lunedì 9 ottobre 2023

The Palace

I lavori lungo la stazione costringono i passeggeri a percorrere un tragitto che è una strettoia, tra case e cinta di protezione dei lavori medesimi

Li vedo, mi vengono incontro in fila indiana; volti tesi, sguardi incupiti: Automi di carne. Molti hanno lo sguardo fisso sul cellulare, oppure hanno cuffiette a incorniciare loro il volto, chissà se si rintronano di musica o subiscono la nenia di un podcast, che è la versione per adulti pigri e passivi delle favole che la mamma o il papà raccontava al suo bimbo: Non vorrai mica fare la fatica di leggere, che è riflettere su quanto stai leggendo e prenderti delle pause per comprendere? No, ingurgitano parole e parole in una melassa di emozioni indistinte. Pochi, eccezioni meravigliose, si guardano attorno; nel momento che mi passano accanto paiono vivere e non dormire, non sopravvivere: Probabilmente, notano quanto accade loro accanto, annusano gli odori diversi che si succedono, discernono le diverse colorazioni della luce del giorno, ascoltano la sinfonia di rumori della strada, si relazionano con lo sguardo, la presenza di chi incontrano. Vivono, appunto.

Lupo, fuori con gli amici, Monica con amiche, eccomi seduto in platea a vedere

The Palace

di Roman Polanski

 

Siamo alle soglie del nuovo anno, il temuto 2000, quello del “millenium bug”, della crisi informatica, per alcuni persino della fine del mondo. E siamo anche in un lussuoso hotel montano per vip.

Un piccolo mondo di persone che sono personaggi, un’umanità corrotta e viziata, futile e ignorante, che si affolla, si incontra e si scontra tra eccessi e stranezze, capricci e ingenuità.

Una pellicola scoppiettante, vivacissima. Non c’è la poesia di Fellini, non c’è la follia visionaria di Bunuel ma, col tanto divertimento che le scene suscitano, c’è un continuo succedersi ed incastrarsi di avvenimenti sconclusionati, perversi, che sono un inarrestabile eruttare di emozioni a scontrarsi con la voglia di riflettere, di comprendere.

Chissà se lo zelante manager dell’hotel, nel suo reggere quello strabordante circo di mostri, sia in realtà quello che dà loro un senso, addirittura il perno che consente alla volgarità e all’ostentazione di potere e ricchezza dei clienti di continuare ad esistere, esistere senza soluzione di continuità?

Chissà se l’umile e umiliato personale dell’hotel starà sempre sottomesso? Se una ribelle canzoncina cantata sommessamente e insieme da guardie del corpo ed inservienti non sia il preludio ad una rivolta? O finirà lì, in una minuscola stanza senza alcuna voce potente?

Che effetto vedere lo stormo di ex giovani e belle mostruosamente rifatte, ristrutturate, dal noto medico della chirurgia plastica, affannarsi attorno a lui mentre è alle prese con una moglie, lei aspetto fisico normale, affetta da Alzheimer e dunque abitante di un mondo tutto suo, che non c’è. La normalità non può abitare e tanto meno pretendere dignità in questo mondo di predoni dell’arricchimento, dell’ostentazione, dell’eterna giovinezza, della pretesa libertà di soddisfare ogni voglia?

Davvero la tentazione della ricchezza facile e dunque illecita, del lusso sfrenato, fa presa anche sul notabile di banca, su quella piccola borghesia che dovrebbe custodire l’osservanza di disposizioni e leggi?

Le domande, sorte durante la proiezione, ora possono sgorgare libere. Ceno da solo, in un locale tranquillo, mentre nelle vie adiacenti brulica la gioventù chiassosa di questo terzo millennio.

Ah, che c’azzecca, con questo mio commento alla pellicola, l’ordinata e mesta fila di supini addomesticati di cui ho scritto ad inizio? Secondo te che mi leggi?

PS) Leggo che molti (non tutti) i critici cinematografici hanno stroncato la pellicola: Chi l’ha definita un “cinepanettone, chi “commedia molto leggera e inattesa, di poche pretese”, chi “troppo spuntato nei suoi riferimenti e grossolano nelle sue scenette”. Sono molto contento di non essere un “critico cinematografico”, uno che con le critiche ci porta a casa la pagnotta, ma solo un semplice appassionato. Questo mi ha permesso di godere un’ora e mezza di grande cinema, senza quelle “seghe mentali” e la loro … capacità (?!) di ignorare lo stile Zakopane e Stanisław Witkiewicz o il paradosso e le ossessioni di Witold Gombrowicz, insomma di ignorare come una certa cultura polacca possa aver influenzato il lavoro di Polanski e Skolimowski (co sceneggiatore del film) aiutandoli a sfornare una pellicola tanto godibile quanto (a chi interessi) di cultura alta. Altro che “cinepanettone”!!

 


 

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento