sabato 4 gennaio 2020

Martin Eden



 Struggente ed intensa pellicola ( regia di Pietro Marcello e interpretazione intensa di Luca Marinelli), traspone il Martin Eden di Jack London nella Napoli del ventennio: operazione riuscita alla perfezione.

Diciamo subito che, in realtà, il presunto primo ventennio del ‘900 è attraversato da incursioni  che lo stravolgono, laddove la famiglia Orsini sembra vivere nell’Ottocento più edulcorato, mentre la famiglia di Eden pare schiacciata in un dopoguerra da anni quaranta.

La trasposizione vede Martin Eden, ingenuo e spavaldo insieme, affogare lentamente e dolorosamente nella acre contraddizione dei tempi nostri tra un anelito alla scalata sociale e il distacco, che è perdita dolorosa in odore di tradimento, dalla classe di appartenenza.
Conquistati cultura e successo, denaro e popolarità, Martin Eden si ritrova privo di una identità consapevole, abbandonandosi a gesti autodistruttivi, ad una indifferenza tormentata in cui il passato non gli appartiene più ma nemmeno sa riconoscersi nel presente.

Sprezzante e violento, i suoi tratti anarchici ed individualisti, che si mostrano in tutto lo scorrere del film in opposizione alle teorie socialiste come in opposizione ad un presunto liberalismo che anticipa le distorsioni e le ingiustizie di un capitalismo monopolistico marcescente, si rifanno, anche in modo disordinato, alle teorie di Herbert Spencer. Questi, un intellettuale inglese dei primi dell’800 a sua volta influenzato dalle teorie di Malthus, nonché strenuo difensore del liberalismo totale,  arriva a ipotizzare che lo Stato non deve assolutamente intervenire con criteri di solidarietà o di agevolazioni,  perché altrimenti  impedisce che maturino le forme di selezione naturale necessarie alla sopravvivenza della società stessa.

Eden fa proprie, a suo modo, queste teorie investendole in un anarchismo individualista sfrenato, avverso al sapere accademico e al nuovo che lo circonda, quanto del tutto incapace di trovare, nella vita privata come in quella pubblica, un percorso di autentica individuazione antagonista o alternativa da offrire a se stesso come alla collettività.

Un intellettuale per niente organico; un “maledetto” autolesionista come altri scrittori e poeti; ma anche, riflettendo ai giorni nostri ed allo sfrenato bisogno di successo, un uomo che si è sacrificato sull’altare dell’industria culturale fino a perdere il senso di sé; e pure un monito verso quanti, famosi o non famosi, una volta raggiunto il successo, grande o piccolo che sia, non riuscendo a reggerne il peso psicologico, si sono alienati, persino suicidati, materialmente o meno: quel subdolo mal di vivere che non risparmia nessuno, nemmeno chi sembra ne sia protetto da una condizione sociale di superiorità e riconoscimento collettivo.

La pellicola, tra le tante chiavi di lettura possibili, ci narra di un uomo che crede solo nel proprio essere individuo perennemente  contro una società ingiusta; che crede di trovare una strada salvifica nell’amore (verso una giovinetta della società alta) e nella cultura (alta); che finisce per affondare malamente scoprendo la falsità delle sue illusioni e delle sue idealizzazioni, l’impossibilità a tornare alle sue radici, fino a darsi la morte.









1 commento:

  1. Suona davvero interessante e attuale, cercherò di recuperarlo quanto prima.

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