Palazzo
Reale
Io
sono Leonor Fini
Una vita segnata, già dall’infanzia, da eventi traumatici:
La separazione non pacifica dei genitori; la fuga a Trieste, dall’Argentina,
della madre con lei al seguito; la ricerca disperata del padre per riaverla con
sé, con tanto di intervento poliziesco; la madre che per anni la traveste da
maschio per renderne più difficile l’identificazione; in ultimo, una malattia
che la costringe per due mesi bendata e al buio.
Ce n’è abbastanza per vedere crescere una persona insicura
e disturbata.
Una persona che si vede corpo mutevole e performativo, che
dipinge spesso figure ibride, tra l’umano e l’animale, entrando a piene mani
nel campo della metamorfosi e della trasformazione dell’identità, che trova
nell’attività di costumista e scenografa per teatro e cinema la via per
trattare il corpo come mezzo espressivo e narrativo.
La sua stessa vita fu una forma di espressione artistica.
Si presentava alle feste ed agli appuntamenti con abiti eccentrici e di stampo
teatrale, facendo della sua immagine una narrazione visiva. Narcisista ed
egoica fino all’estremo, come dichiarava lei stessa, probabilmente copriva una
insicurezza di fondo cercando sempre di stupire gli astanti, di farsi notare,
di non essere racchiusa in nessuna definizione.
Leggo i pannelli che ne
spiegano l’opera e trovo goffe le affermazioni di lei come capace di mettere in
discussione il genere, l'identità, l'appartenenza, i modelli consolidati di
famiglia, la mascolinità e la femminilità. Sorta di ultra femminista ante
litteram.
La sua infanzia ci mostra i traumi, i “mostri”, le paure
che l’hanno formata. Proprio quei pannelli che scrivono del suo rapporto con
Freud e la psicoanalisi come fanno a non prendere in considerazione una lettura
travagliata, sofferta, di chi cercava compagnia solo di uomini efebici, glabri,
giovani e così distanti dalla figura di maschio adulto, di… padre? Di chi amava
farsi ritrarre sempre in pose affettate, costruite, mai sincere, tanto che un
suo caro amico le scriveva implorandola di lasciarsi vedere invece di
nascondersi continuamente? Che, di suo pugno, scriveva quanto qui sotto:
Le opere della Fini, via da
ogni giustificazione a posteriori, sono intense, spesso grevi. Mi suscitano
emozioni profonde, rimandano a tormenti e oscuri spazi. Impossibile restare
indifferenti.
La sua intera produzione, dipinti o costumi che siano, è un
cammino nell’inconscio, un affacciarsi su mondi sospesi tra sogno e realtà. Le
sue figure femminili, un misto di potenza minacciosa e rassicurante presenza,
paiono uscire da un universo parallelo, fatto di sensualità e insondabili
misteri.
Il corpo è simbolo di trasformazione incerta, ambigua,
immerso in un mondo privo di certezze. C’è un istrionismo evidente in tutte le
sue opere, un aspetto drammatico come parte di chissà quale antico rituale
sepolto nei secoli, di cui lei si presenta come sacerdotessa.
Sì, sono immagini le sue, ma trasmettono e coinvolgono
stati d’animo, emozioni sotto pelle che mi interrogano su cosa sia la realtà
oggi e quanto in essa giochi la mia presenza nel definirla; suggeriscono che in
tutte le cose viva il loro contrario, che nella luce ci sia l’ombra e quanto la
seconda ci appartenga.
Mostra bellissima, ricca di opere.
Chissà se coloro che si occupano di corpo e movimento, in particolare di corpo e movimento nel conflitto, nel “marziale”, vanno a confrontarsi con altre manifestazioni artistiche, si arricchiscono del rapporto “artistico” anche fuori del loro “orto” traendone momenti di riflessione sul loro fare di corpo. Anche se ne dubito, per quanto posso sapere direttamente da loro o leggendo le loro esternazioni in rete.
Mi auguro, però, che i praticanti Spirito Ribelle
non siano altrettanto chiusi nel loro “orto”. Che esplorino il mondo tutto
dell’arte. Che, mio parere sincero, non si lascino sfuggire la mostra di
Leonor Fini.
Io sono Leonor Fini
Palazzo Reale. Milano
dal 26.02.2025 al 22.06.2025
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