“Un coltello è un buon amico quando non hai nessun altro.” Non è una frase di violenza, ma di solitudine. Di presenza. Di assoluta verità.
Non a caso, nella nostra italica cultura, era chiamato “il servo silente”. Lui non tradisce né mente. È lì, impassibile e lustro, come la luna sopra un campo di battaglia dimenticato. Ti guarda, e ti chiede: “Sei pronto a vederti davvero? Davvero dentro?”
Il Coltello è specchio
Nelle Arti Marziali, il coltello non è solo un oggetto da impugnare. È un’estensione della personalità, che tu lo riconosca o meno; è una lama che recide ogni illusione. Ogni gesto con lui è una confessione perché la traiettoria svela il pensiero, la postura svela il cuore. Chi pratica con il coltello non lo possiede né lo domina... lo ascolta, se ne è capace.
Il coltello è un amico fedele perché non ti lascia scappare. Ti costringe ad essere preciso, presente, autentico. Non c’è spazio per distrazione, per teatralità. Ogni gesto, ogni fendente, è reale, ogni errore è scavato nell'acciaio.
La Solitudine del Guerriero
Quando sei solo e non hai nessun altro accanto, non il Maestro, non il compagno di pratica, né alcuna certezza, il coltello è lì, non ti abbandona. Come ti è compagno nel Dojo così ti è accanto tra le pieghe dell’animo, nel dubbio che precede la trasformazione. È lì, come un cantico tagliente, che ti svela: “La tua forma è il tuo pensiero. Il tuo pensiero è la tua lama.”
Il coltello come voce silenziosa
Nel Kenpo cinogiapponese, nel Kali filippino, nel Silat indonesiano, il coltello danza. Non urla, non strepita, non aggredisce: Bisbiglia, sussurra. È una voce che allude attraverso il tuo corpo, la tua gestualità; che narra storie di antenati, di sopravvivenza, di morte data per necessità o per piacere, di eleganza nascosta nella ferocia.
Chi lo pratica con kokoro, cuore, sincero scopre che il coltello non è mai solo. È la memoria di chi ha camminato prima, la disciplina di chi ha scelto la retta Via, il canto di chi ha trasformato il pericolo in arte.
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