giovedì 17 aprile 2025

Le infinite vie dell’Energia e la Vulnerabilità


 


Pur profondamente contrariato che la salute sia andata in vacanza, trascurando di essermi compagna, non intendo rinunciare, per quel e per come posso, a vivere la mia quotidianità.

Eccomi alla sala Gnomo, all’interno dell’Università Cattolica, alla presentazione di due libri dedicati alla

Vulnerabilità

Interessante la presentazione, dove una delle autrici ricorda l’impulso che Brené Brown (1), nelle sue conferenze in rete, le diede nell’affrontare la vulnerabilità come risorsa. D’altronde anche io nei video della Brown trovai ispirazione e slancio per meglio definire il mio passaggio da una pratica marziale che, pur già staccandosi dai concetti di forza e durezza abbracciando invece flessibilità e dolcezza, ancora non aveva bene chiari i concetti teorici dentro i quali completare una pratica siffatta. (2)




Fare della vulnerabilità un’occasione di crescita e potenza, fu per me percorso immediato anche se non agevole. Percorso in cui più volte persi la direzione. Percorso lungo il quale persi anche più di un allievo, smarritosi perché accanto ad una ricerca continua che eludeva dogmi e certezze ora fioriva anche una epistemologia (3) del tutto nuova e lontana da quanto l’ambiente marziale dava per scontato, per assodato, per sicuramente condiviso. Un percorso di ricerca e di avventura non adatto a chi chiedeva certezze e rassicurazioni e, probabilmente, in cui io non fui in grado di sostenere i più deboli, i più fragili, mostrando loro, col brivido di attraversare le insidie del “bosco” (4), anche quanto ciò li avrebbe arricchiti e fortificati.

Sì che la Tradizione marziale, checché ne dicano machisti, muscolati, palestrati, fautori del “No pain no gain”, dei mille piegamenti (piegamenti, non flessioni!!) sulle braccia e delle sfiancanti serie di esercizi per gli addominali, dei volti truci e mai sorridenti (5), delle tecniche (waza) ripetute cento e mille volte, ha inscritto in sé concetti quali flessibilità, adattabilità, adesione e trasformazione della forza dell’opponente volgendola a proprio vantaggio.

“L’Aiki è un mezzo per raggiungere l’armonia con un’altra persona in modo tale che tu

possa farle fare ciò che desideri”

(M. Ueshiba 1883 – 1969 fondatore dell’Aikido)

 

“La forza interna è più sottile e meno immediata, ma non per questo meno potente. Essa incorpora aspetti come la fluidità, la consapevolezza e la capacità di adattamento. Comprendere e applicare la forza interna richiede dedizione e disciplina, poiché non è visibile e palpabile come la forza esterna”

(https://www.makoto.it/post/equilibrio-tra-forza-esterna-e-forza-interna-una-filosofia-delle-arti-marziali)

 

“La flessibilità può neutralizzare la forza bruta che fa di questa disciplina non solo una semplice arte marziale o uno sport ma una vera e propria filosofia di vita.”

(J. Kano 1860 – 1938 fondatore del Judo)

 




Ma torniamo alla presentazione dei due libri.

In particolare, mi lascia perplesso il ripetuto accostare “vulnerabilità” a successo. Come se la dolcezza forte della prima fosse di per sé garanzia di una prestazione vincente, come se la vulnerabilità fosse un’arma in più in vista del successo.

Espongo i miei dubbi, suscitando subito la risposta piccata di una delle autrici. La comprendo.

  • Da un lato è questo il momento in cui è lei sul palco, è lei una delle “regine” dell’evento, e questo mio avanzare dei dubbi incrina l’aura di momentaneo potere che le viene dato; difficile mantenere l’equilibrio, accogliere prendendosi il tempo di “masticare” quanto arrivato e poi donare una riflessione pacata; difficile, insomma, accettare concretamente di essere vulnerabili!!
  • Dall’altro, viviamo tempi in cui il pensiero collettivo è sempre teso a spronarci al successo, al superamento dei limiti, all’emergere dall’anonimato, dunque viene immediato, viene facile, quasi inconsapevole, accoppiare qualsivoglia stato emotivo ad un finale sempre positivo, sempre di successo. Beh, uno dei libri reca in copertina proprio questo mefistofelico accoppiamento!!




Eppure, per me, la forza dell’essere vulnerabile sta proprio nel rischio di essere travolti, schiacciati dalla prepotenza, dalla concreta possibilità di non raggiungere il traguardo perché frenati da ostacoli insormontabili.

Per tanti anni “vulnerabilità” ha fatto il paio con debolezza e gracilità, con uno stato emotivo da celare agli altri e di cui vergognarsi a fronte de “L’uomo che non deve chiedere mai” (6), dell’arroganza e prepotenza come manifesto di riconoscimento ed affermazione.

Io credo invece che riconoscersi vulnerabili è autentica forma di audacia, di coraggioso amore per il rischio, di consapevolezza che può accadere di fallire accettando il fallimento come una delle possibili risposte della vita. Essere vulnerabili è essere autentici.

“… e invece nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell’indicibile e dell’invisibile che sono nella vita, e che consentono di immedesimarsi con più facilità e con più passione negli stati d’animo e nelle emozioni,

nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi”

(E. Borgna 1930 – 2024 psichiatra e saggista in ‘La fragilità che è in noi’)




Chiunque pratichi davvero l’Arte del combattimento, leggendo quanto sopra, ha già capito l’importanza della vulnerabilità, di abitare un registro emozionale delicato non solo come parte integrante del vivere, ma anche come premessa fondante la capacità di essere individui autentici e, in quanto tali, capaci di accogliere e comprendere l’altro e l’ambiente.

Sarà scelta autonoma di ognuno che farsene di tale comprensione: Per prevaricare l’altro o per creare una relazione soddisfacente per entrambi.

Chiunque eserciti pratiche conflittuali di contatto ha già capito, spero, come esse possano essere di autentica qualità, di autentica crescita e trasformazione, solo ed unicamente se esperite a partire da emozioni delicate e sensibili. E a culo i vari macho man che affollano il teatro delle Arti Marziali portandovi il loro celodurismo, il loro pesante bagaglio di certezze e verità assolute, il loro “Uomo che non deve chiedere mai”.

Anche perché, come ci ricorda la filosofa Simone Weil: La nostra carne è fragile: qualsiasi pezzo di materia in movimento può trafiggerla, lacerarla, schiacciarla, oppure inceppare per sempre uno dei suoi congegni interni. La nostra anima è vulnerabile, soggetta a depressioni immotivate, penosamente in balìa di ogni genere di cose, e di esseri altrettanto fragili o capricciosi. La nostra persona sociale, da cui dipende quasi il sentimento dell’esistenza, è costantemente e interamente esposta al caso. (in ‘Attesa di Dio’).

 





1. Brené Brown 1965 –.  Accademica e ricercatrice. https://brenebrown.com/

 

2. Come sa chi mi accompagna da tempo, il mio procedere è sempre prassi – teoria – prassi di contro a chi invece privilegi teoria – prassi – teoria.

Il rapporto teoria-prassi rappresenta uno dei nodi cruciali dell’epistemologia pedagogica. Si tratta, indubbiamente, di un rapporto da concepire in chiave di unità dialettica: la teoria, senza prassi, è vuota; così come la prassi, senza teoria, è cieca. In altre parole, una teoria senza relazione con i problemi delle pratiche educative finisce per risultare astratta ed inefficace; ma, al tempo stesso, una prassi che si esaurisce nel far fronte in maniera immediata a tali problemi, senza lumi teorici, rischia di vagare nel buio, di andare per tentativi.” (M. Baldacci in ‘Teoria, prassi e “modello” in pedagogia’)

 




3. ‘Nella filosofia del sec. 19°, la parte della gnoseologia che più in particolare si occupava dei metodi e dei fondamenti della conoscenza scientifica. In un’accezione più moderna e corrente, che prescinde dalla priorità dell’indagine gnoseologica e preferisce insistere sull’esemplarità della scienza positiva, s’intende per epistemologia l’indagine critica intorno alla struttura e ai metodi (osservazione, sperimentazione e inferenza) delle scienze, riguardo anche ai problemi del loro sviluppo e della loro interazione, sinon. quindi di filosofia della scienza; può riferirsi anche all’analisi critica dei fondamenti di singole discipline: epistemologia della matematica, e. della fisica, ecc., o della conoscenza in quanto tale (e. genetica, e. evoluzionistica)’.

(https://www.treccani.it/vocabolario/epistemologia/)

 

4. Letteratura, fiabe e psicoanalisi ci ricordano l’importanza dell’attraversamento del bosco come metafora della discesa nel nostro sé più profondo per uscirne adulti autodiretti, coraggiosi, vitali ed erotici: “Andate nel bosco, andate. Se non andate nel bosco, nulla mai accadrà, e la vostra vita non avrà mai inizio” (C. Pinkola  Estés, scrittrice, poetessa e psicoanalista). Che, nelle Arti Marziali realmente tali, è il necessario attraversamento e la compenetrazione tra Bujutsu, la pratica di uccidere per non essere uccisi, e Budo, la Via per divenire un uomo migliore: “Termine utilizzato nel XX secolo per designare le arti marziali con un fine prevalentemente ‘pacifico’ che indicava, oltre a discipline fisiche e di combattimento, anche dei concetti di natura etica, filosofica e morale” (L. Frédéric in ‘La Arti Marziali dall’A alla Z’)

5. “C’è una gran differenza tra il vivere con una espressione gentile ed il vivere con una espressione truce. Col passare del tempo non solo cambierà l’espressione degli occhi, ma cambieranno anche il viso della persona e la sua visione della vita“ (K. Tohei 1920 – 2011 Maestro 10° dan Aikido in ‘ La coordinazione mente – corpo’)

6. Nota pubblicità televisiva degli anni ’80 che offriva un’immagine di quella mascolinità, che oggi definiremmo tossica, per cui si riconosce un vero uomo dal fatto che non debba chiedere nulla ma prendere ciò che vuole.

 

 


 

 

 

 

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