domenica 28 settembre 2025

Il mio pensiero di OTTOBRE 2025

E iniziata la stagione Spirito Ribelle 2025 – 2026. Le sensazioni, in questo Dojo all’aperto che sono i giardini Marcello Candia, tra Porta Romana e piazzale Lodi, in Milano. Le voci dell’’Arte Marziale, il corpo che comunica.

Ecco, già ancor prima di muoverti, tu sei già dentro il mondo. Il tuo corpo è qui ed ora, visibile, leggibile. Non puoi non comunicare.

Anche se resti fermo, anche se non parli, il modo in cui sei presente dice qualcosa. Dice chi sei, come stai, cosa porti di te agli altri.

Calpesti l’erba verde come se ogni passo fosse un verso. Lasci che il tuo respiro parli prima ancora del suono delle parole. Lasci che il tuo sguardo sia un ponte, non un muro.

Quando incontri l’altro, quando lo tocchi mente lui tocca te, non puoi nasconderti. Non puoi. Il tuo  te - corpo è già in relazione: Ogni gesto è una domanda, ogni postura una risposta.

Allora sii consapevole, perché la tua aspettazione comunica, la tua tensione comunica, la tua apertura comunica, la tua ritrosia comunica.

Prima di iniziare, ascolta, ascolta attentamente. Ascolta il tuo modo di esserci, di so - stare. Ascolta il modo in cui l’altro ti percepisce. Ascolta il dialogo silenzioso che già accade.

Perché la marzialità non è affatto waza, tecnica. È arte dell’incontro. È poesia incarnata. È la disponibilità ad essere letti, prima ancora di agire.

Perché se il mondo come esperienza appartiene alla parola – base Io – Esso, è la parola – base Io – Tu a creare il mondo della relazione, e quale relazione più sincera di un incontro che ha il sapore dello scontro?

 


venerdì 26 settembre 2025

Nel vociare dei giardini, il corpo si risveglia ed esplora

 

In un angolo di verde cittadino, dove le voci dei bimbi che giocano si incontrano e si sovrappongono tra di loro, dove il rumore delle auto che transitano accanto geme sullo sfondo, alcune figure scivolano tra balzi e strappi.

Non sono giovani aitanti, ma custodi di una saggezza che il tempo scolpisce nei gesti. Indossano maglie grigie e pantaloni color porpora, sorta di moderni monaci a caccia dell’equilibrio.

Stringono in mano una fune viola, non arma, ma ponte, dialogo tra forza e controllo, tra strappo e dolcezza.

Ogni movimento è un dialogo, la fune verbo, la tensione del corpo è frase.

Uno guida e detta i tempi, l’altro accompagna, quando riesce. Entrambi imparano.

Non vi è competizione, solo ascolto. Linguaggio antico, forse vetusto, quello delle Arti Marziali che dice di rispetto, di ‘qui ed ora’, di radicamento nella Terra e allineamento verso il Cielo, di apertura a ciò che accade all’improvviso, senza preavviso alcuno.

Ogni resistenza, ogni inciampo, ogni movimento goffo, non è un ostacolo, ma è lui stesso il Maestro. In quel gesto vive la metafora della formazione: Non opporti tentando di vincere la forza, ma cerca di comprenderla, di danzare con essa.

Queste immagini non testimoniano di un semplice riscaldamento. Sono un invito. Sono un’apertura dentro uno spazio sacro, un Dojo moderno ancorché privo di pareti e soffitto, dove il corpo si risveglia e va a caccia. La lezione, ogni Martedì qui ai giardini Marcello Candia in Milano, sarà ben poco tecnica, ma un viaggio. Un incontro con se stessi attraverso passione botte e sorrisi, e la bellezza di gesti finalmente consapevoli.

“Inizia così la nostra pratica marziale, con il respiro della Terra sotto i piedi e il silenzio del Cielo sopra la testa. Che ogni movimento, ogni gesto, sia poesia, ogni sforzo,ogni tentativo bene o male riuscito, laica preghiera”

(anonimo)

 

 

 

 

domenica 21 settembre 2025

Mani Nude



Mani nude, pellicola del regista Mauro Mancini tratta da un libro di Paola Barbato, si alza come un urlo silenzioso, una danza brutale tra carne nuda e immutabile destino.

Davide, ragazzo ‘bene’, trascinato suo malgrado nel fango dei combattimenti clandestini, non veste keikogi né onora Dojo, ma ogni colpo è un drammatico haiku di sopravvivenza.

Le Arti Marziali qui non ci sono, eppure ci sono. Non c’è kata, non c’è rispetto, ma il corpo comunica, come in ogni disciplina che nasce dal vuoto per domare il caos.

Minuto, l’allenatore, non insegna la Via del guerriero, ma una semplice e raccapricciante via del dolore, dove il tatami è cemento e il saluto è mostrare le mani nude.

Ciononostante, nel dramma della violenza, batte kokoro, il cuore marziale: Il combattimento come specchio dell’anima, il combattimento come rito di passaggio, la sofferenza come maestro silenzioso.

La pellicola non celebra l’Arte, la profana, la distorce, la obbliga a urlare. Ma proprio lì, nel suo tradimento, ci ricorda quanto sia sacra, quanto rantoli nel profondo di ogni umano. Quanto sia importante riconoscerla.

Mani Nude è il lato oscuro del Bushido, dove l’onore è violentato dalle scommesse e il guerriero non anela alla pace interiore e nemmeno alla vittoria, ma ad una impossibile redenzione

Una pellicola che non sprona ad imparare a combattere, ma a sopravvivere con tutte le proprie pur esili forze. Non indica la Via, ma il prezzo pesante di averla smarrita.

Poca, pochissima musica a sostegno delle riprese, chiaro / scuro a regnare sovrano, recitazione essenziale ed asciutta. Bellissimo. Per stomaci forti e curiosi, per ricercatori di sé e dello stare al mondo.

In TV su Paramount plus

 


 

 

mercoledì 17 settembre 2025

Il Corpo in Cerchio: Il Tai Chi Chuan e la traccia del Movimento


Esperienze di verticalità nel cerchio
Il Tai Chi Chuan danza cerchi, cerchi dentro cerchi, come onde che si rincorrono senza mai toccare il bordo.

Dov’è la linea retta? Dov’è l’allineamento? Si nascondono nell’arte sottile di non smarrire il centro, mentre il mondo gira intorno.

Il corpo è un archivio muto: Una mappa di gesti passati e una predizione di movimenti futuri. Ogni postura è un’eco che rimbalza, ogni inclinazione, un presentimento.

Noi Spirito Ribelle pratichiamo Tai Chi Chuan, Pa Kwa / Hakkeshou, Taiki Ken, nei cerchi come in un labirinto di vento, attenti a non perdere l’orientamento, affidandoci all’intuizione.

Ogni gesto non è mai solo presente, è memoria viva, è aspettazione che vibra, è spirale che coniuga ciò che è stato a ciò che sarà.

E così il corpo marziale danza, non per imitare, non per arrivare, ma per rammentare e anticipare il cerchio che verrà.

Perché nel cuore di ogni Arte Marziale autenticamente interpretata, dunque che si muove come una danza dolce e consapevole, si nasconde un paradosso affascinante: “Il Tai Chi è fatto di cerchi, cerchi dentro altri cerchi. Quindi dov'è l'allineamento, la linea retta? Bene, è questa l'arte! Come muoversi attraverso i cerchi senza perdere il senso dell'orientamento e l'obiettivo finale” (così scrive Laurie Anderson nella prefazione a ‘Il mio Tai Chi. L’arte dell’allineamento’ di Lou Reed, che mi permetto di consigliare). Il praticante si immerge in una geometria fluida, dove ogni gesto è una spirale che si apre e si richiude, un moto che non ha inizio né fine, ma che procede verso una direzione apparentemente invisibile, un asse interiore.

Questa danza circolare non è mai casuale. Ogni posizione del corpo, ogni inclinazione del busto o flessione del ginocchio, è l’effetto di ciò che è appena accaduto o di ciò che è lì per accadere. Rudolf Laban, coreografo e teorico del movimento, lo esprime così: “La posizione del corpo è sempre il risultato di movimenti precedenti o l'anticipazione di movimenti futuri, che lasciano la loro impronta nel portamento corporeo o la fanno presagire.” (R. Laban ‘L’arte del movimento’).

Alternanza di spinta e trazione nella densità di corpo in movimento


Il corpo, dunque, è un immane libro vivente, una memoria in movimento in grado di scrivere sempre nuove pagine.

Questa memoria si manifesta nei cerchi. Ogni gesto è un’eco del precedente e un’anticipazione del susseguente. Il praticante non si muove mai da un punto ad un altro in linea retta, ma propone gesti e percorre traiettorie che aggomitolano lo spazio, come se il tempo stesso fosse materia fluida da attraversare. Eppure, in questa apparente assenza di linearità, si nasconde una profonda coerenza: L’allineamento non è geometrico, ma intuitivo. È la capacità di mantenere la rotta interiore mentre il corpo disegna arabeschi nello spazio.

Se Laban, e la sua pratica lo testimonia, ci invita a interpretare il corpo come una scrittura: Ogni gesto lascia una traccia, ogni postura è una parola che narra il passato e anticipa il futuro, Laurie Anderson e Lou Reed ci mostrano come, nelle Arti Marziali Neijia / Naido, questa scrittura si fa cerchio e il cerchio esprime l’intuizione. Il corpo non è mai fermo e statico, ma, anche nelle posture apparentemente ‘immobili’, sempre in transizione, in equilibrio tra ciò che è stato e ciò che sarà.

In questa prospettiva, le Arti Neijia / Naido non sono semplicemente un’arte di combattimento né una pratica salutistica, quanto una filosofia del movimento, filosofia incarnata. È l’arte di vivere l’inevitabile scorrere del tempo attraverso lo spazio, di muoversi nei cerchi senza perdere il centro. È la relazione incessante tra memoria e anticipazione, tra forma e flusso, tra la linea invisibile che guida e il cerchio che avvolge.

 

Tigre: "Silenzio tetro. Nell'aria, il balzo fende l'ombra della preda"


venerdì 12 settembre 2025

Più lento, più profondo, più dolce: la Via marziale verso la conoscenza di sé

 


Tanren 1 Serpente Curioso, la diversità tra onda Chen e Yang
In un mondo che sempre più corre, che accelera, che consuma esperienze come fossero trofei da bacheca, la pratica delle Arti Marziali ci invita a rallentare. Non per sottrarci alla vita, ma per penetrarla, viverla con maggiore intensità. Viversi intensamente e intensamente abitare l’ambiente in cui stiamo necessita della pazienza di attraversarli lentamente: Le Arti Marziali, nella loro forma più autentica, di Bujutsu che si fa Budo, sono un percorso da compiere a piccoli passi, con respiro profondo e profondo guardare.

“In quanto società dell’azione, la società della prestazione si evolve lentamente

in una società del doping”

(Byun Chul Han. ‘La società della stanchezza’)

Il tempo del corpo integrato

Ogni gesto marziale, dal semplice saluto alla più complessa combinazione di spostamenti, calci e pugni, è un invito a sincronizzarsi con il tempo interiore. Non si tratta di eseguire, ma di abitare il movimento. Quando il corpo rallenta, la parte mente si apre a nuove ed inaspettate scoperte. Quando il ritmo si fa più dilatato, l’ascolto si fa più profondo. In questa lentezza consapevole, il marzialista scopre che la forza non è nella rapidità, ma nella presenza, nell’essere con tutto se stesso nel “qui ed ora”.

“È alla pacatezza che ambisco, quello della vela sopra un mare che la asseconda”

(Litfiba. ‘Vivere il mio tempo’ https://youtu.be/bQTmk_o7rk4?list=RDbQTmk_o7rk4)

Lentezza come Via alla profondità

Nelle pratiche di Arti Neijia Kung Ku / Naido, è la lentezza il principio fondante. Ogni gesto si dilata, si esplora, si materializza nel vuoto. Ogni gesto è un fluire. La padronanza della rapidità nasce proprio dalla comprensione originata nella lentezza laddove l’insegnamento principale è il sentire quando e come. Percepire sé e con sé l’altro; abitare consapevolmente lo spazio condiviso; cogliere yomi e yoshi (1) e farlo nel momento giusto, quello del silenzio che permette l’ascolto.


Movimenti liberi a sperimentare onda Chen e onda Yang

“Tutto ciò che è squisito matura lentamente”

(Schopenhauer ‘ Parerga e paralipomena’)

La dolceza che è forza

Più lento, più profondo, più dolce” non è una rinuncia alla forza, ma una sua trasfigurazione. Nelle Arti Marziali, la dolcezza è la capacità di fluire, di adattarsi, di trasformare la rigidità in apertura. È la forza che non rompe, ma piega. Che non domina, ma guida. È il principio dell’acqua che scava la roccia con pazienza. E’ l’acqua che, con la formazione costante e la passione mai sopita, un giorno, forse, diverrà vapore: Intoccabile, invisibile.


Con la dolcezza sei invincibile, tieni al guinzaglio anche il vento”

(attribuita ad A. Aschiarolo)



Movimenti liberi a sperimentare onda Chen e Yang



Attraversare sé stessi

Praticare un’Arte Marziale significa attraversare sé stessi. Significa incontrare la propria Ombra (2): Paure, pulsioni … istinti. E farlo lentamente, con rispetto, senza la pretesa di cancellarli o dominarli. Perché solo nella lentezza si può davvero sentire e solo sentendo si può davvero comprendere, accettare, trasformare. La conoscenza di sé non è un dato, ma un percorso. E l’ambiente, che è il Dojo, quattro mura e un tetto come pure uno spazio aperto, che è il compagno di pratica, diventa specchio e terreno di questa esplorazione.


"L'obiettivo non è solo quello di distruggere l'avversario, ma prima di ogni cosa

di vincere la propria ansia, la collera, la follia che è insita in ognuno di noi".

(Bruce Lee)

Le Arti Marziali non sono solo tecniche di difesa ed offesa per non soccombere (Bujutsu). Sono una Via (Budo) e come ogni autentica Via, richiedono pazienza, tempo, ascolto, passione e profondità. Richiedono la saggezza di chi non ha fretta di arrivare, ma desidera davvero essere.

 

PS) Ecco perché il Maestro Sugino Yoshio, alle soglie degli ottant’anni, non aveva problemi a dominare, bokken in pugno, colpi e fendenti di allievi, alcuni Maestri a loro volta, ben più giovani di lui; il Maestro Tokitsu Kenji, pur appesantito dagli infortuni e ormai vicino agli ottanta, piega la resistenza che gli oppongono aitanti giovanotti grossi come armadi; il Maestro Xia Chaozen lo trovo ben più solido e micidiale ora che si approssima ai sessant’anni di dieci anni or sono.

 

1. Succintamente, chiamiamo Yomi percepire la volontà dell'avversario, Yoshi cadenza e ritmo.

2. Gli aspetti della natura pulsionale dell’individuo che, per incompatibilità con la forma di vita scelta coscientemente e le regole sociali, non vengono vissute e si uniscono a formare nell’inconscio una personalità parziale relativamente autonoma.

 

 

Han, onda a sradicare

martedì 9 settembre 2025

Il mio pensiero di Settembre 2025

 

Milano, se ben ricordo correva l’anno 1980. Dopo alcuni di mesi di pratica nella palestra dell’Umanitaria, ci ritroviamo alla ‘Antica pizzeria fiorentina’: Lì poniamo le basi per la nascita di un’associazione vera e propria, che chiameremo ZNKR.

 

E' così che inizia a prendere forma l’avventura. Un minuscolo nucleo di giovani e meno giovani uniti dall’amore per la pratica marziale (allora era il Karate), l'antico sapere samurai e la sua diffusione. Ventenni e trentenni che collaborano tra di loro per studiare e divulgare il bagaglio culturale nipponico, per promuoverne la conoscenza. Negli anni, il piccolo gruppo vedrà i componenti originari andarsene ed essere sostituiti da nuovi adepti, vedrà ampliarsi la pratica marziale e con essa il sapere teorico, irradiandosi verso l’enorme Cina con le Arti Marziali autoctone ed il pensiero taoista, l’arcipelago delle filippine con i diversi stili di Kali, toccando anche l’americanizzazione e sportivizzazione marziale che sarebbe diventata Kick Boxing, senza mai mancare l’opera divulgativa filosofica. Inevitabilmente, da buoni italiani del XX secolo, piano piano questo corposo sapere pratico e teorico, verrà integrato da moderne discipline e teorie del movimento che lambiscono il mondo marziale quando non ne sono totalmente lontane.

 

In quegli anni nascono il periodico SHIRO, le VHS divulgative del nostro modo di praticare, le dispense tecniche, gli spettacoli di Teatro Marziale, le conferenze pubbliche sui vari temi del marziale e del movimento, le lezioni aperte, la partecipazione a feste popolari ed i corsi dentro e fuori dal Dojo rivolti sia a normodotati che a diversamente abili o minoranze etniche, spesso sotto l’egida di istituzioni pubbliche o private. 

 

Sarà sempre un esercizio dell’opinione e del pensiero che dalla pratica marziale e corporea in generale investirà non solo il terreno filosofico, ma anche ambiti psicologici, androgici /pedagogici, motivazionali e di crescita individuale, fino a riflettere sui problemi dell’attualità, sulla collettività e sulla formazione / educazione, avanzare proposte di soluzioni, ma anche solo fare delle domande ed alimentare l’arte del dubbio nelle menti di lettori e spettatori. Sarà l’attuazione e la pratica del pensiero critico e della messa in discussione di ogni atteggiamento fideistico, al fine di stimolare un pensiero autonomo e mai banale anche negli altri, accrescere una passione per la pratica marziale che mai sia disgiunta da una attenta riflessione su di essa. Diffondere un metodo androgico /pedagogico per un individuo che, per me, per noi ora Spirito Ribelle, non smetta mai di formarsi, di crescere e di migliorare se stesso e, con sé, la collettività in cui vive.

 

Per tutto quanto sopra, anche nella stagione 2025 – 2026, destino permettendo, sarà mia premura, con il praticare di corpo, continuare a studiare e scrivere di corpo, movimento, conflitto, integrando tra di loro anche tutte quelle manifestazioni artistiche, umane, comunque riconducibili alla conoscenza ed allo sviluppo individuale e collettivo.

 

A chi mi vorrà leggere auguro il piacere di una lettura che sia stimolante e, magari, dopo anni di silenzio cimiteriale, foriera di personali riflessioni da esporre e condividere sul mio blog.

 

Intanto, aspetto consigli e suggerimenti per argomenti da affrontare.

 

 

 

sabato 6 settembre 2025

Nel ritmo del gesto, il senso dell’essere: La danza silenziosa tra corpo, tempo e spazio

“Tutto quello che affermiamo del mondo è imprescindibilmente legato, determinato, dal nostro essere spazialmente, percettivamente, corpo”

(A.G.A. Naccari ‘Persona e movimento. Per una pedagogia dell’incarnazione’)


Eco soffocato di un rumore lieve, la frattura sorda dei rami e l’erba schiacciata dai piedi. Il cuore batte nel petto, respiro lieve, i pantaloni sfiorano cespugli vigili a sorvegliare il giardino.

Mani danzano nell’aria, ghirigori e spirali, cerchi di braccia e di piedi. Antico sapere taoista si esprime Tai Chi Chuan e Pa Kwa.

Ho il mio respiro tra le mani e in qualche modo sento di avere tutto me stesso raccolto lì dentro.

Da tempo ho scoperto che ci sono momenti in cui ci si sente del tutto estranei al nostro corpo e da ciò che ci parla attorno; non solo estranei a noi stessi, ma pure a chi e cosa, con la sua presenza, si fa unico testimone del nostro esserci. Esserci davvero.

Ma se prestiamo attenzione al nostro respirare e a come esso si coniughi ai gesti, lenti o rapidi, nello spazio, l’estraneità scema. Denti a contatto lieve tra di loro, un minuscolo sorriso a increspare il volto, schiena bene dritta percorsa da fremiti ed onde: L’aria viene risucchiata ed esce come riscaldata, vitalizzata da noi e dal nostro esserci e muoverci in quel momento, dal nostro corpo calato nel rimo dei gesti. L’aria, che è energia, si fa linguaggio tra noi e l’ambiente.

Sono le mani che incantano e uccidono di Neri e Yuri, sono gli evitamenti repentini di un corpo che scarta e rientra tra angoli di 45° e cerchi sempre più piccoli, sempre più infidi.

 

“Avere ginocchia flessibili è molto importante, ciò indica, infatti, simbolicamente, l’opportunità di non irrigidirsi di fronte alle avversità”

(E.E. De Miranda. ‘Il corpo territorio del sacro.)



Sono quello che sono, sono fatto così: nelle ginocchia che scricchiolano e sibilano ad ogni movimento in cui il bacino tenta una timida seduzione del terreno accostandosi più del dovuto, più dell’ordinario.

Ma inneggio alla fortuna ad ogni movimento, piccolo o grande che sia, perché non sono costretto a stare fermo, perché, giorno dopo giorno, Chi Kung / Kiko e pratiche motorie generaliste mi aprono di corpo, mi permettono ampiezze e traiettorie impensabili prima, impensabili nonostante l’avanzare inesorabile del tempo, l’accumularsi degli anni.

Le parole del Maestro sono sempre presenti nelle mie orecchie là dove l’obiettivo è sì l’acqua e la sua duttilità, la sua adattabilità tanto quanto il suo enorme potere travolgente. Ma poi l’acqua andrà a sparire, divenendo vapore: L’obiettivo ultimo, supremo.

 

“La chiave del Tai Chi è proteggere il chi nel corpo”

(L. Reed. ‘ Il mio Tai Chi. L’arte dell’allineamento’)

 

Il corpo in avanti provo a flettere, oppure indietro, a sinistra e a destra; poi alzo le braccia sopra il capo e con esse le mani, le metto ovunque, curiose predatrici di spazio ancora sconosciuto.

Peng Lu Ji Han, azione espansiva e di protezione, ritirata e squilibrio, pressione travolgente e infine scardinare la resistenza sottraendole la certezza dell’appoggio sul terreno.

Con il me - corpo mi posso spostare nello spazio attorno, creare movimenti a piacere e un intero mondo andare a scoprire.

Respiro e sento un rumore perché dentro c’è il cuore che batte, basculo il bacino e faccio la mia mossa e dentro sento le ossa, i femori che scartano.

Fascino suadente del praticare Arti Marziali, del praticare consapevole di corpo.

Come si può mai meravigliosamente tremare dentro di incertezza e passione se non si percorre il fascino di sé – corpo in movimento? Negli anni di pratica il fascino cresce, a volte appassisce ma poi sempre ritorna grande e nel viaggio tutto si sublima, si espande fuori e dentro. Ci si trova a guardarsi attoniti e sereni mentre si cammina, lenti o spediti, dentro un viaggio senza meta.

 

“Non è importante aggiungere anni alla vita ma vita agli anni”

(R. Levi Montalcini)

 

 


 

 

 

lunedì 1 settembre 2025

Disuguaglianze patenti e latenti: la Triennale Milano 2025 riflette sul presente

 La 24ª Esposizione Internazionale della Triennale di Milano, intitolata

Inequalities,



si propone come una delle più potenti narrazioni visive e performative di questi anni. Aperta fino al 9 novembre 2025, la mostra affronta il tema delle diseguaglianze in modo transdisciplinare, trasversale e con anche un occhio di riguardo alla dimensione corpo e movimento come linguaggio universale di espressione e trasformazione antagonista, persino alternativa.

Monica, che mi ha suggerito l’evento, ed io approfittiamo del mese di Agosto, proposto gratuitamente, per una visita. La mostra è davvero tanto enorme nelle sue diverse facce che non riusciamo a vederne che una piccola parte, così, anche spinto dal fascino e dai potenti stimoli che mi ha procurato, torno a completarne la visita con mio figlio Lupo.

Colpiscono subito e per tutto il tempo della visita le disuguaglianze patenti e latenti che abitano il mondo contemporaneo, cogliendo aspetti della realtà che ci sfuggono o che, a volte egoisticamente, preferiamo non approfondire. Il percorso è denso, densissimo, e l’abbondanza di materiali in mostra (tra testi, video, infografiche, diagrammi ecc.) richiede il giusto tempo di assimilazione e riflessione.


Sono profondamente scosso dallo scoprire quante menti, quante intelligenze, in tutto il mondo, stiano da anni studiando e lavorando per cercare e testare modi e soluzioni di vita capaci di invertire la rotta che vede aumentare drasticamente la disuguaglianza tra benessere e malessere, tra i pochi privilegiati e la massa di poveri che va ingrossandosi sempre più. I mezzi di comunicazione di massa non ne parlano né scrivono mai, li silenziano nascondendoli. Sono voci e pratiche minoritarie, isolate, eppure così temute da costringerle sempre e ovunque sullo sfondo? Da sminuirle etichettandole come utopie irrealizzabili?

Fanno così paura?

Ogni padiglione, tolti probabilmente gli ultimi due, offre motivi di autentica sorpresa nella capacità di mostrare e spiegare il cuore del conflitto e della disuguaglianza lì presentata quanto le soluzioni già in atto o possibili. Sono autenticamente sorpreso e contento che, da qualche parte in ogni angolo del mondo, Cina o Italia, Giappone o Polonia ecc. ci sia qualche anima ribelle che si impegna, spende tempo ed energia e denaro per contrastare lo sfacelo disumanizzante cui stiamo correndo incontro.

Non riesco a scegliere chi qui evidenziare perché significa scartare intelligenze e prestazioni comunque straordinarie, ci provo già lamentandomi per chi escludo.

  • Al piano superiore la mostra We the Bacteria illustra su tavoli e installazioni ben congegnate la tesi dell’«architettura biotica»: Non è più pensabile un’architettura a «supporto ortopedico» dell’uomo fragile continuamente protetto da malattie, paure e disturbi, mentre va inteso come un ecosistema mobile in cui i tanto temuti microbi e batteri divengano nostri alleati già nella costruzione delle case. E già lo sono in diversi, per me incredibili, casi nell’agricoltura, nella difesa del territorio, nella medicina stessa. Un modo straordinario di proporre l’architettura!!
  • La Norman Foster Foundation (NFF) mostra progetti per la trasformazione di un insediamento informale in India, la rigenerazione di una città distrutta dalla guerra in Ucraina, un’alternativa alle tende nell’accoglienza dei rifugiati, soluzioni abitative sostenibili economiche e di alta qualità, idee per produrre energia pulita, moduli edilizi industrializzati.
  • Un’installazione di Federica Fragapane pone in evidenza la consapevolezza che dati e numeri, così come le visualizzazioni stesse, non sono entità neutre, oggettive, ma il frutto di ricerche e azioni umane. I temi trattati non sono visti come immagini bidimensionali, ma come una moltitudine di angoli, più o meno latenti. Il progetto ne mostra alcuni, rendendoli visibili. Le forme tracciate raccontano le asimmetrie, le distanze e le differenze di scala rivelate dai dati.
  • La Repubblica della longevità ci porta dentro Cinque Ministeri – dello Scopo, dell’Uguaglianza del Sonno, della Democrazia Alimentare, della Libertà Fisica e dello Stare Insieme – che mostrano come comportamenti quotidiani, oggetto di disuguaglianze, possano diventare strumenti per democratizzare la salute e colmare le disparità sanitarie. E’ una dimostrazione scientifica ed artistica insieme che è possibile cambiare per vivere tutti meglio.



Certo, da vecchio uomo di sinistra, non posso non nutrire qualche dubbio sui fondamenti epistemologici di alcune di queste soluzioni, su quanto esse non siano semplicemente la faccia bonaria e paciosa di uno sfruttamento solo più edulcorato, meno aggressivo; se davvero nascerà un movimento collettivo, antagonista o sarà tema dei soliti pochi privilegiati, poiché salute e disuguaglianze sono questioni tanto interconnesse quanto strutturalmente legate a quella di ‘classe’, parola (e lotta) ormai dimenticata dalle forze cosiddette di sinistra.

Non potevano mancare, qui e là, riferimenti al corpo e al movimento intesi come vulnerabilità e potenza, protagonisti in alcune delle installazioni fisse e, a venire, in alcuni interventi.

La mostra non si limita a rappresentare il corpo, lo interroga come spazio biopolitico. Le diseguaglianze si mostrano nei corpi che abitano le città, nei gesti quotidiani, nelle possibilità di movimento e accesso. Come scrive Stefano Boeri, presidente della Triennale, “parleremo di città e spazi, ma anche di corpi e vite… di come le diseguaglianze agiscano sulle aspettative di salute e speranza di vita”.




Inequalities riesce a trasformare il corpo da semplice oggetto estetico a soggetto critico. Il movimento, in tutte le sue forme — danza, performance, cammino, gesto — diventa strumento per denunciare, ricordare, immaginare. In un mondo dove le diseguaglianze si fanno sempre più strutturali, la Triennale ci invita a osservare i corpi non solo come veicoli di bellezza, ma come archivi viventi di esperienze, traumi e speranze.

Mostra straordinaria, mi permetto di leggerla come occasione imprescindibile per chiunque voglia vivere e non sopravvivere, voglia essere consapevole di chi è e cosa sta facendo in questo mondo, necessiti di sapere che non è solo nella sua lotta per una vita collettiva migliore.

 

 


 

 

martedì 26 agosto 2025

2025 Agosto a Bassano del Grappa

 Mercoledì 13

REP, Pedagogia Libertaria e Arti Marziali:

Un percorso di individuazione

 

Pratico, giorni di rilassamento nell’accogliente Bassano del Grappa.




Pratico, spesso nel cortile di casa, il cortile perché l’aggeggio medicale che mi accompagna ormai da mesi mi impedisce di inforcare la bicicletta e raggiungere le rive del fiume Brenta. A volte, a piedi, vado sul vicino monte Crocetta: Da lì, verde, arbusti ed alberi tutt’intorno, posso vedere sotto di me la piana su cui si stende Bassano; sopra, il cielo azzurro è solcato dal volo di alcuni rapaci, sono le poiane, da anni tornate a dominare incontrastate. Umani raramente ne incrocio perché il ritrovo per alcool, chiacchiere e sfoggio di corpi abbronzati e vestiti ‘firmati’ sta parecchie centinaia di metri più lontano.

Pratico Chi Kung / Kiko, forma di Tai Chi Chuan, Peng Lu Ji Han, il passo ed i primi animali del Pa Kwa / Hakkeshou, Neri e Yuri del Taiki Ken, alcune ‘figure’ e giochi di mano del Te di Okinawa e del Kali filippino. Non manca lo spazio per una ricca passata di shadow boxing.

Pratico e ripenso al lungo percorso di formazione marziale e, più in generale, di formazione corporea tra Feldenkrais, Tragger, Danza Sensibile, Expression Primitive, Danzaterapia e più recentemente Body Mind Centering, Movimento Generalista e Laban Movement Analysis.


Pratico e ripenso al lungo percorso di sperimentazione, tentavi poi abortiti, ricerche, per costruire una andragogia / pedagogia, una didattica, capace di integrare tutte queste esperienze per offrirle in modo efficace ed efficiente ai miei allievi. Uomini e donne italiani del XX e XXI secolo, dunque del tutto estranei e ben difficilmente permeabili ad una pratica e cultura che vengono da mondi antichi, diversi, da abitudini a noi estranee, da un tessuto sociale e da comunità che nulla, proprio nulla, hanno a che vedere con il nostro quotidiano come con i nostri valori.

 

“Nessun modello, a mio parere, ha validità descrittiva generale e metacontestuale. Ogni modello è culturalmente determinato: ha senso all’interno delle condizioni (antropologiche, culturali, sociologiche, ecc.) in cui è nato, in riferimento ai bisogni ed alle aspettative della comunità scientifica che lo ha formulato”. (V. Bellia)

Pratico e oggi, pausa assolata, le montagne alle spalle ed il cielo che si stende uniforme su case e strade, mi ritrovo ad annotare alcune riflessioni, a tentare una minima costruzione teorica da offrire a chi mi legge e, magari, sarà incuriosito di conoscere questo mio modo di condividere il sapere, di accompagnare i praticanti assolutamente antagonista, anzi, alternativo a quanto si fa in tutti gli altri Dojo, Kwoon, palestre: Dallo ZNKR allo Spirito Ribelle, uguali a nessuno.

Ne ho già scritto più volte, a partire proprio dall’esperienza concreta, oggi provo a formulare un breve schema teorico: Chissà se qualcuno avrà da dialogare sul tema!!!

Una prima area su cui poggiarmi é la Ricerca Eco Psico – Sociale: Promuovere conoscenze psicopedagogiche rivolte a chiunque interagisca con “cervelli umani”, al fine di corrompere il meno possibile le relazioni e gli ecosistemi che abitiamo. Dalla ricerca più che cinquantennale (il nome più noto é quello di Pierluigi Lando, neuropsichiatra) spicca che ciò che avversa l’emergere in figura del progetto-persona è un’educazione / istruzione basata sui principi di una andragogia / pedagogia condita di premi e punizioni, imposizioni, subordinazione passiva all’autorità, modelli da imitare pedissequamente, annullamento di ogni individualità per conformarla allo standard dominante.

 

“Per esempio, la maggior parte delle pratiche didattiche si fonda sull’assunto che lo studente è fondamentalmente un ricevitore, che l’oggetto (“la materia”) da cui si origina lo stimolo è importantissimo, e che lo studente non ha altra scelta se non vedere e capire lo stimolo così come esso “è”. Adesso noi sappiamo che tale assunto è falso”. (N. Postman)

Quanto sopra, non solo non aiuta un autentico apprendimento globale, olistico, dell’individuo a partire dalla pratica dell’arte intrapresa, ma, ampliando l’orizzonte, può condurlo sulla via della supina accettazione dell’esistente come dato di fatto incontrovertibile ed assolutamente certo deresponsabilizzandolo in tutte le sue scelte e privandolo della consapevolezza delle conseguenze. Nei casi più fragili crea le condizioni per un malessere interno le cui manifestazioni esterne saranno atteggiamenti depressivi o, al contrario, eccessi di hỳbris, ovvero insolenza, tracotanza.


Chiunque si occupi, a titolo qualificato, di formazione, conosce i pericoli di una cattiva gestione dell’amigdala, la struttura cerebrale deputata all’innesco delle reazioni di attacco o fuga. La loro repressione ne provoca l’ammasso disordinato e potenzialmente patogeno

Nel conflitto tra istinto e principi morali, tra ego e mondo esterno, l'organismo è costretto a «corazzarsi» tanto contro l'istinto quanto contro il mondo circostante; è una rigida corazza che si risolve inevitabilmente in una limitazione delle facoltà vitali e di cui soffre la maggioranza degli uomini: è come se tra loro e la vita si innalzasse un muro. È in questa corazza che risiede la ragione chiave della solitudine di tanti uomini in seno alla collettività” (W. Reich, medico, psichiatra e psicoanalista)

La Pedagogia Libertaria, secondo tassello del mio impianto teorico, scartando l’autorità costrittiva in cui imperano un Maestro / Sifu unico detentore del sapere ed una materia di studio immutabile e sclerotizzata nei suoi dogmi, accompagna invece ad un apprendimento costruito sull’autonomia, la curiosità e la responsabilità personale. In questo contesto, le Arti Marziali non si pongono come un sistema gerarchico di premi e punizioni /promozioni e bocciature, ma un’arena dove il praticante impara e cresce secondo il proprio ritmo, esplora il proprio stile e costruisce il proprio sapere corporeo.

 

“Quando hai imparato qualcosa, lo devi modificare progressivamente fino a farlo diventare a modo tuo.  Chi segue a occhi chiusi è morto. Solo i ribelli possono raggiungere qualcosa” (Maestro Liang Dongcai, meglio conosciuto come T.T. Liang)

“E poi un maestro mi ha detto, come Lou, che il Chi è energia. E ha detto: ‘La forma? Puoi fare quello che ti pare!’” (Yongey Mingyur Rinpoche, maestro di buddismo tibetano e insegnante di meditazione)


Nei decenni, ho costruito, a partire dalla mia pratica individuale e da quella come Sensei, come facilitatore di gruppi, un clan, lo Spirito Ribelle, dove non ci sono cinture da conquistare e tecniche da memorizzare, ma esperienze da vivere. Dove io sono quello ‘nato prima’ (Sensei), non un giudice, e come tale esempio vivente per chiunque, purché sinceramente appassionato, che il ‘bosco’ (1) può essere attraversato, che ognuno può conoscersi, crescere e migliorarsi davvero non solo a parole o slogan, non solo e non certamente perché pratica Kenpo, Karate, Judo, Aikido, Tai Chi Chuan ecc. non solo e non certamente perché ripete forme (kata o taolu), gesti, tecniche (waza) memorizzati a dovere.

In questo ambiente Spirito Ribelle, le Arti Marziali sono una forma di educazione libertaria: “Il corpo è il libro, il movimento è la lingua e la libertà è il metodo”. (anonimo).

  • La pratica, da solo, in coppia e in gruppo, è ascolto di sè e della relazione con ciò che vive fuori di sè.
  • La Ricerca Eco Psico – Sociale e la Pedagogia Libertaria fondano tanto autonomia, quanto cooperazione.

Solo così le Arti Marziali possono essere una filosofia di vita, un autentico percorso che dal Bujutsu, la pratica del confliggere per non essere soppressi, sfocia nel Budo, la Via della consapevolezza; possono essere autentico cammino di individuazione e crescita umana (2).

Ben oltre la tecnica, questa è una pratica di emancipazione personale.

 

 

 1La foresta, spesso identificata con il bosco, costituisce lo scenario ideale per l ‘ esperienza iniziatica e la strettamente connessa rappresentazione fiabesca: è un luogo simbolico fortemente seducente e primigeno, contrapposto alla nostra terra edificata, coltivata e controllata, uno spazio in cui le nostre regole, subalterne a quelle ‘‘caotiche della natura spontanea, perdono improvvisamente ogni valore” (https://psicologiaeconsapevolezza.blogspot.com/2015/06/simbolismo-della-foresta.html)

 

2. “La cornice concettuale che abbiamo delineato mira a comprendere il movimento corporeo come un dialogo dell’io. La nostra indagine ha avuto inizio con la premessa fondamentale che l’io sia un soggetto incarnato, un dialogo e una pratica. Questa premessa è stata assunta grazie alla ricerca effettuata nei primi due capitoli, che hanno come fulcro Schütz (Vienna, 1899 – New York, 1959 è stato un filosofo e sociologo austriaco) e in particolare la sua fenomenologia del mondo sociale, che, attraverso la sua prospettiva dinamica e relazionale, posiziona l’individuo all’interno del mondo della vita quotidiana e stabilisce connessioni con gli altri e con il mondo circostante. Ne abbiamo evidenziato un correlato prima con la fenomenologia dell’alterità di Husserl (1859-1938) e, nello specifico, con la sua concezione di corpo vissuto e poi con la concezione pragmatica dell’io di Larmore (1950, filosofo statunitense); concludendo con un collegamento all’io dinamico di Arendt (1906-1975  politologa, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense in seguito al ritiro della cittadinanza tedesca nel 1937), la cui caratteristica è la pluralità, un soggetto che realizza la sua struttura relazionale nell’azione, la quale si attua nello spazio pubblico” (https://la-filosofia.it/il-movimento-corporeo-come-dialogo/)







 

Lunedì 18

Esibizionisti in vetrina:

Il fitness come pratica narcisista

 

Li vedo, mi vengono incontro mostrando come un trofeo quello che io chiamo il “petto da tacchino”, pettorali gonfi a dismisura; li vedo, seduti al tavolino accanto, “manzi” dal torace voluminoso come una botte, avambraccio perennemente flesso a espandere il bicipite; le vedo, vita sottile e spalle allargate dall’ipertrofia dei deltoidi laterali che donano loro un busto androgino, addominali scolpiti nella tanto agognata tartaruga. Corpi da esibire.

Corpi tatuati, ovviamente. Potrei azzardare l’età, dato che i tatuaggi esposti corrispondono pedissequamente alle mode succedutisi negli anni: I cinquantenni non mancano del tribale sul polpaccio, poi, a scendere, arrivano gli anni della frase scritta con ideogrammi asiatici (e buon per loro se la scritta è solo un’accozzaglia di segni e non un qualche insulto!), le strisce nere sul braccio o, di nuovo, sul polpaccio. Ora va di moda il corpo a “banco di scuola media”: Una confusa distesa di singole parole e figure disegnate con tratto infantile che coprono in toto la “tela corpo”. Ah, non mancano i più elaborati e complessi colorati disegni di stampo giapponese, tra immancabili carpe e geishe, o l'intricato diffondersi di segni e forme che ricordano stralci di differenti esempi di “carta varese” mescolate tra di loro da qualche mano ubriaca. Non vanno mai fuori moda le frasi motivazionali in stile “baci Perugina” o i brandelli di poesia del tutto estrapolati dal contesto.

E’ palpabile, è immediatamente visibile: Nel laboratorio sociale del terzo millennio, il corpo umano non è più “tempio”, ma showroom. E il personal trainer? Un moderno e spesso improvvisato Prometeo con licenza "social forum”. Benvenuti nell’era della sindrome di Frankenstein, dove il corpo non si allena: Si assembla.

 

La sindrome di Frankenstein:

Anatomia di un delirio estetico


Chi mi conosce sa della mia scarsa dimestichezza con la narrativa, essendo io un divoratore di saggi. Eppure quanto scritto sopra mi riporta drasticamente alla storia del misero Frankenstein: Victor Frankenstein, giovane scienziato ginevrino, che, spinto dall’ardore della ricerca scientifica, scopre il modo di creare la vita. Costruisce una creatura umana con pezzi di cadaveri, questa però è portatrice di violenza e mostruosità.  

La sindrome di Frankenstein, letta ai giorni nostri, non è (ancora?) una patologia clinica (1), ma una condizione culturale: L’ossessione per la costruzione del corpo perfetto, pezzo dopo pezzo, come se fosse un puzzle muscolare; materia inerte, assemblabile e disarticolabile a piacere. Bicipiti da esposizione, glutei da tutorial, zigomi da filtro. Il soggetto non si riconosce più nel proprio corpo, ma lo vive come un progetto da migliorare, correggere, scolpire. Un corpo Korper iper investito sul piano frivolmente estetico, che si espone in vetrina; un bene di consumo, di reificazione e falsificazione assoggettato principalmente (ed inconsapevolmente) ai dettami della moda e della pubblicità (2).

Il corpo diventa un Frankenstein del terzo millennio: Non cucito con cadaveri, ma dettato dalla moda e con sogni altrui e algoritmi di gradimento.

 

Fitness:

La nuova religione del narcisismo



Il fitness ormai non è più pratica di salute (anche se, come ho già spiegato più volte, dubito possa essere salutare l’esercizio fisico che viene proposto nelle varie catene di palestre), ma prestazione visiva. Non si corre per stare bene, si corre nella speranza di postare di sé immagini di un fisico magro ed asciutto. Si sollevano pesi per mostrarsi grossi ed essere notati. Il tapis roulant è diventato una passerella, lo specchio della palestra un confessionale narcisista. Il sudore? Solo se è fotogenico e testimonia della nostra verace passione per l’attività fisica.

Allenarsi è ormai un atto performativo, una coreografia di vanità. Il corpo non si plasma tanto e solo per vivere meglio, ma per apparire meglio. Il muscolo non è funzionale (3), è ornamentale, che se non si potesse mostrarlo, tanto varrebbe non averlo!!

 

Vetrinizzazione:

Il corpo come feed

 

La vetrinizzazione è il processo per cui ogni gesto, ogni posa, ogni smorfia diventa contenuto. Il corpo è esposto, condiviso, giudicato. Non si vive più il corpo, non si vive più corpo Leib ma corpo Korper: Lo si espone. Il selfie post allenamento è il nuovo certificato di esistenza. Se non hai postato il tuo plank, hai davvero fatto plank?

La palestra è il nuovo palcoscenico di un ego turbato, dove si recita il ruolo del “fitness influencer” anche se si è solo il protagonista di una grottesca narrazione in leggings compressivi. Il corpo non è più mezzo, ma fine. E il fine è sempre lo stesso: visibilità ed approvazione social.

 

Epilogo:

Il corpo come algoritmo

 

In questo scenario, il corpo non è più biologico, ma digitale. È un algoritmo da ottimizzare, una bio-macchina da rendere virale. La sindrome di Frankenstein e la vetrinizzazione del fitness sono due facce della stessa medaglia che è il rifiuto dell’imperfezione e l’adorazione dell’apparenza: “Dietro corpi sempre più palestrati si nasconde un io sempre più minimo, insicuro, fragile, poco strutturato, poco critico, superficiale, come la superficie dello specchio con cui si identifica” (A.G.A. Naccari ‘Pedagogia della corporeità’). La conoscenza di sé e l’autodeterminazione sono goffamente associate alla forma fisica esibita.

Ma, se ben ricordo la storia, Frankenstein, alla fine, si rivolta contro il suo creatore. Forse, un giorno, il nostro corpo ci chiederà indietro l’integrità e la dignità che abbiamo barattato per un filtro, per uno sguardo di approvazione da uno sconosciuto.

 

1.  Tra le conseguenze più evidenti, sul piano della patologia psichica, si può notare un aumento dei disturbi legati a manifestazioni somatiche: disturbi dell’alimentazione, comportamenti dismorfofobici, tendenze marcatamente narcisistiche, depersonalizzazione somatopsichica, preoccupazione ipocondriaca ecc.” (A.G.A. Naccari ‘Persona e Movimento. Per una pedagogia dell’incarnazione’

 

2. Secondo il sociologo francese Pierre Bourdieu (1930 – 2002), ciò che ci piace non è un fattore né casuale né dettato principalmente da un gusto / scelta personale, quanto piuttosto è socialmente determinato. O, come ci ricorda Coco Chanel (1883 – 1971), una che di moda se ne intendeva (!!): "La moda riflette sempre i tempi in cui vive, anche se, quando i tempi sono banali, preferiamo dimenticarlo."

 

3. Per le storture e le nefandezze di quanto propone il fitness in palestra, vedasi la pagina Instagram di Raffaele Agus: movimentoprimal. 

 







Mercoledì 20

Teatro, Pinocchio, Arti Marziali,

ovvero l’elogio dell’ambiguità.

 

Giornata piovosa in questi giorni di vacanze venete. Ne approfittiamo, Monica ed io, per una visita al Teatro Olimpico di Vicenza.

Stupendo, mi siedo meravigliato a lasciarmi sopraffare da tanto incanto. E il pensiero immediatamente va all’arte dell’inganno perché questa opera è un monumento all’inganno visivo: La sua scenografia prospettica, che simula una profondità infinita su un palcoscenico finito, è la celebrazione dell’illusione; le colonne e le statue non sono affatto pesanti realtà marmoree ma legno (abete rosso del Friuli) interamente ricoperto di stucco dipinto per simulare il marmo.

Qui sfacciatamente compare il teatro come luogo dove ciò che appare si rimescola con ciò che è; dove la finzione si stempera in verità emotiva; dove lo stupore origina dall’ambiguità. Qui l’ambiguità è architettonica e percettiva insieme.

Ripenso a “Pinocchio: Un libro parallelo”, di Giorgio Manganelli. In esso, lo scambiarsi tra realtà e apparenza è il il fondamento, riscrivendo il classico di Collodi non come semplice fiaba ma come viaggio iniziatico. Pinocchio diviene simbolo dell’identità fluida, della metamorfosi continua. Manganelli lo trasforma in specchio dell’umano, dove ogni affermazione porta con sé il dubbio della negazione, ogni fandonia cela una verità sottesa, dove il lettore è costretto a rivedere continuamente il proprio giudizio. Nulla è come sembra, e ogni personaggio è una soglia tra il reale e il fantastico. Come nel Teatro Olimpico, anche qui l’illusione è momento di rivelazione.





 

Non sono forse così le Arti Marziali?

 

Apparentemente distanti dal teatro e dalla letteratura, ma in realtà profondamente affini. Un praticante esperto sa che il movimento più efficace è spesso quello che inganna: L’elusione, il vuoto che diventa pieno, la quiete che nasconde l’esplosione, il cedere che è guadagnare spazio e tempo per premere e travolgere. Tutto è ambiguità, è semina di dubbi. Le Arti Marziali non sono affatto tecnica, ma filosofia incarnata. Come il Teatro (quello Olimpico di Vicenza nella sua materialità, ma il teatro tutto, ogni teatro, nella sua funzione) e come il Pinocchio manganelliano, esse giocano sul confine labile tra ciò che appare e ciò che è, tra ciò che si presenta immobile e ciò che è movimento repentino, tra quella che si mostra ottusa lentezza ed invece è profonda penetrazione al cuore. Quando l’opponente crolla non per maggiore prestanza fisica subita, ma per intelligenza del movimento subito, si rivela il fascino sottile e perverso, ambiguo, dell’arte marziale. Qui, il corpo diventa narrazione, il gesto diventa stupore.





 

Un filo invisibile

 

Cosa unisce questi tre mondi? L’arte dell’ambiguità. Il potere di indurre stupore volgendo la chiarezza in mistero. Il Teatro Olimpico ci insegna che la prospettiva può essere più vera della realtà, che l’ardita piramide di pesi pesanti è precaria come un castello di carta; ‘Pinocchio: Un libro parallelo’ ci rivela che l’identità, ogni identità, è una storia in perenne riscrittura. Le Arti Marziali ci ammoniscono che la difesa della propria incolumità risiede nell’equilibrio tra patente e latente.

In anni che anelano a risposte nette, a diffondere verità assolute, ad emettere sentenze e giudizi perentori su tutto e tutti, questi tre mondi ci invitano a sostare nell’incertezza. A vivere il dubbio come possibilità creativa. A lasciarci incantare da ciò che forse non è così importante spiegare, ma solo vivere.

L’ambiguità in queste opere non è confusione, ma pienezza di significati. È ciò che ci costringe a guardare due e più volte, a dubitare, a meravigliarci.  


Teatro, Pinocchio, le Arti Marziali, sono tutte forme di verità mascherata, dove lo stupore nasce proprio dal fatto che nulla è mai solo ciò che sembra.

Ennesimo invito al motto rinascimentale “penna e spada”, al nipponico “Bun Bu Ryodo”, al vivere appieno dentro le diverse forme artistiche che abitano il mondo, che abitano noi. Per crescere.