Vulnerabilità, un tratto che ha accomunato, ed accomuna tutt’ora, diversi artisti di diverse arti. Capaci, questi, di fare della propria vulnerabilità arma per dare vita ad opere potenti, di valore. Musica, letteratura, pittura, danza entrano senza remore nella pancia e nel cuore di chi ascolta, legge, guarda, svelandogli aree sconosciute o rifiutate di emozioni profonde, dandogli l’occasione per scoprirsi più consapevole, più connesso con l’altro da sé. Ma anche di scansare, se lo vuole, quanto sta scorgendo, quanto gli sale in superficie, evitando di accettarlo, di ingaggiare un confronto, uno scontro e rifugiandosi in quella che oggi si chiama confort zone: Il luogo dove fingere una pace fittizia e tremula tra i mille sé che lo compongono, tra le pulsioni e i desideri personali e gli obblighi e le convenzioni della società; di indossare una maschera. Ognuno può scegliere il suo.
Quanto sopra, per me, per noi Spirito Ribelle, è
riferimento vivo e costante nella pratica marziale.
Vulnerabilità come fondamento
fisicoemotivo, è il nostro motto. Vulnerabilità che è accettazione di un
corpo fragile e caduco la cui forza va ricercata nella flessibilità e nella
coordinazione rapida. Vulnerabilità che è pratica di tattiche e strategie (heio),
di gesti, tecniche (waza) che si affidano prevalentemente all’assorbire
(mukae te), al “non esserci” (chowa), all’ingresso
calmo e consapevole dentro la chinesfera dell’avversario (sashi te).
Vulnerabilità che è giochi di coppia e di gruppo in cui riconoscere l’altro
come chi ci è compagno dentro la relazione e dentro la relazione siamo un
noi, non più un io e te.
La relazione, la pratica carnale, corporea, della relazione
è fondamentale (hon) nel nostro percorso marziale. Un percorso in cui
imparare a tenere lontani i tre nemici più agguerriti: Narciso, la vanità,
Titano, l’arroganza, Faust, la perfidia, la manipolazione. In cui
comprendere che l’io vive sempre in una rete di relazioni, opera in un
complesso e delicato ricamo che è la realtà perché MAI l’io è una monade.
Dunque vulnerabilità come capacità di stupirsi scoprendo l’io svanire in una
rete di nessi, in una narrazione universale chiamata realtà.
Vulnerabilità come ardire di mostrarsi per quello che si è. Mostrarsi impacciato, insicuro, timoroso, ma anche strafottente, sfacciato, ed essere pienamente disponibile a fare i conti con queste caratteristiche nel solco di una ruvida pratica Bujutsu come ingresso per entrare nella formazione etica Budo, che è crescita, Via. Occorre coraggio, coraggio guerriero per farlo, ed è questo coraggio a fare della vulnerabilità una forza.
Vulnerabilità come terreno
fertile, terreno molle, che in quanto tale permette di accettare e comprendere quando
si sta perdendo la strada, la direzione e dove invece andare per “attraversare
il bosco”; di accettare e comprendere sia i propri tentennamenti e cadute
evitando di giustificarsi quanto di giudicarsi, sia i suggerimenti e gli inviti
dell’esperto, del “nato prima (il Sensei) e dei compagni più
anziani che ti camminano accanto.
Vulnerabilità come sapersi
offrire nudi, indifesi, agli altri perché questo lasciar cadere la “maschera”
permette a chi ti sta accanto di avvicinarsi senza timori o pregiudizi, di
vederti autentico, di avviare relazioni basate sulla fiducia e sulla
comprensione reciproca.
Vulnerabilità come accettazione
di non capire subito, di mettersi nella disposizione d’animo, tipicamente
Tradizionale nella cultura asiatica, di passività di fronte alla complessità e
al mistero dell’accadimento; come affidamento al senso ed all’intuito, meno
apollinei e più dionisiaci, meno razionali (illuministi?) e più adepti della reverie
in quanto spontanea disposizione ad immedesimarsi in modo empatico, persino
simpatico.
Vulnerabilità come totale
pratica fisicoemotiva di incontro e scontro, per un artista marziale vitale
ed erotico.
“Le persone istruite comprendono la Via con il loro corpo;
ovunque
ci sia il corpo, là vi è anche la Via”
(T. Cleary
in ‘Meditazioni taoiste’)
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