sabato 12 aprile 2025

Perché mi piace il Kenpo Taiki Ken

 

Spirito Ribelle - Pa Kwa

Chissà, magari il compito di ogni individuo che voglia farsi adulto è abitare il cielo immenso costellandolo di stelle. Non per riempirlo, che quel vuoto buio ci parla il linguaggio del mistero e del silenzio, “vuoto fertile” (1) di stampo gestaltico, e riempirlo mi parrebbe sconcio e superfluo, quanto per tessere fili invisibili di danza capaci di giocare a rimpiattino e rincorrersi tra una stella e l’altra. Si addensa, così, una melodia cinetica in cui, Tao e sempre Tao, vuoto e pieno si muovono insieme amalgamandosi e insieme scontrandosi.

Fu il poeta Ezra Pound a scrivere “Quello che veramente ami non ti sarà strappato. Quello che veramente ami è la tua vera eredità”.


Amando io il vivere, il vivere di corpo, di corpo fisicoemotivo, e dedicandomi alla pratica delle Arti Marziali da quasi mezzo secolo, convengo che ciò che davvero ami ed a cui dedichi molto, se non tutto, di te stesso, rimane.

  • Ho praticato diverse Arti Marziali e sport da contatto guadagnando gradi superiori e qualifiche di rilievo.
  • Ho attraversato

una prima fase di ricerca dell’Arte migliore, quella completa e più efficace in combattimento;

una seconda di miscelazione delle diverse Arti tra di loro perché questa miscela non lasciasse fuori niente né di tecniche /tattiche né di strategie.

  • Infine (era ora, ma almeno io ci sono arrivato: Quanti altri?) sono approdato alla fase in cui comprendere che è il praticante il centro, l’attore protagonista, con il suo personale ed unico corpo / corpo fisicoemotivo dentro cui far attecchire il sapere del corpo in movimento. Ovvero l'insieme delle informazioni che il corpo stesso fornisce sul proprio movimento, posizione e forza applicata aggiustandole ed adattandole a seconda delle situazioni. Non si tratta né di eleggere una disciplina come l’unica valida né di fare una ‘marmellata’, una sommatoria di pezzi dell’una e dell’altra. il che risulterebbe solo fragile come un puzzle.
Eccomi karateka



A quel punto, una ventina e più di anni or sono, non potevo che innamorarmi di un’Arte, fino ad allora praticata insieme ad altre, di cui il fondatore Wang Xiangzhai diceva: “Non esiste un equilibrio assoluto, quando parliamo di equilibrio, parliamo della capacità di controllare l'equilibrio in questo preciso momento” (2)

Liberato dalla meta, dall’ansia di approdare ad un risultato, pratico errante e vagabondo, pratico per il piacere ed il gusto di percorrere il cammino della conoscenza di me attraverso la conoscenza di me corpo; mai gravido di un carico prestabilito, una tecnica da imparare, una sequenza da memorizzare, e sempre pronto a rinnovarmi, perché essere artista, tanto più artista marziale non è mai, non può essere mai sgranare un rosario recitando devozioni.


ZNKR alle origini



Pare generalmente accettato che la spinta originaria alla creazione dello Yi Quan / I Chuan, il fondatore Wang Xiangzhai la ebbe perché disgustato dalle rigidità formali, dalle pretese dogmatiche, in cui versavano gli allenamenti convenzionali e ripetitivi dei principali stili ‘interni’ di Kung Fu: Tai Chi Chuan, Pa Kwa Chuan e Hsing’I.

Qualcuno una riflessione su come si insegna e si apprende ancora oggi nella pratica di Arti cinesi, giapponesi, vietnamite, filippine, tra ‘copia e incolla’ e ricerca ossessiva dell’imitazione perfetta, avrebbe voglia di farla?

Quando alcuni allievi proposero al fondatore di cambiare il nome della sua Arte in Dachen Chuan ((‘pugilato del grande risultato’ o ‘pugilato grande e completo’) questi rispose: “Non ci sono limiti allo sviluppo dell’Arte Marziale, perché dovrei chiamarla ‘grande risultato’?” (3)

Qualcuno una riflessione sui ‘sistemi’ di questa o quell’Arte che presuppone un percorso con inizio e fine solo al termine del quale l’allievo può essere considerato ufficialmente ‘arrivato’, ‘esperto’, ‘padrone’, avrebbe voglia di farla?

Il sistema nervoso è molto importante e il sistema nervoso è influenzato dall'attività mentale – spirito”. Scriveva già cinquant’anni or sono Yao Zonggxun (4), relegando in secondo piano il lavoro muscolare.

ZNKR Kangeiko - stage invernale a. 2013


Oggi, nel terzo millennio, nelle Arti Marziali ancora l’attenzione prioritaria è sui muscoli, sul potenziamento muscolare e l’allungamento muscolare. Oggi ancora l’attenzione principale è sul corpo come Korper e non Leib (5), sul tentativo di unire corpo e mente come fossero due cose diverse. E questo nonostante il sapere taoista, la fenomenologia occidentale, le neuroscienze (6) e… lo Yi Quan!!

Perché dello Yi Quan

ho scelto la versione giapponese?

  • La mia formazione marziale è iniziata con un’Arte giapponese, il Karate stile Shotokan, ed è proseguita affiancando alla pratica regolare di questo stile esperienze prolungate o saltuarie di altri stili di Karate come Shingakukai, Wado Ryu, Shito Ryu, Goju Ryu, e, dunque, le mie fondamenta sono propriamente giapponesi.
  • Il primo incontro con lo Yi Quan nel 1980 o giù di lì, avvenne nella versione giapponese grazie al Maestro Tokitsu Kenji. Riferimento che, nei decenni, pur saltuariamente, non ho mai perso.
  • Quando decisi di approfondire lo studio di quest’Arte avevo la possibilità di scegliere tra un comodo studiare nella mia città, Milano, presso il Maestro Yang Li Shen che vi si era appena trasferito o un molto meno comodo recarmi regolarmente a Firenze presso il Maestro Stefano Agostini che, con il Maestro Sun Li, diffondeva uno stile di Taiki Ken, lo I ken. Pur non potendo certo disconoscere la validità del Maestro Yang Li Shen, preferii la scomodità del viaggiare Firenze – Milano. (7)
  • Infine, ho sempre aborrito la traduzione di Yi /I che veniva data qui in Italia ed appiccicata allo Yi Quan / I Chuan, ovvero ‘Intenzione’, dunque ‘Pugilato dell’intenzione. Mi sono invece ritrovato nella traduzione che ne dà la sinologa Giulia Boschi ‘Spontaneità, su cui concordava, in una conversazione privata avuta durante uno stage presso di lui, il Maestro Xia Chaozhen e che è propria anche dei Maestri che lo Yi Quan insegnano in Francia. C’è una bella differenza tra proporre una pratica basata sull’intenzione “Orientamento della coscienza verso il compimento di un’azione, direzione della volontà verso un determinato fine; può indicare semplicemente il proposito e il desiderio di raggiungere il fine, senza una volontà chiaramente determinata e senza la corrispondente deliberazione di operare per conseguirlo” così la definisce il Vocabolario Treccani, o sulla spontaneità “La caratteristica, il fatto di essere spontaneo e non calcolato o affettato, come tendenza abituale a comportarsi con naturale franchezza e immediatezza” (ibidem).

Spirito Ribelle. Maki mani che avvolgono



Giacomo Dall’Ava scrive: “Le azioni sono inscritte nella carne ancor prima che l’intenzione consapevole agisca e detti i comandi. Insomma, non è che abbiamo un corpo ma siamo corpo” (‘La reazione all’ambiente che ti comanda’ in ‘La chiave di Sophia’ n.12 giugno – settembre 2020). Chiunque stia leggendo capisce subito la differenza, lo spartiacque, che rimanda, ohibò!!, a quella tra Korper e Leib, tra la solita pratica ripetitiva e dogmatica ed il percorso creativo, totale che, mi pare di poter affermare senza essere smentito, stava alla base della nascita dello Yi Quan e della sua versione giapponese, il Taiki Ken.

“Non ci sono forme fisse nel Taikiken. Sebbene questo libro presenti metodi di difesa e attacco, sono solo esempi dei tipi di attacchi e difese possibili. Praticare per perfezionare Zen e Hai costituisce la base dell'allenamento. Quando si entra in contatto con un avversario, il proprio corpo deve essere in grado di muoversi in completa libertà. Costringere persone grandi e piccole a praticare le stesse forme non ha senso. Inoltre, un'eccessiva attenzione alle forme uccide solo la libertà di movimento. Il Taikiken mira a consentire a ogni individuo di usare i movimenti del corpo che gli si addicono”

(K. Sawai ‘Taikiken The Essence of Kung-fu’. Traduzione dall’inglese mia)

Letto quanto sopra, comprendi perché 

mi piace il Kenpo Taiki Ken?

E a te?

 

 


 

 

1. https://scuolacounselinggestalt.it/v-come-vuoto-fertile/#:~:text=La%20sensazione%20era%20quella%20di,Ci%20abbracciammo.

2. He Jinping ‘Wang Xiangzhai – Contradictions old man’ traduzione dal cinese all’inglese di A. Kalisz; dall’inglese all’italiano, mia. In ‘Collection of essays about Yiquan published at A. Kalisz’s site in years 1996 – 2007.

3. Master Yao Chengguang answers question; traduzione dal cinese all’inglese di A. Kalisz; dall’inglese all’italiano, mia. Ibid.

4.Yao Zongxun ‘General characteristics of Yiquan”; traduzione dal cinese all’inglese di A. Kalisz; dall’inglese all’italiano, mia. Ibid.

5. Leib è il corpo vivente, abitato, di cui faccio esperienza, che è me. Körper è il corpo-cosa, il corpo nella sua materialità, corpo oggettivizzato, quello che come una maglia allungo, stiro, accorcio, ripiego come se fosse altro da me, come se non fosse me e come tale suppongo (erroneamente) non mi influenzi fino a determinarmi nel pensare, negli stati d’animo, nell’agire a seconda di come lo tratto.

6. “La mente è incorporata, nel senso più pieno del termine, non soltanto intrisa nel cervello” (A. Damasio ‘L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano)

7. A conferma delle capacità del Maestro Yang Li Shen, posso scrivere che due miei allievi, già plurigraduati cintura nera presso di me e con qualifica di Maestro, i quali stavano cercando una loro autonoma strada marziale, studiarono per diversi anni col Maestro Yang Li Shen. Ambedue raggiunsero la qualifica di Insegnante e gradi superiori, quarto e sesto, entrando nella ristretta cerchia dei discepoli a lui più vicini, almeno fino a quando il Maestro lasciò l’Italia e la sua organizzazione si sbriciolò. Io però non rimasi affatto colpito dal suo modo di insegnare, che mi risultava dogmatico e per nulla corrispondente allo spirito di quell’Arte come descritto invece dal Maestro Guo Gui Zhi: “D. Ci sono allenamenti codificati nel Dacheng Chusn / Yi Quan? R. No, nulla di predeterminato. (omissis) Il lavoro di visualizzazione, di sensazione e sullo spirito fa parte del metodo interno. Yi si può tradurre con volontà e spirito”. (Intervista di cui ho conservato traccia scritta ma non il riferimento bibliografico)

 

Spirito Ribelle. Sempre nuovi giochi di formazione

 

 




giovedì 10 aprile 2025

Di poeti, di anarchici, di ribelli e di eterni sconfitti al tavolo di gioco della vita

 L’elenco sarebbe lungo, lunghissimo. Perché sin dagli albori dell’umanità hanno vissuto singolari individui capaci di incarnare lo spirito ribelle e sovversivo di chi non canta mai nel coro e non si perita di doverne pagare le conseguenze. Di chi cerca oltre l’orizzonte non per narcisismo, per stupidità, per un malato delirio di onnipotenza, per una fede smisurata e incrollabile in una ideologia, ma per quella genuina sete di sapere mai disgiunta dal sapore beffardo dell’autoironia prima ancora che dell’ironia, dal gusto del maramaldeggiare facendosi beffe del conformismo e delle convinzioni dominanti, dal prendersi sul serio il giusto senza mai innalzarsi sul piedistallo.

Dei tanti, tantissimi, che hanno legittimamente posto nell’elenco, qui mi piace ricordare due uomini agli antipodi tra di loro per collocazione ideologica, per ruolo professionale e sociale, per importanza nella storia grande, per destino.






Ezio Vendrame, calciatore degli anni ’70, di cui lo scrittore Gianni Mura così ebbe a scrivere: “Uno che sostiene che il gol è la cosa più insignificante di una partita, che è molto più divertente mirare il palo, uno che una volta ha dribblato il portiere e poi, a porta vuota, è tornato indietro perché anche un portiere è un uomo e bisogna dargli un’altra possibilità, uno così non deve fare carriera. E non vuole farla”. Con quella testa, Vendrame non sfondò nel grande calcio. Morì a 72 anni per un male incurabile dopo che dal calcio era passato allo scrivere libri e poesie.

Giuseppe Rensi, considerato, da chi ne ha studiato la vita, il padre putativo del fascismo. A lui, militante a sua volta del socialismo rivoluzionario, si deve l’aver portato Benito Mussolini da radicate posizioni socialiste, attraverso l’interventismo, al fascismo.


Rensi ebbe ruoli importanti all’interno del Partito Socialista, tanto da essere direttore de «Lotta di classe» e collaboratore sia con la «Critica sociale» di Filippo Turati che con la «Rivista popolare» di Napoleone Colajanni. Costretto, in seguito ai moti milanesi del 1898, a lasciare l’Italia e a rifugiarsi nel Canton Ticino, lì avviò la sua conversione verso idee di stampo fascista. Fu elogiatore di Lenin, considerò il fascismo l’applicazione coerente delle teorie rivoluzionarie di George Sorel (1) ai ceti medi viste come nuovo socialismo. Una volta che il fascismo divenne regime di potere, gli si rivoltò contro, fedele al suo motto “Dalla parte di vinti e mai dei vincitori”. Da dissidente, fu incarcerato più volte e privato della cattedra universitaria.

Un ribelle “piccolo”, insignificante al palcoscenico della grande storia, e un ribelle che in quel palcoscenico ha avuto un ruolo di levatrice di profondi mutamenti, gravi tragedie.

Mi pare di riconoscere in Vendrame e Rensi due individui che scelgono deliberatamente di porsi controcorrente. Mentre molti di coloro che compiono questa scelta lo fanno nell’ansia di essere accettati, non da tutti indistintamente, è ovvio, ma dal loro ambiente, dalle persone che ammirano e di cui desiderano il rispetto e la considerazione, loro invece si sono posti proprio fuori e contro il loro ambiente: il primo l’ambiente da cui traeva la ‘pagnotta’ ed avrebbe potuto trarne successo, il secondo l’ambiente che lui stesso aveva contribuito a costruire.

Non ho una morale da trarre da quanto scritto sopra, né indicazioni di percorso

per chi volesse ascoltarmi.

Mi piace però pensare che essere un autentico ribelle significhi rinunciare alla illusione di un controllo totale sulle cose e di conseguenza tollerare la paura e l’ansia che originano dalla necessità di vivere in una aleatorietà che non può essere completamente eliminata.

Sapersi fermare, sapere di non potere capire tutto, una sorta di umiltà socratica che rende il dubbio non solo tollerabile ma auspicabile potrebbe essere stato, con diversa profondità, il “cum grano salis” di un piccolo atleta e di un corposo pensatore.

Vendrame autore di gesti sfrontati e irrispettosi, come quando salì a piedi uniti sul pallone e vi rimase per alcuni istanti guardandosi attorno, mano di taglio sulla fronte per comunicare ai compagni che non vedeva nessuno di loro libero a cui passare la palla. Oppure, in una partita il cui risultato di parità era già stato deciso in anticipo, puntò rapidamente la sua porta, dribblò i compagni e, davanti al proprio portiere, mimò di fare autogol perchè lui non tollerava le partite “combinate”. Purtroppo, sugli spalti, uno tifoso morì di infarto!!

Rensi, capace di allontanarsi dalla creatura alla cui nascita aveva tanto contribuito, di non cedere alle persecuzioni della stessa continuando la sua indagine filosofica e la scrittura di numerosi libri. Di attraversare positivismo, idealismo, scetticismo, incurante di ogni contraddizione e scontrandosi senza alcuna remora con colui che, allora, era considerato un gigante del pensiero ed una bandiera del regime: Giovanni Gentile.

Alcuni fallimenti ci spingono a insistere, altri invece a lasciar perdere; alcuni ci danno la forza di perseverare irremovibili, altri ci suggeriscono un cambiamento, e in questo altalenarsi il ribelle sceglie per estro ed istinto, mai per convenienza. Probabilmente, una virtù del fallimento è che non rende necessariamente più saggi, più umili o più forti, ma semplicemente disponibili ad altro: Per Vendrame la sua opera di poeta e scrittore, per Rensi il suo immergersi nella speculazione filosofica. Per altro, ambedue dimenticati e caduti presto nell’oblio sia in riferimento alla loro prima parte di vita che alla seconda!! E’ il destino di ogni autentico ribelle?

I grandi audaci sono grandi estimatori. Dell’altro ammirano sempre la singolarità. Pertanto non lo imitano: l’altro li affascina proprio perché inimitabile, però a lui si ispirano. E’ la bella virtù dell’esemplarità, che non bisogna intendere in senso imitativo, perché gran parte di ciò che siamo convinti di sapere non è altro, in realtà, che semplice fiducia nelle conoscenze di qualcun altro. I ribelli Vendrame e Rensi hanno osato andare oltre e conoscere sulla propria pelle, senza timore di apparire e probabilmente essere contraddittori, persino sciocchi secondo il vigente modo di pensare e giudicare le persone ed i loro atti, ed anche per questo sono stati rapidamente dimenticati.

Nella cultura giapponese, si chiama gyakufu (faccia al vento), chi o cosa si oppone ostinatamente all’ordine delle cose, al pensiero dominante e generalmente condiviso. E gyakufu è connotazione sempre negativa. Eppure la storia dei samurai è ricca di guerrieri antichi e moderni che furono, a loro modo, chi Vendrame chi Rensi.

Nella cosmogonia taoista, tra gli otto immortali, ha un ruolo di spicco Lan Caihe. Forse intersessuale, forse maschio che si credeva femmina, forse semplicemente effeminato, Lan Caihe spicca per le sue stravaganze e un carattere vivace ed irrequieto. Non a caso, la sua figura nella pratica della spada è associata all’imprevedibilità, a colpi e parate del tutto insoliti.

Mi piace pensare che la figura del ribelle, che ogni ribelle, a suo modo ci inviti ad accantonare il timore di non essere accettati, la paura di essere sconfitti, per invece rischiare di nostro quella strada che nostra sentiamo. La vergogna per una nostra presunta diversità, la paura stessa di non farcela dentro la scala di valori su cui si è costruita la società ci lascia impantanati, ci àncora allo status quo anche quando il cambiamento, pur rischioso e persino improduttivo e foriero di calamità, ci tenta, lo sentiamo nostro. E allora a culo quel che pensano gli altri, quel che di disgraziato potrà succederci: Vendrame mai salito alla ribalta del calcio che conta. Rensi perseguitato da quell’apparato che senza di lui mai sarebbe esistito.

E tu, hai un tuo Vendrame o un Rensi che possano ispirarti?

 

1.     1G. Sorel (1847 – 1922) ingegnere e filosofo.

 

 

 

martedì 8 aprile 2025

Pa Kwa / Hakkeshou. Secondo vortice e animale Gru, Falco / Gallo

 



“Guarda la Luna/ tra li alberi fioriti;/ e par che inviti/ ad amar sotto i miti/ incanti ch’ella aduna.

Veggo da i lidi/ selvagge gru passare/ con lunghi gridi/ in vol triangolare/ su ’l grande occhio lunare”

(G. D’Annunzio) (1)

 




Il secondo Vortice, a disegnare con una mano il numero otto / segno dell’infinito parallelo al suolo. Come per ognuno degli otto Vortici, l’avvitamento e la spirale si avviano, alternandosi a piacere, dal dito mignolo, il cuore, e dal dito pollice, il polmone. Il passaggio da un lato all’altro non è effettuato con la torsione dei fianchi, dispersiva, ma con un movimento “a rientrare” anch’esso originato dall’affidarsi alla spirale e particolarmente ficcante.

 





Il secondo Vortice si accompagna all’animale Gru, Falco / Gallo del Pa Kwa / Hakkeshou

Ogni Scuola, ogni insegnamento, si affida ad uno, uno solo, di questi animali. La differenza non è ininfluente, perché ognuno di loro vanta caratteristiche diverse; dunque, con e prima ancora della pratica, ben diversi sono i tratti fisici / fisicoemotivi e di carattere (a volte anche di personalità) che la pratica va a toccare.

Giusto mò di esempio:

  • Ø  Il Gallo / Falco è animale simbolo del coraggio e del combattimento, sopportando ogni rischio per salvare la propria famiglia, il proprio clan.
  • Ø  La Gru è invece simbolo di lunga vita, felicità e buona fortuna. Le gru sono anche simbolo d'amore e fedeltà poiché rimangono con lo stesso partner per tutta la loro vita. Alcune fiabe tradizionali utilizzano la gru per invitare a rispettare la bellezza senza violarla con la curiosità ed il desiderio di sapere ad ogni costo.




Da noi, Spirito Ribelle, pratichiamo

l’animale Gru.

La qualità della relazione che abbiamo con noi stessi e con il mondo, il nostro carattere, il nostro modo di stare nelle relazioni, sono influenzati profondamente dal modo come sentiamo e comprendiamo l'ANIMA-LE dentro di noi. Wilhelm Reich (2) lo chiamava nucleo biologico primario, i taoisti Dan Tian, c’è chi lo definisce Sé, chi parte sacra. Al di là delle tante definizioni, resta un'unica essenza che lega la vita d'ogni individuo alla vita dell'Universo.

Breve schema esplicativo della Gru

Caratteristiche

Polarità opposta

MTC

  • gli uccelli non hanno braccia, perciò stanno su una gamba sola e con l'altra raspano, usano una gamba come mano (il ginocchio si muove come un gomito) per razzolare nel fango, nella terra. Hanno i la capacità di stare in equilibrio su una gamba e lasciare l'altra completamente indipendente. Hanno il collo molto mobile e allungato, usano la testa con movimenti veloci e molto sciolti (beccare). Questa è sempre libera, indagatrice, lo sguardo sempre alla ricerca di qualcosa. Altra caratteristica è il volo, la leggerezza.
    .

Rigido.

Soggetto con carattere inflessibile ed orgoglioso.  Si controlla, trattiene, mostrando rigidità sovente localizzata nella schiena. L’individuo con questa struttura caratteriale è generalmente orientato verso il mondo, ambizioso e competitivo, in lui la passività è indice di vulnerabilità. Quando anche agisce di cuore lo fa sempre anelando al controllo della parte razionale., Per questo desiderio e slancio amoroso sono sempre frenati.

Dal punto di vista affettivo, tale individuo è convinto che le proprie emozioni e i propri impulsi debbano essere controllati per non perdere la propria autostima o per non danneggiare gli altri. Di qui la tendenza a reprimere e a razionalizzare le emozioni. Rigido, impostato, non si abbandona e vive gli affetti in modo coartato.
Si tratta quindi di un disturbo pervasivo, che incide sul funzionamento generale del soggetto, inficiandone a volte l’efficienza e rendendolo così rigido e noioso, da compromettere la qualità delle sue relazioni sociali.  E’ un individuo eccessivamente preciso, affidabile, puntuale, pignolo ed ordinato che, anche nel linguaggio comune, viene reputato “ossessivo”.

Fuoco, cuore, lingua, rosso, gioia;

Domina sangue e vasi (controllo vascolare) si manifesta sul volto, abita lo Spirito e la mente; da esso dipendono consapevolezza, pensiero, qualità del sonno e, in parte capacità mnemoniche (collegate ai reni). Ha quindi il controllo dell'equilibrio psichico.

E' collegato alla lingua e dunque alla capacità oratoria.

Il cuore è associato all’estate. Il meridiano cuore favorisce l’adattamento degli stimoli esterni alla condizione interna del corpo. Ciò lo connette all’emotività e alla funzione regolarizzatrice di tutto il corpo mediante la sua influenza sul cervello ed i cinque sensi.

Rappresenta l’amore, la passione, la violenza.

La pratica della Gru giova a chi,

Ø  Ha timore di abbandonarsi e di essere fragile; a chi associa il cedere alla sottomissione; a chi anche nei rapporti intimi rimane sulla difensiva

Ø  Soffre di spasticità nei muscoli estensori e flessori.

 



Qui allo Spirito Ribelle, la pratica dell’animale Gru comprende, con la camminata in cerchio Pa Kwa / Hakkeshou, anche esercizi e giochi specifici di quell’animale e dei tratti fisicoemotivi e caratteriali che lo interessano:

  • ·         pratiche energetiche e di salute Chi Kung / Kiko;
  • ·         abbinamento tra ritmo e frequenza del respiro e andatura “libera”;
  • ·         meditazione specifica;
  • ·         antica forma Dim Mak, ovvero di percussione sui punti vitali;

oltre che, ovviamente, a giochi vincolati e semiliberi di formazione al combattimento in stile “Gru”.

 

 


 

 

 

 

1. Gabriele D’Annunzio (1863 – 1938), scrittore ed attivista, profondo ammiratore del Giappone e della sua cultura. Ammirazione ampiamente ricambiata tanto che, a Tokyo e Kyoto, gli si dedicarono grandi festeggiamenti in occasione dell’anniversario dei 150 anni dalla sua nascita.

2. Wilhelm Reich (1897 – 1957), psichiatra e psicanalista, sviluppò una sua psicoterapia corporea chiamata Vegetoterapia Caratteroanalitica: https://desireerenault.it/psicoterapia-corporea-di-wilhelm-reich/

mercoledì 2 aprile 2025

Perché praticare le forme, Taolu / Kata?

 



L’incontro settimanale, ogni Martedì, volge al termine. Propongo di affrontare il lavoro sulla forma di Tai Chi Chuan.

Perché facciamo la forma e a che serve?

mi chiede uno degli allievi?

Mi piace la domanda, mi piace che ciò che propongo sia letto proprio come una proposta e non una imposizione; mi piace che ogni allievo porti i suoi interrogativi, i suoi dubbi, persino le su “resistenze” (1). Solo così il percorso dentro le Arti Marziali è percorso condiviso di cui ognuno è responsabile e solo così diviene pratica di individuazione (2).

Lo so, c’è ancora chi crede, chi sostiene, che praticare gesti a vuoto o in coppia sia di per sé (in virtù di quale magia?) fonte di crescita personale, via di accesso ad uno stato di calma, equilibrio, visione profonda. E perché mai? In virtù di quale formula magica? (3) Tu mi mostri e mi fai copiare un pugno, uno spostamento, come tu, Maestro o Sifu, fai, come la tua arte e il tuo stile impongono, ed io, allievo, divento “migliore” (migliore in che?), “aumento la fiducia in me stesso”, “mi sviluppo mentalmente” (qualsiasi cosa significhi questa affermazione generica ed astratta)? Davvero costoro ci credono?

Ma torniamo a noi, alla domanda postami verso il crepuscolo, qui ai giardini Marcello Candia in Milano, da anni eletti a nostro Dojo.





Mi si affollano immediatamente svariate risposte ed i collegamenti tra di queste che ne fanno una preziosa e robusta rete in grado di accogliere la voglia di praticare di corpo e movimento che anima i praticanti Spirito Ribelle. Mi sfiorano anche le giustificazioni strampalate e impacciate che sento sin dagli inizi (era il1976) del mio percorso marziale a giustificare la pratica delle forme: Mi sfiorano e si allontanano vergognandosi. Raccolgo ed accolgo rapidamente le teorie che furono alla base della creazione dello I Chuan / Yi Quan di cui il Taiki Ken è la versione giapponese e che rifiutano la codificazione in gesti sequenziali fissi, in forme: Ne condivido l’affermazione davvero rivoluzionaria che ribaltava le pratiche abituali, ma mi permetto di ritenere che, se fatte in un certo modo, anche le forme possono abitare quelle teorie.

E perché?

  •          Praticare una forma in gruppo aiuta a formare lo spirito di gruppo, a sentirsi parte di un clan
  •        Praticare una forma in gruppo esalta la funzione del gruppo poiché

Ø  il gruppo è importante fattore di regressione in cui rappresenta la “matrice”, l’altro con cui rapportarsi differenziandosene;

Ø  nel gruppo il “discorso” di un altro mi risuona dentro suscitandomi dimensioni, tematiche e problemi che, pur sperimentando in modo personale, costituiscono induzione gruppale.

Ø  nel gruppo vedo gli altri, ma spesso li guardo per vedere me stesso, ovvero sugli altri metto cose e scene del mio mondo interno per poterle vedere. Data la reciprocità incrociata del processo, queste auto – immagini narcisistiche sono continuamente messe in crisi nel rispecchiamento gruppale.

  •       Nel gruppo la proiezione di emozioni relative a precedenti esperienze assume complessità esponenziale, in relazione alla pluralità dei membri e ai fenomeni di risonanza e rispecchiamento. Praticare una forma in gruppo (senza l’obbligo di imitare ESATTAMENTE un gesto imposto), libera la ricerca personale, fondamentale per la crescita sana dell’individuo, all’interno dei limiti di una traccia data, il che comporta la possibilità / necessità di sfruttare al meglio le personali risorse a nostra disposizione facendo dei limiti una risorsa. (Avete presente la sostanziale differenza tra “tema libero” e scrivere un tema su un argomento?)
  •       Praticare una forma in gruppo mi permette di incontrare sia i rimandi dei singoli componenti il gruppo sia il rimando collettivo, quello che nasce dalla condivisa melodia cinetica del gruppo stesso. (4)





Ovviamente questo mio e nostro modo di intendere e praticare non sono i kata / tao lu / forme del Karate e nemmeno del Tai Chi Chuan dove gli esecutori ricercano gesti perfettamente uguali scanditi con ritmo perfettamente uguale in uno spazio uguale: L’alienazione e l’incomunicabilità al potere!!

La via allo sviluppo personale, Budo, 

passa sempre attraverso l’altro.

Comprendi, ora, l’importanza del praticare una forma in gruppo sì, ma nel modo Spirito Ribelle?

 




1.     1Secondo la prospettiva della Gestalt Therapy, che regge il mio metodo di conduzione di un gruppo in amalgama con una didattica libertaria e maieutica, la “resistenza” non è altro che una risposta immediata e spontanea, sviluppata per proteggere l’autore da esperienze percepite come estranee, suscitatrici di diffidenza quando non minacciose. Queste “resistenze”, per esempio ad una proposta di pratica insolita o ritenuta noiosa, ad una situazione conflittuale intensa di corpo a corpo, in cui l’allievo, appunto, si pone come evitante, oppure recalcitra fino anche ad opporsi o affronta senza impegnarsi, non vanno minimizzate e ancor meno combattute, ma sapientemente utilizzate come risorse. In questo ci viene in aiuto il testo “I 36 stratagemmi. L’arte cinese di vincere”, risalente all’epoca Ming (1368 – 1644) volto ad una filosofia del conflitto in cui il combattente, fluido come acqua, sa adattarsi alle spinte e trazioni dell’opponente servendosene per risultare vittorioso. Io utilizzo “Solcare il mare all’insaputa del cielo” quando sono difronte ad un eccesso di attenzione e preoccupazione tali far sì che l’allievo si fissi e cristallizzi più su questi stati d’animo che sulla pratica stessa; “Intorpidire l’acqua per far venire a galla i pesci” è utile quando la resistenza si manifesta come razionalizzazione estrema, come necessità di controllo assoluto. Insomma, evviva le “resistenze” perché ci dicono molto di chi abbiamo accanto e di come fare per aiutarlo a progredire.

 

2.     L'individuazione è un processo che porta l'uomo a riconoscere la propria singolarità, di significato irripetibile, e a sentirsi soggetto responsabile capace di confrontarsi con la propria esistenza." (F. Giordano). Per "individuazione", si intende quindi un processo continuo al quale ogni individuo è soggetto durante la sua vita e nel quale l’individuo attua il proposito cosciente di diventare ciò che veramente è, differenziandosi dagli altri per tutti gli aspetti che non gli appartengono ma, allo stesso tempo, stabilendo una consapevole ed equilibrata relazione con gli altri e l’ambiente in cui opera.

 

3.     “Il xkxkxk aiuta a controllare sé stessi, a mettere a fuoco le proprie debolezze e a migliorarsi, giorno dopo giorno, mettendosi in gioco, superando i propri limiti e aumentando la fiducia in sé stessi.” (dalla spiegazione tratta direttamente dalla pagina della Federazione CONI). “Il jojojo aiuta anche a svilupparsi mentalmente. Il jojojo consiste nel superare i propri limiti” (dalla pagina esplicativa di un noto club). Al di là della solita affermazione “superare i propri limiti”, che ho già demolito in precedenti post e della cui pericolosità mai mi stancherò di mettere in guardia, come si raggiungono i mirabolanti obiettivi suddetti? Con quale didattica? Con quale pedagogia / andragogia? E’ davvero ripetere mille e mille calci, mille e mille proiezioni al suolo, mille e mille leve articolari, mille e mille fendenti di spada, il modo per raggiungerli? Siamo italiani viventi nel terzo millennio, immersi, che piaccia o meno, nella tecnologia, nella mondializzazione, in società dove si rischia di morire per incidenti automobilistici o malattie letali molto ma molto ma molto di più che per essere stati sfidati a duello o aggrediti da una banda di predoni, esperiamo tipi di lavoro, relazioni affettive, usi e costumi che nulla hanno a che spartire con l’Asia e gli asiatici dei secoli scorsi e ancora crediamo che quei lontani metodi di insegnamento ed apprendimento siano validi? Ma due letture, per restare in Italia, di Danilo Dolci, Enzo Spaltro, Umberto Galimberti, Enzo Borgna, Daniele Novara, no?

 

4.     4Per saperne di più: V. Bellia ‘Danzare le origini’. S.H. Foulkes ‘Psicoterapia gruppoanalitica’.

 



martedì 1 aprile 2025

Il mio pensiero di Aprile 2025





Mi infiacchisco piegato dallo scarno vento che mi trasporta qua e là, del tutto simile ad uno straccio umido, bagnato.

Fatico a riconoscere la mia forza e la mia vitalità, vacilla persino l’umile fierezza che mi faceva fondare su una passione intransigente.

Poi mi rendo conto che, prima o poi, lo scorrere del tempo, l’avanzare degli anni, presenta il conto a tutti, nessuno escluso. Ed il mio, invero, non è nemmeno così “salato” come è toccato ad altri.

Non ho mai amato Alessandro Manzoni. Mi sono sempre chiesto il perché de “I promessi sposi” imposto a scuola: Romanzo probabilmente buono per imparare a maneggiare gli aggettivi, ma completamente abitato dalla Divina Provvidenza per cui ogni disgrazia comunque opera a fin di bene ed il lieto fine sempre trionferà.

Al di là di ogni considerazione politica, che credo mai debba inficiare il valore o meno di un’opera d’arte, oggi mi sento più vicino al Fato verghiano (1) dunque alla realtà cruda della vita e della natura ed ai decreti inesorabili del destino il quale lascia ben poco margine alla libertà umana e alla possibilità di manipolare il futuro. Una visione che ricorda quel filone del pensiero asiatico che si riconosce nell’affermazione di Chuang Tzu, taoista, 369 – 286 a. C.: “Le gambe delle oche sono corte ma se tentiamo di allungarle, l’oca soffrirà

La curva dei miei occhi lambisce il mio cuore, il mio respiro. E’ un girotondo di danza e di gentilezza. Colgo il momento di accogliere ed accettare questa sosta forzata. Ancora dico no con la testa ma è un sì col cuore.

Sì alla cura servita dalla medicina allopatica, sì al riposo totale, sì a quella che sarà una ripresa lenta lenta e, confido, progressiva.

Un pezzo di salute si è allontanato e ora si prende un altro amante, niente di grave ed io resto qui a ricostruire un terreno fertile perché lei torni ad abbracciarmi.

Lo Spirito Ribelle va avanti, sempre e comunque, con il contributo dei partecipanti che continueranno a trovarsi e a formarsi ogni Martedì, in quell’accogliente Dojo all’aperto che sono i giardini Marcello Candia, ed è anche a loro, ai praticanti ed amici che vivono Spirito Ribelle, che devo una buona cura, un buon riposo ed un gran buon rientro, tra un mese o due. Spero.

 

1.         Giovanni Verga (1840 – 1922), scrittore e senatore, approvò le manovre repressive del generale Bava Beccaris durante i moti del 1898, la politica autoritaria e colonialista del presidente del consiglio Francesco Crispi, il nascere del movimento fascista.