In un angolo di verde cittadino, dove le voci dei bimbi che giocano si incontrano e si sovrappongono tra di loro, dove il rumore delle auto che transitano accanto geme sullo sfondo, alcune figure scivolano tra balzi e strappi.
Non sono giovani aitanti, ma custodi di una saggezza che il
tempo scolpisce nei gesti. Indossano maglie grigie e pantaloni color porpora,
sorta di moderni monaci a caccia dell’equilibrio.
Stringono in mano una fune viola, non arma, ma ponte,
dialogo tra forza e controllo, tra strappo e dolcezza.
Ogni movimento è un dialogo, la fune verbo, la tensione del
corpo è frase.
Uno guida e detta i tempi, l’altro accompagna, quando
riesce. Entrambi imparano.
Non vi è competizione, solo ascolto. Linguaggio antico,
forse vetusto, quello delle Arti Marziali che dice di rispetto, di ‘qui ed
ora’, di radicamento nella Terra e allineamento verso il Cielo, di apertura a
ciò che accade all’improvviso, senza preavviso alcuno.
Ogni resistenza, ogni inciampo, ogni movimento goffo, non è
un ostacolo, ma è lui stesso il Maestro. In quel gesto vive la metafora della
formazione: Non opporti tentando di vincere la forza, ma cerca di
comprenderla, di danzare con essa.
Queste immagini non testimoniano di un semplice
riscaldamento. Sono un invito. Sono un’apertura dentro uno spazio sacro, un Dojo
moderno ancorché privo di pareti e soffitto, dove il corpo si risveglia
e va a caccia. La lezione, ogni Martedì qui ai giardini Marcello Candia in
Milano, sarà ben poco tecnica, ma un viaggio. Un incontro con se stessi
attraverso passione botte e sorrisi, e la bellezza di gesti finalmente
consapevoli.
“Inizia così la nostra pratica marziale, con il respiro della Terra sotto i piedi e il silenzio del Cielo sopra la testa. Che ogni movimento, ogni gesto, sia poesia, ogni sforzo,ogni tentativo bene o male riuscito, laica preghiera”
(anonimo)
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