L’elenco sarebbe lungo, lunghissimo. Perché sin dagli albori dell’umanità hanno vissuto singolari individui capaci di incarnare lo spirito ribelle e sovversivo di chi non canta mai nel coro e non si perita di doverne pagare le conseguenze. Di chi cerca oltre l’orizzonte non per narcisismo, per stupidità, per un malato delirio di onnipotenza, per una fede smisurata e incrollabile in una ideologia, ma per quella genuina sete di sapere mai disgiunta dal sapore beffardo dell’autoironia prima ancora che dell’ironia, dal gusto del maramaldeggiare facendosi beffe del conformismo e delle convinzioni dominanti, dal prendersi sul serio il giusto senza mai innalzarsi sul piedistallo.
Dei tanti, tantissimi, che hanno legittimamente posto
nell’elenco, qui mi piace ricordare due uomini agli antipodi tra di loro per
collocazione ideologica, per ruolo professionale e sociale, per importanza
nella storia grande, per destino.
Ezio Vendrame, calciatore degli anni
’70, di cui lo scrittore Gianni Mura così ebbe a scrivere: “Uno che sostiene
che il gol è la cosa più insignificante di una partita, che è molto più
divertente mirare il palo, uno che una volta ha dribblato il portiere e poi, a
porta vuota, è tornato indietro perché anche un portiere è un uomo e bisogna
dargli un’altra possibilità, uno così non deve fare carriera. E non vuole farla”.
Con quella testa, Vendrame non sfondò nel grande calcio. Morì a 72 anni per un
male incurabile dopo che dal calcio era passato allo scrivere libri e poesie.
Giuseppe Rensi,
considerato, da chi ne ha studiato la vita, il padre putativo del fascismo. A
lui, militante a sua volta del socialismo rivoluzionario, si deve l’aver
portato Benito Mussolini da radicate posizioni socialiste, attraverso
l’interventismo, al fascismo.
Un
ribelle “piccolo”, insignificante al palcoscenico della grande storia, e un
ribelle che in quel palcoscenico ha avuto un ruolo di levatrice di profondi
mutamenti, gravi tragedie.
Mi pare di riconoscere in Vendrame e Rensi due individui
che scelgono deliberatamente di porsi controcorrente. Mentre molti di coloro
che compiono questa scelta lo fanno nell’ansia di essere accettati, non da
tutti indistintamente, è ovvio, ma dal loro ambiente, dalle persone che
ammirano e di cui desiderano il rispetto e la considerazione, loro invece si
sono posti proprio fuori e contro il loro ambiente: il primo l’ambiente da cui
traeva la ‘pagnotta’ ed avrebbe potuto trarne successo, il secondo l’ambiente
che lui stesso aveva contribuito a costruire.
Non ho
una morale da trarre da quanto scritto sopra, né indicazioni di percorso
per
chi volesse ascoltarmi.
Mi piace però pensare che
essere un autentico ribelle significhi rinunciare alla illusione di un
controllo totale sulle cose e di conseguenza tollerare la paura e l’ansia che originano
dalla necessità di vivere in una aleatorietà che non può essere completamente eliminata.
Sapersi fermare, sapere di non potere capire tutto, una
sorta di umiltà socratica che rende il dubbio non solo tollerabile ma
auspicabile potrebbe essere stato, con diversa profondità, il “cum grano
salis” di un piccolo atleta e di un corposo pensatore.
Vendrame autore di gesti sfrontati e irrispettosi,
come quando salì a piedi uniti sul pallone e vi rimase per alcuni istanti guardandosi
attorno, mano di taglio sulla fronte per comunicare ai compagni che non vedeva
nessuno di loro libero a cui passare la palla. Oppure, in una partita il cui
risultato di parità era già stato deciso in anticipo, puntò rapidamente la sua
porta, dribblò i compagni e, davanti al proprio portiere, mimò di fare autogol perchè
lui non tollerava le partite “combinate”. Purtroppo, sugli spalti, uno tifoso morì
di infarto!!
Rensi, capace di allontanarsi dalla
creatura alla cui nascita aveva tanto contribuito, di non cedere alle persecuzioni
della stessa continuando la sua indagine filosofica e la scrittura di numerosi
libri. Di attraversare positivismo, idealismo, scetticismo, incurante di ogni
contraddizione e scontrandosi senza alcuna remora con colui che, allora, era
considerato un gigante del pensiero ed una bandiera del regime: Giovanni
Gentile.
Alcuni fallimenti ci spingono a
insistere, altri invece a lasciar perdere; alcuni ci danno la forza di
perseverare irremovibili, altri ci suggeriscono un cambiamento, e in questo
altalenarsi il ribelle sceglie per estro ed istinto, mai per convenienza.
Probabilmente, una virtù del fallimento è che non rende necessariamente più
saggi, più umili o più forti, ma semplicemente disponibili ad altro: Per
Vendrame la sua opera di poeta e scrittore, per Rensi il suo immergersi nella
speculazione filosofica. Per altro, ambedue dimenticati e caduti presto
nell’oblio sia in riferimento alla loro prima parte di vita che alla seconda!!
E’ il destino di ogni autentico ribelle?
I grandi audaci sono grandi estimatori. Dell’altro ammirano
sempre la singolarità. Pertanto non lo imitano: l’altro li affascina proprio
perché inimitabile, però a lui si ispirano. E’ la bella virtù dell’esemplarità,
che non bisogna intendere in senso imitativo, perché gran parte di ciò che siamo
convinti di sapere non è altro, in realtà, che semplice fiducia nelle
conoscenze di qualcun altro. I ribelli Vendrame e Rensi hanno osato andare
oltre e conoscere sulla propria pelle, senza timore di apparire e probabilmente
essere contraddittori, persino sciocchi secondo il vigente modo di pensare e
giudicare le persone ed i loro atti, ed anche per questo sono stati rapidamente
dimenticati.
Nella cultura giapponese, si
chiama gyakufu (faccia al vento), chi o cosa si oppone ostinatamente
all’ordine delle cose, al pensiero dominante e generalmente condiviso. E gyakufu
è connotazione sempre negativa. Eppure la storia dei samurai è ricca di
guerrieri antichi e moderni che furono, a loro modo, chi Vendrame chi Rensi.
Nella cosmogonia taoista, tra
gli otto immortali, ha un ruolo di spicco Lan Caihe. Forse
intersessuale, forse maschio che si credeva femmina, forse semplicemente
effeminato, Lan Caihe spicca per le sue stravaganze e un
carattere vivace ed irrequieto. Non a caso, la sua figura nella pratica della
spada è associata all’imprevedibilità, a colpi e parate del tutto insoliti.
Mi piace pensare che la figura
del ribelle, che ogni ribelle, a suo modo ci inviti ad accantonare il timore di
non essere accettati, la paura di essere sconfitti, per invece rischiare di
nostro quella strada che nostra sentiamo. La vergogna per una nostra presunta
diversità, la paura stessa di non farcela dentro la scala di valori su cui si è
costruita la società ci lascia impantanati, ci àncora allo status quo
anche quando il cambiamento, pur rischioso e persino improduttivo e foriero di
calamità, ci tenta, lo sentiamo nostro. E allora a culo quel che pensano gli
altri, quel che di disgraziato potrà succederci: Vendrame mai salito alla
ribalta del calcio che conta. Rensi perseguitato da quell’apparato che senza di
lui mai sarebbe esistito.
E tu,
hai un tuo Vendrame o un Rensi che possano ispirarti?
1. 1. G.
Sorel (1847 – 1922) ingegnere e filosofo.
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