giovedì 22 maggio 2025

Oltre la tecnica: Segreti e principi nascosti delle Arti Marziali

 Le Arti Marziali sono spesso associate alla forza, alla tecnica e alla disciplina. Tuttavia, al di là della precisione dei movimenti e della potenza dei colpi, o meglio, sotto l’evidenza di potenza e precisione, esiste un mondo più sottile e meno conosciuto, fatto di gestualità interne e principi invisibili che trasformano un combattente in un autentico artista marziale.

Durante l’incontro settimanale del Martedì, il giorno 20 Maggio, ho voluto esplorare alcuni di questi aspetti fondamentali ma spesso trascurati. Sono questi elementi, più che la mera esecuzione di tecniche, a contribuire (insieme ad altri) al cuore pulsante di una pratica marziale consapevole e profonda.

In questo articolo, ti porterò oltre la tecnica, alla scoperta di quei tesori

spesso occultati che fanno la differenza.

L’apertura dell’incontro si avvale, al solito, di esercizi e movimenti che, a differenza del “riscaldamento” in uso nei Dojo e nelle palestre che è limitato ad una ginnastica più o meno capace di “riscaldare” la temperatura corporea, apre invece ad una graduale modificazione dello stato di coscienza, una leggera trance. L’attività mentale a carattere logico – deduttivo scivola sullo sfondo, mentre si affacciano in primo piano l’esperienza senso – motoria, l’attitudine immaginativa e la disponibilità alla partecipazione emozionale.

Altrimenti è solo ginnastica meccanica, non certo pratica di corpo consapevole, tantomeno Arte Marziale!!




  • Oggi, vi inserisco una piccola sequenza di gesti che stimolano il punto rene 27, qui coinvolto nella sua funzione di facilitatore della discesa dell'energia e apertura alla capacità di prendere decisioni. Come sempre, introduco anche una breve spiegazione per chi sia poco interessato alla Medicina Tradizionale Cinese. In questo caso, la sequenza opera una mobilizzazione dello sterno, attivando quei muscoli (1) sopiti che non sappiamo più utilizzare (quanti sanno muovere lo sterno (e solo lo sterno, non le spalle!!) in ogni direzione? Con esso, investiamo anche la muscolatura dorsale (2) che ottunde l’elasticità delle scapole: Eppure sono le scapole che, prime, portano (o dovrebbero portare) le braccia nello spazio!! Ah. L’importanza di gestire i micromovimenti, solo così capaci di coadiuvare e non frenare i macromovimenti.

Sequenza eseguita spalancando al massimo la bocca e forzando la lingua in fuori.

La bocca è organo espressivo centrale del linguaggio corporeo, indica lo stato emotivo dell’individuo. Spalancare oltremodo la bocca consente di espellere tutte le emozioni represse, le cose non dette; distrugge il limite imposto del non urlare, non alzare la voce; mostra una piccola parte di sé, sempre tenuta nascosta, come possibilità di mostrare parti ancor più grandi, fino a mostrare, senza maschere e difese, il sé. Attiva muscoli facciali anche questi usati poco e con range limitati. Nel “Chi Kung Spontaneo” la pratica dell’animale Tigre contempla lavori a bocca spalancata: le fauci della Tigre (3)

La lingua, che nella MTC ospita i diversi organi interni, una volta cacciata fuori con veemenza, assolve anch’essa al compito di espellere e contemporaneamente mostrarsi. Utilizzata quasi esclusivamente per masticazione e deglutizione e articolazione dei suoni, per assaporare e incorporare la realtà, dando corpo alle idee, come avviene nel linguaggio, qui stravolge le convenzioni (guai a tirare fuori la lingua!!) introducendo il praticante “all’attitudine immaginativa e alla disponibilità alla partecipazione emozionale”, fondamentali per un riscaldamento che sia autentica apertura ad una pratica artistica, una pratica marziale.



  • Proseguo nel percorso ed affronto, affinandola, quella che per alcune scuole di pratica e pensiero è la sostanziale differenza tra Tai Chi Chuan stile Chen e Tai Chi Chuan stile Yang.

Il primo procede dal basso verso l’alto. Il corpo cede sul terreno, da esso le articolazioni si mettono in modo a risalire lungo il corpo fino alle estremità. Praticamente un processo di spinta,

Il secondo procede dall’alto verso il basso. La testa avvia un movimento circolare che attiva, a scendere, le articolazioni. Praticamente un processo di trazione.

Testiamo, poi, quanto sopra praticando una piccola parte della forma Tai Chi Chuan una volta in modalità Chen e l’altra in modalità Yang.

 



  • Arriva il momento di affrontare il “flusso”: Il flusso si riferisce alla qualità della dinamica del movimento, al modo in cui l'energia si manifesta in un movimento.  Il flusso, quindi, fornisce una classificazione delle diverse qualità dinamiche del movimento, consentendo di analizzare e definire il modo in cui l'energia si muove e si trasforma durante il movimento.

Il flusso può essere libero, che è cedevole, fluente, appassionato, semplice, oppure contenuto, che è attento, cauto, controllato, moderato.

Il fattore di movimento flusso è associato alla facoltà umana di partecipazione con precisione o, detto altrimenti, progressione. La capacità di accordarsi al processo di realizzazione, cioè di relazionarsi all’azione. Si può controllare e vincolare il flusso naturale di questo processo o lasciare che scorra libero e senza ostacoli. (4)

L’interazione consapevole di questi due modi, contribuisce a creare movenze davvero fluide, tanto aggraziate quanto, all’occorrenza, esplosive. Ogni praticante, nel corso del cammino marziale, costruirà un amalgama del tutto personale in grado di connotare il suo personale “stile” di movimento. Per farlo, però, ne occorre la consapevolezza.

Studiamo il flusso prima con movimenti indotti dal quotidiano, poi liberi, infine nella forma di Tai Chi Chuan.



  • Una caratteristica del Taiki Ken, ben visibile già dai filmati del Maestro Sawai, il fondatore, è come il corpo lanci e si muova in una direzione mentre gli arti vanno nella direzione opposta. Questo crea una forza notevole, che lenta è pastosa, rapida è esplosiva e dirompente. Si forma come un arco in tensione corpo / arti, una molla carica di energia. Caratteristica che, a mia esperienza, non vedo granché applicata altrove. Non sanno o non sono capaci? Boh?!

Ancora una volta testiamo quanto sopra nella forma di Tai Chi Chuan. Il difficile compare quando le braccia si muovono diacroniche: Lì occorre che il movimento nasca davvero dal corpo, consapevoli delle spirali interne e del procedere dell’onda cinetica.

 

Dopo una breve rivisitazione di Pen Lu Ji Han, i quattro cancelli base del Tai Chi Chuan, praticati prima in senso orario poi antiorario (e qui si aprirebbe una riflessione sulle transizioni circolari nello spazio (5), il loro senso emozionale, i richiami della Tradizione Sufi e delle danze di Gurdjieff, ma non voglio appesantire ulteriormente l’incontro. Sarà per una prossima volta), passiamo a testare quanto sopra nei

Maki. Maki, “avvolgere”, uno dei tanti giochi di contatto di mani che abitano il repertorio Spirito Ribelle. Quando l’opponente porta una percossa al volto o al busto, il ricevente, movimento spiraloide nei femori e onda nel corpo tutto, accoglie accompagnando come su un “binario morto” l’attacco in una direzione evasiva mentre il corpo si pone nella direzione opposta. Occorre non girarsi sui fianchi perché così si sarebbe esposti ad un successivo attacco e si perderebbe la linea centrale, questa sì fondamentale per reggere eventuali altri attacchi quanto per contrattaccare noi stessi.

E’ un lavoro corporeo sottile e profondo. Potrei, forse, aiutarne la comprensione entrando nel “serpente curioso” o “serpente sorpreso”, uno dei quattro insegnamenti base del Maestro Wang Xiang Zhai (il fondatore dello Yi Quan. Gli altri sono, magari chiamati con altri nomi a seconda delle Scuole, la gru, il drago, l’onda), ma preferisco soprassedere. Anche perché la pioggia, da ospite curioso, si è fatta arrogante e sfacciata.

Poco ancora, e chiudiamo l’incontro di questo Martedì, giorno 20 Maggio, qui ai giardini Marcello Candia in Milano.

Tra poco saremo in pizzeria a salutare Vanni e Matteo che partiranno alla scoperta della Tailandia e della Cambogia e che, io lo so in anteprima (i vantaggi di essere il Sensei!!), sarà anche l’occasione per loro di presentare le nuove maglie Spirito Ribelle, con il Mon rinnovato e non solo. Il percorso dentro il tesoro delle Arti Marziali continua.

Spirito Ribelle

uguali a nessuno.

1.     1. muscoli intercostali, sternocleidomastoideo, pettorali, diaframma e triangolare dello sterno

2.   2.   trapezio, romboide maggiore e minore, dentato anteriore ed elevatore della scapola

3.     3La pratica dell’ANIMA – Le Tigre sostiene ed aiuta chi abbia un carattere ed un atteggiamento dipendente, con paura del contatto e di essere aggressivo. Si porta la persona nel territorio della Tigre, che è difendersi attaccando, sviluppare prontezza e coraggio, costruire energia difensiva.

4.     4. Per saperne di più: R. Laban ‘L’Arte del Movimento’ o, meglio ancora, gli incontri del Lunedì che Micaela Sapienza tiene alla Fabbrica del Vapore, Milano

5.     5Nel cerchio sta l’idea che tutti i fenomeni del mondo siano compresi in un’unica sfera. Tutto è rotondo, la terra, le galassie, le stelle, i pianeti e tutto si muove in senso circolare. Eppure, nelle Arti Marziali, ancora c’è chi crede che i colpi abbaino una traiettoria in linea retta!! Il cerchio ha un suo riscontro nel buddismo: Il mandala, un motivo circolare che racchiude altri cerchi concentrici o una pianta quadrata di un tempio dedicato alla divinità. Così nel Taoismo il cerchio, figura geometrica che non ha inizio né fine. Nelle danze sufi, in particolare dei Dervisci, attraverso il respiro, il suono, il giro ininterrotto, il danzatore diventa un tutt’uno con l’esistenza, ricercando l’armonia e facendo cadere il proprio ego, nufs, fonte di disarmonia cosmica. E’ grazie alla Danzamovimentoterapia Espressivo Relazionale, che ho conosciuto e praticato le danze sufi.

 

 

 

 

mercoledì 14 maggio 2025

Vulnerabilità: La chiave del coraggio

 

Vulnerabilità, un tratto che ha accomunato, ed accomuna tutt’ora, diversi artisti di diverse arti. Capaci, questi, di fare della propria vulnerabilità arma per dare vita ad opere potenti, di valore. Musica, letteratura, pittura,  danza entrano senza remore nella pancia e nel cuore di chi ascolta, legge, guarda, svelandogli aree sconosciute o rifiutate di emozioni profonde, dandogli l’occasione per scoprirsi più consapevole, più connesso con l’altro da sé. Ma anche di scansare, se lo vuole, quanto sta scorgendo, quanto gli sale in superficie, evitando di accettarlo, di ingaggiare un confronto, uno scontro e rifugiandosi in quella che oggi si chiama confort zone: Il luogo dove fingere una pace fittizia e tremula tra i mille sé che lo compongono, tra le pulsioni e i desideri personali e gli obblighi e le convenzioni della società; di indossare una maschera. Ognuno può scegliere il suo.

Quanto sopra, per me, per noi Spirito Ribelle, è riferimento vivo e costante nella pratica marziale.

Vulnerabilità come fondamento fisicoemotivo, è il nostro motto. Vulnerabilità che è accettazione di un corpo fragile e caduco la cui forza va ricercata nella flessibilità e nella coordinazione rapida. Vulnerabilità che è pratica di tattiche e strategie (heio), di gesti, tecniche (waza) che si affidano prevalentemente all’assorbire (mukae te), al “non esserci” (chowa), all’ingresso calmo e consapevole dentro la chinesfera dell’avversario (sashi te). Vulnerabilità che è giochi di coppia e di gruppo in cui riconoscere l’altro come chi ci è compagno dentro la relazione e dentro la relazione siamo un noi, non più un io e te.

La relazione, la pratica carnale, corporea, della relazione è fondamentale (hon) nel nostro percorso marziale. Un percorso in cui imparare a tenere lontani i tre nemici più agguerriti: Narciso, la vanità, Titano, l’arroganza, Faust, la perfidia, la manipolazione. In cui comprendere che l’io vive sempre in una rete di relazioni, opera in un complesso e delicato ricamo che è la realtà perché MAI l’io è una monade. Dunque vulnerabilità come capacità di stupirsi scoprendo l’io svanire in una rete di nessi, in una narrazione universale chiamata realtà.



Vulnerabilità come ardire di mostrarsi per quello che si è. Mostrarsi impacciato, insicuro, timoroso, ma anche strafottente, sfacciato, ed essere pienamente disponibile a fare i conti con queste caratteristiche nel solco di una ruvida pratica Bujutsu come ingresso per entrare nella formazione etica Budo, che è crescita, Via. Occorre coraggio, coraggio guerriero per farlo, ed è questo coraggio a fare della vulnerabilità una forza.

Vulnerabilità come terreno fertile, terreno molle, che in quanto tale permette di accettare e comprendere quando si sta perdendo la strada, la direzione e dove invece andare per “attraversare il bosco”; di accettare e comprendere sia i propri tentennamenti e cadute evitando di giustificarsi quanto di giudicarsi, sia i suggerimenti e gli inviti dell’esperto, del “nato prima (il Sensei) e dei compagni più anziani che ti camminano accanto.

Vulnerabilità come sapersi offrire nudi, indifesi, agli altri perché questo lasciar cadere la “maschera” permette a chi ti sta accanto di avvicinarsi senza timori o pregiudizi, di vederti autentico, di avviare relazioni basate sulla fiducia e sulla comprensione reciproca.

Vulnerabilità come accettazione di non capire subito, di mettersi nella disposizione d’animo, tipicamente Tradizionale nella cultura asiatica, di passività di fronte alla complessità e al mistero dell’accadimento; come affidamento al senso ed all’intuito, meno apollinei e più dionisiaci, meno razionali (illuministi?) e più adepti della reverie in quanto spontanea disposizione ad immedesimarsi in modo empatico, persino simpatico.

Vulnerabilità come totale pratica fisicoemotiva di incontro e scontro, per un artista marziale vitale ed erotico.





“Le persone istruite comprendono la Via con il loro corpo;

ovunque ci sia il corpo, là vi è anche la Via”

(T. Cleary in ‘Meditazioni taoiste’)

 

 

 


 

sabato 10 maggio 2025

Il mio pensiero di Maggio

 

Praticare coltivando dubbi e incertezze. Lontano dalle certezze, dai dogmi imposti dallo stile, comodi, questi ultimi, per quei Maestri e Sifu che su questi dogmi costruiscono il loro successo personale rattoppando una personalità insicura, nutrendo il loro narcisismo e il loro … portafogli.

Praticare coltivando dubbi e incertezze è non sapere dove si sta posando i piedi. Il terreno è friabile, il sentiero si perde nella boscaglia e ricompare più in là incerto nei contorni, le prospettive traballano. Allora si avverte di stare in precario equilibrio nel “qui ed ora”. Sono sprazzi di ignoto tra le mani mentre il noto, quello che si sa, scivola via. Perdiamo il cielo sopra di noi e perdiamo pure la terra sotto i nostri piedi.

Questo è il mio, il nostro Spirito Ribelle, percorso marziale.

E’ un percorso debole, che non regala certezze, dunque percorribile da chi sa di essere un nano che si erge sulle spalle di giganti: Quei giganti che ci hanno preceduto, ricercatori coraggiosi a loro volta.

Dunque intrapreso da chi bussa all’umiltà propria dei saggi, non alla boria dei dotti; di chi sa di essere solo un Sensei, ”nato prima”, non un Maestro, “chi conosce una disciplina così bene da poterla insegnare agli altri”; di chi è stato sotto la tempesta senza cercare riparo altrove ed è sopravvissuto dunque testimone reale che chiunque ce la può fare; di chi sa che l’artista marziale, come l’antico Eros, è un mediatore, non un essere superiore, perfetto.

Parafrasando le parole del filosofo Giorgio Agamben, potrei scrivere che noi, Spirito Ribelle, siamo epigoni, nel senso letterale della parola, individui che si generano solo traendo da altri e mai sconfessando questo legame, vivendo in una ininterrotta, serena, epigenesi (1)

Per questo, sostengo e sosteniamo vulnerabilità e flessibilità, nella pratica corporea come nella teoria che ne viene partorita. Insieme, sostengo e sosteniamo la necessità di mettere in crisi, di indebolire, ogni pretesa assoluta di verità, accettando consapevolmente di abitare verità transitorie e certezze flebili. Convinto, in ciò, che questo sia l’autentico lascito delle Arti Marziali, il loro autentico e Tradizionale cuore.

 

1.         Teoria embriologica secondo la quale tutte le cellule di un embrione precoce hanno simili potenzialità morfogenetiche e si differenziano gradualmente nei successivi stadi dello sviluppo.

 

 

 

martedì 6 maggio 2025

L’abete e l’artista: Arti Marziali tra Natura, cemento e introspezione.

Pratico nella stanza vuota. Vuota che mio figlio Lupo è da mesi in Norvegia a studiare. Vuota dentro, vuota di lui e della sua presenza, ma piena dell’impatto emotivo che mi dà vedere stagliarsi davanti a me un enorme abete. Solo e maestoso, si erge tra le mura di un grigio edificio.

Pratico nella stanza vuota. Pratico di danze della Gru, Tsuru, e del Serpente, Hebi; di movenze lente e pastose a sfidare l’ottusa resistenza dell’aria; di percosse rapide e scoppiettanti; di “gentili mani assassine”, gli Yuri; di passi rapidi e felpati nell’esoterico cerchio del Pa Kwa /Hakkeshou, l’arte del continuo mutamento. Corpo e movimento a fondere il silenzio della stanza e la presenza vivace e naturale dell’albero. Solitaria presenza nella caotica metropoli.

E’ lui il Maestro silenzioso che traccia segni di forza e radicamento possente quanto di flessibilità ad accettare lo sferzare del vento, sono suoi i rami che narrano dello sforzo per staccarsi dal tronco alla ricerca di spazi nuovi, spazi inesplorati, mentre il grande tronco forse li trattiene o forse li accompagna.

Pratico nella stanza vuota, Pratico di Ritsu Zen, che è “abbracciare l’albero”, consapevole della mia miseria nell’impossibile tentativo di abbracciare quello di albero. Mi accontento di un sogno, di una reverie, mentre mi nutro di flessibilità, stabilità, crescita e rinnovamento continuo. Mi nutro di lui, della sua immagine che entra, forte e lieve, nel mio corpo, dentro i miei organi, a trascinare il mio respiro.

Combinazione immaginifica, ai limiti dell’extra sensoriale. Presenza surreale che non può non fare della mia piccola ed umana pratica di corpo e di conflitto un incerto sentiero di conoscenza.

Combinazione ad accendere l’intuizione che “chi” e “cosa” insegna, o meglio propone e si propone, è chi ti riporta all’essenziale e ti mostra le cose che contano davvero. Di costui si può, forse, essere allievo, persino continuatore.

Costui avvolge, presenza e pratica, la vita ed i suoi misteri negando i limiti del sistema e delle certezze, l’immutabilità dei dogmi.

Costui, per comprendere del vivere e del mondo, intreccia saperi ed esperienza e nulla gli importa di conoscenze confezionate o di corsi di insegnamento.

A un “chi” o “cosa” di tale spessore chiediamo di prenderci per mano ed accompagnarci nel fitto del bosco che è cuore di noi e del nostro stare al mondo, di aiutarci a comprendere che siamo e dove siamo, di indicarci il sentiero per scoprire l’essenziale, o almeno per provarci, nell’eterna danza tra libertà e destino.

Nell’altalena tra Tradizione e rinnovamento, tra convulsa cementificazione e Natura che sta e resiste, tra il brutale Bujutsu e l’edificante Budo, si impara a comprendere il presente e a innervare una visione delle relazioni e del mondo capace di mettere le mani dentro quel che resta e quel che se ne va, quel che muta e quel che, dal passato, ritorna.

Spirale profonda che transita attraverso il mio corpo e la presenza maestosa di un grande abete, attraverso la vitalità e l’erotismo di un appannato ed anziano artista marziale e di un indomito albero sempre verde.

 

“L’abete svetta,

silenzioso custode,

danza il vento lieve”

(Anonimo)

 

 




 

giovedì 1 maggio 2025

Metamorfosi e mistero. Il mondo di Leonor Fini


Palazzo Reale

Io sono Leonor Fini

Mattinata di sole, ancora pochi i turisti nei pressi del Duomo. Con Susy, da Bassano del Grappa in rapida trasferta a Milano, eccomi ad ammirare la mostra di questa artista intrigante, fuori dalle righe, in totale distonia con lo spirito dei tempi.

Una vita segnata, già dall’infanzia, da eventi traumatici: La separazione non pacifica dei genitori; la fuga a Trieste, dall’Argentina, della madre con lei al seguito; la ricerca disperata del padre per riaverla con sé, con tanto di intervento poliziesco; la madre che per anni la traveste da maschio per renderne più difficile l’identificazione; in ultimo, una malattia che la costringe per due mesi bendata e al buio.

Ce n’è abbastanza per vedere crescere una persona insicura e disturbata.

Una persona che si vede corpo mutevole e performativo, che dipinge spesso figure ibride, tra l’umano e l’animale, entrando a piene mani nel campo della metamorfosi e della trasformazione dell’identità, che trova nell’attività di costumista e scenografa per teatro e cinema la via per trattare il corpo come mezzo espressivo e narrativo.

La sua stessa vita fu una forma di espressione artistica. Si presentava alle feste ed agli appuntamenti con abiti eccentrici e di stampo teatrale, facendo della sua immagine una narrazione visiva. Narcisista ed egoica fino all’estremo, come dichiarava lei stessa, probabilmente copriva una insicurezza di fondo cercando sempre di stupire gli astanti, di farsi notare, di non essere racchiusa in nessuna definizione.

Leggo i pannelli che ne spiegano l’opera e trovo goffe le affermazioni di lei come capace di mettere in discussione il genere, l'identità, l'appartenenza, i modelli consolidati di famiglia, la mascolinità e la femminilità. Sorta di ultra femminista ante litteram.

La sua infanzia ci mostra i traumi, i “mostri”, le paure che l’hanno formata. Proprio quei pannelli che scrivono del suo rapporto con Freud e la psicoanalisi come fanno a non prendere in considerazione una lettura travagliata, sofferta, di chi cercava compagnia solo di uomini efebici, glabri, giovani e così distanti dalla figura di maschio adulto, di… padre? Di chi amava farsi ritrarre sempre in pose affettate, costruite, mai sincere, tanto che un suo caro amico le scriveva implorandola di lasciarsi vedere invece di nascondersi continuamente? Che, di suo pugno, scriveva quanto qui sotto:


 












Tant’è, questi sono anni di strampalata cultura woke, di asservimento ai capricci individualisti, di isterica attenzione ai diritti privati mentre crollano le difese di quelli collettivi e sociali, di crisi grave di ogni senso di collettività e comunità. Sono anni ben riassumibili nella battuta del comico Eros Brousson: “
Pazzesco che una volta si dovessero aspettare nove mesi per sapere se il figlio che si aspettava era maschio o femmina. Adesso devi aspettare venticinque anni e non è neanche detto, magati poi è un unicorno o una maniglia”. Sono anni di trito superomismo di massa fatto passare come fulgido coraggio di andare oltre i propri limiti. Sono anni in cui appare evidente che la più gran dote di cui un individuo possa attrezzarsi e di cui molti, troppi, mancano, è il totale disinteresse nell’assecondare il bisogno di gratificazione immediata del pubblico, quello reale e quello virtuale quanto mefistofelico dei social. Sono anni in cui il pensiero dominante arruola tutto e tutti sotto la bandiera del politicamente corretto, del soggettivismo come presupposto per una società di individui soli e alienati, dell’acquiescenza verso un Paese dominato da poteri forti e pensieri deboli.

Le opere della Fini, via da ogni giustificazione a posteriori, sono intense, spesso grevi. Mi suscitano emozioni profonde, rimandano a tormenti e oscuri spazi. Impossibile restare indifferenti.

La sua intera produzione, dipinti o costumi che siano, è un cammino nell’inconscio, un affacciarsi su mondi sospesi tra sogno e realtà. Le sue figure femminili, un misto di potenza minacciosa e rassicurante presenza, paiono uscire da un universo parallelo, fatto di sensualità e insondabili misteri.

Il corpo è simbolo di trasformazione incerta, ambigua, immerso in un mondo privo di certezze. C’è un istrionismo evidente in tutte le sue opere, un aspetto drammatico come parte di chissà quale antico rituale sepolto nei secoli, di cui lei si presenta come sacerdotessa.

Sì, sono immagini le sue, ma trasmettono e coinvolgono stati d’animo, emozioni sotto pelle che mi interrogano su cosa sia la realtà oggi e quanto in essa giochi la mia presenza nel definirla; suggeriscono che in tutte le cose viva il loro contrario, che nella luce ci sia l’ombra e quanto la seconda ci appartenga.

Mostra bellissima, ricca di opere.













Chissà se coloro che si occupano di corpo e movimento, in particolare di corpo e movimento nel conflitto, nel “marziale”, vanno a confrontarsi con altre manifestazioni artistiche, si arricchiscono del rapporto “artistico” anche fuori del loro “orto” traendone momenti di riflessione sul loro fare di corpo. Anche se ne dubito, per quanto posso sapere direttamente da loro o leggendo le loro esternazioni in rete.

Mi auguro, però, che i praticanti Spirito Ribelle non siano altrettanto chiusi nel loro “orto”. Che esplorino il mondo tutto dell’arte. Che, mio parere sincero, non si lascino sfuggire la mostra di Leonor Fini.

Io sono Leonor Fini

Palazzo Reale. Milano

dal 26.02.2025 al 22.06.2025