e generalmente condiviso. E gyakufu è connotazione sempre negativa. Eppure la storia dei samurai è ricca di guerrieri antichi e moderni che furono, a loro modo, chi Vendrame chi Rensi.

Nella cosmogonia taoista, tra gli otto immortali, ha un ruolo di spicco Lan Caihe. Forse intersessuale, forse maschio che si credeva femmina, forse semplicemente effeminato, Lan Caihe spicca per le sue stravaganze e un carattere vivace ed irrequieto. Non a caso, la sua figura nella pratica della spada è associata all’imprevedibilità, a colpi e parate del tutto insoliti.

Mi piace pensare che la figura del ribelle, che ogni ribelle, a suo modo ci inviti ad accantonare il timore di non essere accettati, la paura di essere sconfitti, per invece rischiare di nostro quella strada che nostra sentiamo. La vergogna per una nostra presunta diversità, la paura stessa di non farcela dentro la scala di valori su cui si è costruita la società ci lascia impantanati, ci àncora allo status quo anche quando il cambiamento, pur rischioso e persino improduttivo e foriero di calamità, ci tenta, lo sentiamo nostro. E allora a culo quel che pensano gli altri, quel che di disgraziato potrà succederci: Vendrame mai salito alla ribalta del calcio che conta. Rensi perseguitato da quell’apparato che senza di lui mai sarebbe esistito.

E tu, hai un tuo Vendrame o un Rensi che possano ispirarti?

 

1.     1G. Sorel (1847 – 1922) ingegnere e filosofo.

 

 

 

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