lunedì 27 giugno 2016

Contatto


Il mio, il nostro
Libro
 

La copertina
A volte pare sia accaduto qui, quello che ho voluto raccontare, mentre le Ombre scorrono a danzare verità contrastanti.
Una voglia forte di esistere, così diverso, estraneo, da un mondo guastato dal business, dalla faciloneria, dalle mani sgraziate di maghi da baraccone e soldatini di battaglie mai combattute.
Sfoglio il libro, che traccia su carta quel che è accaduto, che io fatto accadere, che decine e decine di uomini e donne accanto a me hanno fatto accadere.
Socchiudo gli occhi, una stella esplode lacerando il cielo notturno. E’ solo l’inizio di una dramma che è anche favola, forse leggenda.
Quarant’anni di pratica marziale che è stata diversa di incontro in incontro, da una salita ad una discesa, fino alla salita successiva.

Tutto, e cos’altro? è accaduto qui, allo Z.N.K.R., nel praticare Arti Marziali.
Mi sembra ieri che sembrava un gioco per “duri”, un fare per sentirsi più forti, un rincorrere Arti, stili e gradi. Erano invece gli anni ’70, ’80 e ’90.
Questa, lo scrivo netto, non è stata, non è, una storia facile, perché si è lasciata alla spalle difese infantili e intellettuali bugie.
Perché ha affrontato a viso aperto la storia di ognuno, per prima la mia.
Perché si è rifiutata di sostituire uno sbaglio con un inganno, preferendo affondare le mani nel buio, nello sporco, nel socialmente mal visto, per fare dello sbaglio una risorsa, un’arma che offende, lacera, fino a denudare la verità di ognuno.

Da qui, ed erano gli inizi del ‘2000, il tempo ed i pugni, le serate in Dojo e gli incontri, hanno preso a rivelarsi per emozioni, per spaccature crudeli del cuore. E nessuno, se lo ha voluto, ha più potuto nascondersi e mentire, confondere fragile coraggio con prepotente vigliaccheria.

Siamo stati e siamo tutt’ora una Scuola, una comunità, un clan, un percorso di individuazione, di crescita, di trasformazione adulta.
Siamo artisti del confliggere che, delle Arti Marziali, dello scontro fisicoemotivo, della sensibilità motoria, fanno luogo e linfa di vitalità, di sano erotismo, di abbraccio del buon vivere.
Ci siamo mostrati un poco speciali, anche se a volte ha fatto male.
Ci mostriamo un poco, ma anche tanto, speciali perché impariamo ad affrontarci e ad affrontare, a ingaggiare il mondo tutto che sta dentro ognuno di noi e quello che sta fuori ognuno di noi.

Così nasce questo libro, teoria di una prassi vissuta, masticata, inghiottita; un cibo, un pranzo, che continua e continuerà ancora negli anni a venire; un nutrimento per uomini e donne alla ricerca di sé e di un senso al vivere.

Le nostre Arti Marziali che io presento a tutti.
A Michela Parmeggiani, amica e mentore, con un vivace passato marziale alle spalle ed un presente di psicoterapeuta e didatta, una breve prefazione che bene centra il cuore del nostre essere, del nostro fare.
Spillare vino, come spillare vita ...
A me, tutto il resto.
A voi, se lo vorrete, la lettura.

Un grazie particolare ad Angelica e Gilda, che il libro hanno vestito e messo “in rete”.

 
In attesa di acquistarlo direttamente su Lulu.com. potete prenotarlo contattando me direttamente.

 
Contatto

Praticare le Arti Marziali Asiatiche come terapia e percorso formativo di individuazione,
trasformazione e crescita

 






 

venerdì 17 giugno 2016

Il canto di ognuno


36° Gasshuku -  stage estivo
Giugno 2016
Agriturismo UNA. Monteprandone (AP)

 

Il mio canto di vita si è affievolito, forse, nel tempo.
O, semplicemente, ha mutato i toni, ammantandosi di una pervicace melanconia.
C’è stato un tempo lontano in cui a chi mi chiedeva “Quando vai in ferie?’” rispondevo “Io sono sempre in ferie, è la mia vita che è ‘ferie’ continua”. Testa alta, sfrontata, occhi già induriti ma pur sempre luminosi, con un mostro dentro che non volevo riconoscere e il cuore a scoppiare di irriverente vitalità.
E mi guardo, immerso nel sentimento affettuoso di allievi che sono anche amici, al nostro 36° Gasshuku, lo Stage Estivo della Scuola.

Danziamo Tai Chi Chuan, formando anelli e poi spirali; un corpo marziale denso e fluttuante, gesti sinuosi che si avvolgono e si srotolano senza sosta.
Nascondiamo le pieghe e gli angoli, perché il gesto, l’agire, scorra ora lento ora rapido, ma mai incagliato, mai spigoloso, sempre a fluire come un fiume dalla inarrestabile corrente.
Ispirarsi all’acqua, movimento mutevole; agli alberi, nel loro radicarsi dentro al suolo ed insieme estendersi verso l’alto.
Scopriamo, azione dopo azione, che tutto è compreso nel resto che sparisce, che è distanza e contatto. Ogni gesto “sbagliato” è un insegnamento, un ammonimento severo e paterno che nessuno è invincibile, che si torna vincenti solo attraversando l’arido e duro campo che è dei perdenti.
Una danza che senti dentro fino a spingerti a levarti in volo, certo che nessuno di noi sparirà mai senza aver lasciato un segno.

Sarà il Kenpo Taiki Ken a spargere voce sui gesti silenziosi. A scivolare guardinghi lungo le linee del triangolo o ad avvolgerci attorno ai semicerchi, falci nell’erba simili a spicchi di luna, che i nostri piedi disegnano rapidi.
Tutto ciò che nel Tai Chi Chuan è iniziato, si riversa nell’efficacia guerriera del Kenpo, masticato su pugni e bastoni, coltelli ed evitamenti. Nessuno fermo su quel che sembra, che mai è abbastanza, piuttosto tutti attenti, tutti predatori, che nessuna percossa conosce l’innocenza, nessun colpo può dirsi non colpevole.
Ora che il cemento e l’erba distesa si mostrano come fossero nebbia intagliata nel cielo, ora che nessuna impertinenza, nessun maramaldeggiare ci è consentito, ogni gesto ci appare semplice, persino fragile nella sua nuda essenza eppure … letale.

Ancor più quando è l’acciaio del katana, notte fonda alle spalle, a levarsi nell’aria, a falciare e sibilare ora a vuoto ora su stecche di bambù avvolte nella paglia intrisa d’acqua.

Poi, la mattina, il tempo offre sorrisi e volti tirati dalla fatica, attenzione guerriera catturata dentro ombre scure e luci tremule.
Mi ritrovo, canto di vita potente nella sua ritrosa malinconia, a danzare un secondo, un attimo solo. Un attimo per ripercorrere una vita, sessant’anni e più, la mia, e quarant’anni di Arti Marziali.
Davvero, può bastare un attimo, un secondo per scoprirsi innamorati, che il tuo mondo ora ti è sconosciuto e l’altro anche, o, forse, è solo diverso da prima, che sempre è diverso da prima.

Il cerchio del saluto, lo scurirsi ai fianchi della cintura di Francesco, gentile allievo del DAO. Le coccole a pranzo.

Il mio canto di vita, certo, non è più quello di una volta.
Ma lo canto con sentimento, riconoscente a chi mi sta accanto nella vita privata, a chi mi accompagna sulla Via che è del Guerriero.
Il 36° Gashuku, lo stage estivo della Scuola, volge al termine. Si chiudono le danze guerriere, la lotta, i pugni. Continua, nel cuore di ognuno, il proprio canto di vita. Un po’ più forte, un po’ più libero, dopo questi due giorni insieme, Jitakyoei.








martedì 7 giugno 2016

Un pizzico e forse più, di buon senso in ogni pratica motoria



Kenpo armato. Maggio '16
Come avviene per ogni pratica artistica corporea, così anche la pratica marziale, intesa nel suo senso più profondo: efficacia lottatoria e crescita interiore, si basa essenzialmente sue tre aree intellettuali:

-       la psicofisiologia, ovvero l’impostazione anatomo – funzionale del corpo in azione, la senso – motricità;

-       l’impostazione filosofica, la cosmogonia, che coniuga compresenza del tutto di stampo taoista (Wu Wei, non forzare !!) e fenomenologia della pratica corporea i cui referenti culturali più evidenti sono Merleau Ponty  (“Corpo: mezzo con cui ciascun uomo fa esistere per se stesso lo spazio circostante e riesce a conoscerlo e spiegarlo grazie all’affettività, ovvero alle reazioni emozionali che scaturiscono dagli stimoli dei sensi”; “Riflettere autenticamente significa darsi a se stesso, non come una soggettività oziosa e recondita, ma come ciò che si identifica con la mia presenza al mondo e agli altri come io la realizzo adesso.”) e Levinas;


Pranzo offerto dai neo Dan. Marzo '15
-       la simbolizzazione corporea, ovvero l’idea del corpo come conduttore di segni, di metafore dove l’organo fisico – matrice di segni rimanda a realtà psico-fisiologiche di vario ordine.

Queste sono evidenziate da una prassi mirata e consapevole che, nel lavoro con il compagno e nel gruppo, fa del “corpo proprio” un ponte per il recupero del rapporto con l’altro: che sia l’ovvio altro da me come, il meno ovvio e scontato, altro di me.


Rinfresco offerto dai neo  Kyu. Ottobre '15
E’, la nostra, una prassi che rifiuta la “ginnastica dell’obbedienza”, il meccanico ripetere, la strumentalizzazione del corpo come oggetto di lavoro: Palestre e pratiche di fitness, tapis rulant, spinning, crunch, lezioni di aerobica, vasche su vasche a nuotare avanti ed indietro, ma anche ossessive ripetizioni di tecniche, stili e modelli da copiare pedissequamente, ignoranti scazzottate a mò di sfogatoio, ecc. bye bye !!
Essa, invece, come ho scritto più volte, è vicina alla medicina olistica, al sapere medico cinese antico, quanto lontana dal “corpo macchina” inteso come assemblaggio di parti, in cui il danno consiste nel cattivo andamento di parti non auto – adattive.
Così essa interpreta il vivente come “organo omeostatico” (Il corpo matrice di segni. di S. Guerra Lisi & G. Stefani), in cui tutte le componenti hanno un nesso organico e funzionale tra di loro e rispetto al tutto. Questo, ovvero ogni componente è metafora e metonimia del tutto, comporta, da parte dell’individuo, la concreta assunzione di responsabilità: non afferma “mi si contraggono le spalle”, ma “io sono contratto di spalle”, e a chiedersi cosa questo significhi …

Tale disponibilità, questa apertura a sé, si connota come un “vuoto fertile”, per usare un termine caro alla Gestalt, in cui vivano la dialettica pieno / vuoto, intendendo il secondo come vulnerabilità e disponibilità allo scambio, al mutamento.
Dal punto di vista strettamente corporeo, essere vuoti, aperti, investe le aree tonico e posturali. Anche la neurofisiologia ci parla di sensorialità e motricità non distinguibili tra di loro.

Se la tonicità del muscolo, come noi crediamo, sta nella sua capacità di farsi stirare, parliamo di disponibilità. Tutto il contrario dell’ispessimento, dell’ipertrofia. Della creazione di una massa, di un’ostruzione al confronto, all’apertura, al contatto.


Residenziale Kenshindo. Luglio '15
La presenza attenta e sensibile a sé alla propria esperienza corporea, struttura questa disponibilità, questa apertura. Ancora una volta, con i classici testi taoisti, interviene la neurofisiologia a parlarci di “una struttura di regolazione centrale comune” (Se la cura è una danza. di V. Bellia),  una formazione reticolare, ovvero un complesso di cellule  nervose immerse in un folto intreccio di fibre nervose che le collegano sia tra di loro che con le vie nervose  ascendenti e discendenti, atta a interpretare l’integrazione sensoriale.
Ecco perché abbiamo più volte scritto di emos-azioni. Che tono, presenza di sé e sensorialità costituiscono un unico ceppo.

Se la funzione tonica interviene così nel nostro agire, sappiamo anche che essa esiste anche come tono organico, neuronale, financo psico-emozionale: “La funzione tonica rinvia allora a uno stato di attivazione globale, di tensione interna, che rappresenta in un certo modo la necessaria risposta alla pressione ambientale” (Se la cura è una danza. di V. Bellia).
Ecco perché quanto sopra è fondamentale (hon) per affrontare uno scontro, un combattimento, in pedana quanto, dal Jutsu ( la pratica del combattimento) al Do ( la Via, la personale ed autodiretta scelta di chi essere e come vivere), per stare nei conflitti quotidiani, quelli affettivi, familiari, lavorativi, ecc.

Rinfresco per il mio compleanno. Novembre '15
Saper stare nei conflitti, saper gestire il confliggere, si può e meglio grazie ad un buon equilibrio della pressione interna globale del corpo. Essa è chiara e coraggiosa affermazione di voler essere presenti sul palcoscenico quotidiano. Un essere vivente non è solo tale, è anche deciso a restarci !!

E qui, potremmo aprire un capitolo su cosa sia realmente la difesa personale.
Ma ….. sarà per un’altra volta !!






lunedì 30 maggio 2016

La danza e la mano


La “Notte del Guerriero”
Otto ore di formazione marziale “non stop”
dalla mezzanotte alle otto del mattino
28 e 29 Maggio 2016

 

 Fa impressione, e che impressione !!, una tavolata affollata di trenta persone. Tutte, in un modo o nell’altro, qui per condividere una collana di perle che si inanella giorno dopo giorno da quasi quarant’anni; per sgranare, pietra dopo pietra che per ognuno ha i suoi colori: l’azzurro del cielo ed il blu del mare, il verde chiaro dell’erba tenera e il verde scuro dei prati in ombra, lentamente, tra le mani, un affetto, un’emozione, una paura, un sorriso.

Il percorso guerriero, che si snoda dal buio oscuro della notte per scoprire il rosso dell’alba, è l'emozione di attimi imprevisti, è l’erotismo vitale del tempo annusato, mangiato, digerito, poi lasciato andare. Il vero pericolo è stare rinchiusi, è tapparsi le orecchie e il naso, è erigere un muro là dove il vento non contempla sosta alcuna né alcuno ostacolo a fermarlo.

Scendiamo, ventitre guerrieri, nello spiazzo, stelle e luna strizzate da nuvole capricciose, chi a danzare Tai Chi Chuan, chi a giocare di insiemi che si incontrano e mutano ad ogni alzarsi di voce.
Direzione ignota, non prevede sosta; solo un procedere lento di corpi e respiri che affondano nel ventre, nel centro di ogni mistero.  
Una forte e speziata armonia di passato e presente, ricordando le strade fatte e liberi, curiosi, di prendere nuove direzioni.
Figure sfumate, contorni incerti nella testa di ognuno. Scoperte che inondano ventre e bacino. Le mani danzano e forse è l’ambiente tutto che danza intorno a noi.
C'è un vuoto per ogni pieno, un pieno per ogni vuoto. Ogni favola mostra un lieto fine che sempre nasconde una storia cattiva, che, forse, tanto cattiva poi non è se ti fa balzare sulla sedia e scoprire allo specchio quel buio che ti dimora dentro.

Così, c'è una melodia che inizia ed una, la stessa? che finisce.
Finisce o magari si trasforma in un fiume in piena, dove l’amico che ti sta di fronte è tale solo se sa colpirti forte e duro.
E tu non chiedi perché, solo capisci che per imparare, per essere guerriero, hai anche da entrare nel territorio pugnace e letale del Kenpo Taiki Ken.
Se ribalti il mondo, lo specchio ti riflette, fino a frantumarsi in mille piccole schegge acuminate.
Ricomporle in un nuovo specchio, ricomporre un mondo che sia davvero il tuo, è danzare di acqua e di spirali, è scivolare sui lati del triangolo quanto tracciare rapidi balzi circolari sul terreno. Sono ondate di percosse che si susseguono senza sosta alcuna, sono trancianti colpi di bastone. E’ stare uno negli occhi dell’altro ad offendere, ingaggiando l’amico come fosse l’ultima tua chance.
Allora apprezzi il tuo essere artista, accettando il pauroso ed il coraggioso, il meschino e il generoso, accetti te.

E ti attende un’altra prova, un’altra terra da esplorare.
Ti attende il Wing Chun Boxing, a scoprire che ciò che oppone una figura lineare ad una tonda è che non tutti i punti della periferia sono equidistanti dal centro.
Scoperta che sa irrorare la tua creatività, esplosa nel Kenpo Taiki Ken, per cimentarsi con la spigolosa e dura strada di quest’antica arte cinese.
Due ore di scontri a distanza ravvicinata, di gomiti ed avambracci che si fanno lame e punte, di un fluire impetuoso, a tratti arrogante, che non lascia spazio.
Il vento freddo della notte strofina il volto come carta vetrata, ma la pratica intensa, micidiale, ne disarma la durezza; quasi non lo sentiamo, gomiti e cuore proteso in avanti, ancora in avanti ad abbattere e distruggere.

Ci accolgono altre due ore “marziali”, due ore ancora per costruire il proprio mondo interiore, dove è coraggioso e sincero guardare avanti e insieme aprirsi agli altri.
I più giovani e gli adulti che rifuggono la potenza dell’acciaio “lungo”, si cimentano in scontri e lotte a mani nude.
Per gli altri … KenshindoLa Via dello spirito della spada”.
Le prime la luci del mattino hanno più colori, noi spadaccini cerchiamo il silenzio in mezzo al vortice dei rumori.
Il katana stretto in mano, là dove il confine della tua pelle si mischia con la seta e la pelle di razza che ne avvolge l’impugnatura. Gli occhi socchiusi, in una lunga estasi che ci avviluppa e ci circonda.
Lampeggia l’acciaio temprato tra i colori incerti dell’alba, calano falciate letali.
A questo incrocio di scontro che non ha ritorno, di una lacerazione che non puoi più riparare, ti sorge il dubbio, ti chiedi dove si andrebbe con un passo in più, o un passo in meno.
Ma non c’è tempo per il dubbio. C’è solo la stuoia nuda davanti a te, gocce di acqua sporca a lambirne i fianchi, mentre il cielo rovescia in terra scrosci di acqua abbondante.
Tameshigiri, il taglio.
Puoi chiederti come faresti a vivere adesso solo, senza quel bagaglio di cose ed affetti e persone che ti stanno accanto e qualcuna dentro. Oppure puoi chiederti chi sei davvero, veramente, con quel bagaglio di cose ed affetti e persone che ti stanno accanto e qualcuna dentro. Puoi immaginare di rinunciare ai sorrisi ed ai dolori spesi in una vita, oppure puoi immaginare come sei davvero, veramente, dentro a quei sorrisi ed ai quei dolori.
E la lama piomba sulla stuoia. In un attimo tu sai. Forse è questo che tiene alcuni e molti lontano da Kenshindo, che alcuni e molti ha fatto scappare da Kenshindo: Che tu sai.

In cerchio, al saluto finale, le poche accorate mie parole ai compagni di questo viaggio nella notte, ai compagni di danza e di mano.
La consegna delle cinture agli allievi che cambiano di colore. Un grande applauso alla loro fatica, alla loro personale “Notte del Guerriero”, a quei giovani guerrieri ancora ragazzi che hanno affrontato il buio e l’incertezza e la stanchezza senza mai cedere di un millimetro. Ognuno di noi è potente !! Ora ne avete la prova, la vostra prova. Che sempre siate potenti, che sempre lo siate al servizio del bene, della comunità, del dialogo e del confronto, anche aspro, ma sempre sincero. Al servizio di Jitakyoei: “Tutti insieme per crescere e progredire”, sapendo anche scegliere e separare, quando lo riterrete necessario ed assumendovene la piena responsabilità.

C’è, poi, chi si lascia alle spalle gli studi che mostrano i colori per fasciarsi i fianchi col nero, kuro, che non muta per parlarci di magia e mistero, che in Giappone si contrappone e si confronta col bianco, shiro, il colore della luce. Come a dire da oggi, Giovanni, il tuo percorso si fa ancora più profondo, interno, che, appunto quel nero resterà tale, un nero carico di potere, se sarai capace di portarne il fardello.

Chi questo fardello ha mostrato di saper portare, tra errori, cadute, fughe vigliacche, ma sempre a testa alta, mai arrendendosi, rialzandosi ogni volta ed ogni volta pronto a donarsi, è Valerio, il Maestro Valerio, che mi onoro essere da decenni allievo fidato ed amico sincero. Il suo nero è lì, a dimostrarne il valore, come la sua incessante pratica marziale, solida, quotidiana. Il suo nero che da oggi, Domenica 29 Maggio, si accompagna al diploma di Quinto Dan.

Sporchi, sudati, siamo al tavolo della colazione. Che, come sempre, ogni avventura Z.N.K.R. si chiude a tavola; amicizia e sorrisi, pacche sulle spalle e commenti arguti, tra torte salate e dolci, formaggi e biscotti, creme di cioccolato e caffè.

Che sempre siate fieri del Vostro vivere !!

 

Un enorme grazie ad Elise, fotografa

 






lunedì 16 maggio 2016

Verso il viaggio della Notte: il cosa e come, quarta parte.


Kenshindo

 
L’acciaio snudato nel vento e nella notte, primi rossori di un’alba ormai prossima.
Kenshindo (*), la “Via dello spirito della spada”.

A volte mi chiedo se possa cambiare, alterare la sua forma per non farsi avvistare, o anche se possa avere tali allusioni sull’acciaio lampeggiante, da farsi invisibile alle mie ondate di furore e alle mie paure.
Come se il mondo, tutto quello che sono e che provo, potesse girare alla rovescia.
E’ questa l’autentica e misteriosa forza di un katana,

Attorno a noi, la Natura che non ha voce, ma un suo linguaggio sì. Abbiamo solo da ascoltarlo in silenzio, respiri profondi e passi a scivolare sul terreno. Respiri profondi in cui dare il tempo al naso di essere paziente, di scomporre gli odori.
La spada è generosa", penso, scende falciando più condiscendente dello sgretolarsi delle fortificazioni, più semplice di una cascata d’acqua. Davanti a me, ai miei piedi, sibilo evaso nell’aria.

Carbonio lavorato a multistrato,  kobuse kitae composto da uno strato esterno ad alto tenore di carbonio piegato, con al centro un cuore in acciaio morbido. Martellato ripetutamente e piegato più volte.
Acciaio bollente e poi improvvisamente raffreddato, opera forte e dura ed insieme sensibile.
Ma non importa impugnare un Nihonto, un katana autentico. Importa immergersi nello spirito del conflitto, del taglio che trancia e non lascia speranza alcuna. Allora ogni katana, ogni “riproduzione” di katana, fa allo scopo.


Proveremo a vuoto le diverse sequenze del Tameshigiri.
Falciate discendenti ed ascendenti, rapido guizzare di lama in direzioni opposte; fa parte del gioco, come un sorriso assassino fissato nel fotogramma di un film dell’orrore, come quando mi faccio di lato per non vedere lo scontro, e rimando ciò che è inevitabile.
Ma qui non si può più fare.
Le stuoie saranno allineate davanti ad ogni spadaccino. Lo guarderanno senza occhi, mentre il tanfo di paglia bagnata si dissolve nell’aria.
Ognuno avrà un suo pulsare di cuore, ognuno avrà un suo rantolo di pancia.
Sarà il Tameshigiri a chiudere la notte di ogni praticante Kenshindo.

Mentre agli altri, gli adulti che se ne tengono lontani, i ragazzi ed i bambini a cui la giovanissima età impone un passo diverso, più lieve, giocheranno di mani nude. Chissà, poi, forse, qualcuno, più avanti, avrà l’età o il coraggio di entrare nel mondo spietato, che non fa sconti di sorta, di Kenshindo.

 

 (*) Il primo approccio al katana fu con un Maestro giapponese di cui non ricordo il nome. Forse fu il Maestro Toyofuku, o forse il Maestro Myiazaki, allora i primi a portare lo Iaido in Italia.
Un incontro che non mi emozionò. Sicuramente ero troppo immaturo per capire senso e cuore dell’acciaio samurai.

Fu praticando Yoesikan Budo, con il Maestro Mochizuki Hiroo ed i suoi assistenti, in particolare, per la spada, il Maestro Fabrizio Tabella, che mi appassionai al tirar di spada. Anni in cui ebbi qualche rado approccio al Kendo (e molte chiacchiere marziali) con il Maestro Mario Bottoni, personaggio controverso ed inviso ai più ma che, per me, fu enorme e piacevole fonte di riflessione (così lo ricorda un amico, a poco dal suo decesso http://www.kendo.it/wordpress/?p=951). 

Praticando un’Arte moderna, ancorché basata su radici antiche, come lo Yoesikan Budo, mi fu facile invogliarmi ad entrare nel mondo “Tradizionale” di una Scuola antica come era il Katori Shinto Ryu. Docente la Maestra Luisa Raini, ero l’ultimo, più scarso e meno considerato allievo in mezzo a chi o già era famoso, come il Maestro Claudio Regoli, o lo sarebbe diventato di lì a qualche anno, come il Maestro Andrea Re. Ebbi l’opportunità di incontrare Maestri europei di quella Scuola e persino il leggendario Maestro Sugino Yoshio.

Furono gli anni di spada con il Maestro Yamazaki Ansai, i seminari con un altro grande (e ostico) delle Arti Marziali giapponesi come il Maestro Cesare Barioli, poi l’introduzione all’esoterica arte del Kashima Shin Ryu con il Maestro Francesco Dessi, preciso nello spiegarmi che quella era una versione adattata all’Aikido in quanto diffusa dal Maestro Inaba. Questi era fuoriuscito dal tempio di origine della Scuola, che non ammetteva la sua divulgazione a non giapponesi, e ne dava pertanto una sua personale interpretazione. Poi venne l’incontro con il Maestro Sabino Leone, già “commilitone” negli anni ’80 quando entrambi seguivamo il Maestro Tokitsu, che mi mostrò l’eccezionale e flessuosa Scuola del Maestro Kuroda Tetsuzan.

Poi… è venuto il Kenshindo: non uno stile né una Scuola, quanto piuttosto:
Kesnshindo non è “cosa”, realtà reificata. Kenshindo è arte della spada. Essa, come ogni espressione artistica, non mostra alcun prodotto oggettivo, è modo espressivo distante dal fatto e prossimo all’evento. Kenshindo abita il corpo del praticante ed è (esiste) solo nel continuo divenire del movimento. E’, come per la nostra pratica a mani nude, “emozioni in movimento”. E’ ridare all’individuo il senso del corpo come luogo delle nostre dipendenze e luogo della nostra potenza, come casa del mondo reale attraverso i sensi, come immagine di un mondo possibile attraverso l’agire.” (dall’omonimo opuscolo, che verrà integralmente ripreso nel mio libro di prossima pubblicazione “Contatto. Praticare le Arti Marziali Asiatiche come terapia e percorso formativo di individuazione, trasformazione e crescita”)

 

 

 L’appuntamento è per la notte tra Sabato 28
e Domenica 29 Maggio
La Notte del Guerriero
otto ore di formazione marziale “non stop”





 

martedì 10 maggio 2016

Verso il viaggio della Notte: il cosa e come, terza parte.


Wing Chun Boxing

 
Viaggio attraverso territori sconosciuti, viandante che come milioni di altri, a volte si trascina altre corre leggero per distese piane o dentro boschi oscuri, camminando su sentieri tracciati e sicuri.
Qualcuno, più d’uno, si ferma a riposare, fino a scordarsi il dove andare, fino a scordare quel richiamo profondo, par quasi primitivo, che attrae verso l’ignoto. E in quel luogo di agio e sosta si ferma, stanza di un riposo che sa di narcolettico, di esposizione muta allo scorrere che viaggia altrove.
Altri riprendono a camminare, riprendono quei sentieri tracciati e sicuri che li porteranno ad una fine certa, che certa sempre è per tutti la fine, quanto probabilmente avara di erotismo, di vitalità ribelle.

Per anni anch’io ho stentato a riconoscere quel richiamo, tutt’al più dedicandogli modeste ore d’aria srotolate da una prigione quotidiana, a volte erano decisioni importanti, altre scelte ed incontri tutti fuori dal coro, ma il sentiero calpestato era sempre quello tracciato e sicuro. Poche evasioni, poche penetrazioni là dove la boscaglia era più fitta, la luce negata da ombre minacciose.
Come molti, mi caricavo con tutto quello che mi davano e che prendevo con gioia, fiducioso di essere pronto ed adatto al camminare, sì fuori dalla panciuta e sonnolenta strada principale, ma pur sempre su sentieri tracciati e sicuri.

Poi, incrocio strano e pericoloso di angeli eterei a cantare su devastazioni mondane, di fuoco e fiamme che eruttavano da un mondo sotterraneo malevolo ma così seducente nella sua morbosa faccia del male, quei sentieri tracciati e sicuri li ho lasciati.
La chiamata al selvatico, al selvaggio, mi ha preso e portato con sé.
E, passo dopo passo, tra rovi acuminati e fiori scaldati dai mille colori che si rivelavano impestati, tra radici contorte e tenere farfalle che celavano un acre veleno, ho attraversato la terra del Wing Chun Boxing (*).

Istinto primordiale umano (e non solo umano…) di penetrazione irresistibile alla pura e semplice animalità da uno stato di artificiosa meccanica tecnica presunta.
L’aspetto istintivo primordiale riecheggia fino all’estremo, fino ad ogni momento della pratica, autentica primordialità della natura sulla cultura, come a dire dell’istinto sulle costruzioni stilistiche.

Pratica semplice e frugale, il Wing Chun Boxing richiama il modo in cui le persone “normali” reagiscono d’acchito, quando attaccate o semplicemente spaventate, riprende quale posizione e quale comportamento spontaneamente assumono per reazione. E, a partire da questa risposta semplice, la trasforma in gesti e azioni di attacco, lasciando scaturire un’azione efficace o una energica risposta difensiva.
Un “non stile”, in cui qualsiasi tattica, qualsiasi strategia si scelga di vivere dentro, distruggitrice di ogni prevaricazione, in un lampo, in una folgore, in uno schioccar di dita, si compie l’azione letale del praticante Wing Chun Boxing.

 

(*) Arrivò il momento in cui mi accorsi di avere tempo ed energie per arricchire il mio percorso marziale accostandomi ad un’altra Arte oltre a quanto già praticavo. Indeciso tra Thai Boxe e Wing Chun, scelsi il secondo. Un po’ perché già ce le davamo “di santa ragione” col Kenpo, un po’ per proseguire lo studio della sensibilità e della distanza “a contatto” già avviato con il Kenpo stesso e con il Tai Chi Chuan.
Fu un praticare intenso, tra Wing Tsun, American Wing Chun, Wing Chun di matrice Wong Shun Leung.
Furono le domeniche, una dopo l’altra, ad attraversare le campagne del pavese, col sole d’estate o con la spessa nebbia d’autunno, imparando da un docente sconosciuto ai più, Carmine Agostino, che sarebbe poi diventato uno dei primi graduati superiori della WTOI, praticando fianco a fianco con un allora altrettanto sconosciuto Maik Faraone. E i seminari e gli stage con i “capi” della WTOI, sifu Cuciuffo e Boztepe, praticando fianco a fianco con chi, poi, avrebbe preso altre strade portatrici di fama e notorietà, quali Alberto Riccardi (oggi rappresentante in Italia di Sifu Ip Chun), Franco Giannone (che prosegue autonomamente la sua ricerca a Novara, presso “Il Centro”), Dario Battaglia (creatore di un’organizzazione dedita allo studio e pratica del combattimento gladiatorio)
Furono i seminari più che intensi con Sifu Kenneth Anderson . Poi le trasferte a Tortona, da Sifu Regalzi e il suo Maestro, Nino Bernardo.
Fino a costruire, su queste esperienze, un mio personale modo di intendere il Wing Chun, che ne riprendesse le radici essenziali e guerriere; che non si lasciasse fagocitare da dogmi e modelli fissi, leggendo l’essere umano come soggetto ai processi di continua trasmissione comunicativa che avvengono nel campo delle relazioni conflittuali in cui è immerso.
Ovvero, il Wing Chun Boxing.

 

L’appuntamento è per la notte tra Sabato 28
e Domenica 29 Maggio
La Notte del Guerriero
otto ore di formazione marziale “non stop”

 



 

giovedì 5 maggio 2016

Verso il viaggio della Notte: il cosa e come, seconda parte.


Kenpo Taiki Ken

 
Sono i primi decenni del 1900, “Da un Maestro cinese stanco di forme stereotipe, di gesti inconcludenti, di imitazioni pedanti, prende vita un’arte eclettica ed irriverente, devastante nella pratica ed eretica nella teoria. Un Maestro giapponese, già affermato esperto di pratiche marziali nipponiche, dopo averne subito l’efficacia a suon di botte, la studia e poi reinterpreta accentuandone gli aspetti combattivi. Da lì, la diffusione in tutta Europa…”. Così scrivo, presentando il Kenpo Taiki Ken, nel mio libro di prossima pubblicazione “Contatto. Praticare le Arti Marziali Asiatiche come terapia e percorso formativo di individuazione, trasformazione e crescita”.

Ma, certamente, scrivere, narrare la storia è sempre un’operazione di parte, sovente “dalla parte” dei vincitori. (Se ben ricordo le parole del Maestro Tokitsu, questi, ad uno stage a Milano nel Marzo scorso, ne diede una versione diversa).
Possiamo correttamente scrivere che il Kenpo Taiki Ken è un crocevia, un meticciato di una molteplicità di stili ed apporti. Un meticciato in cui, dall’originaria miscela di Tai Chi Chuan, Pa Kwa, H’sing I, ognuno ha tratto l’espressione che preferiva, privilegiando l’una o l’altra corrente di “pugilato interno” (*). Fino all’introduzione, per ogni conduttore di gruppo, di Scuola, delle sue personali esperienze marziali.

D’altronde, è dall’esterno che veniamo connotati e denotati, individuati per somiglianze e differenze. Così come le differenze vengono rilevate anche rispetto a chi, nella Scuola, vi è stato in anni precedenti, attraverso le osservazioni degli allievi ed ex allievi anziani per i quali la pratica “non è più quella di una volta”.
Tutto ciò porta ad un Arte che, frutto di un ampio sincretismo, riunisce sotto lo stesso nome correnti e pratiche diverse e, a volte, in mutamento continuo.

Da noi, allo Z.N.K.R., consapevoli dei passaggi e delle correlazioni tra episodi motori, psicoemotivi, relazionali, siamo coraggiosamente portatori di un vivere che sappiamo non è poi così difficile se coltiviamo il potere di cambiare e un po’ rinascere, se riconosciamo l’animale che sta dentro di noi e lo staniamo, se l’acqua che sta in basso e il fuoco che si erge verso l’alto sanno convivere ed insieme agire.
Per ogni nemico che scopriamo dentro di noi, ciechi o vigliacchi per così tanto tempo non importa, praticare Kenpo Taiki Ken è fare del corpo fisicoemotivo il teatro, il campo di battaglia della soggettività, all’interno di un gruppo di altri guerrieri, che ne condividono e limano gli eccessi narcisistici.

Ecco davvero la formazione individuale che è, insieme, formazione di e nel gruppo, ecco l’imparare ad affermarsi nelle regole del gruppo.

Saranno i Neri ad esprimere emos-azioni incarnate. Sarà Hakkei a violare la tranquillità esponendo il potenziale perturbante ed eversivo di ognuno di noi. Sarà Tanshu, la danza del predatore, ad essere apoteosi della personale portata sensomotoria, dell’agire come promotore intuitivo, della cognizione cinestetica come fondatrice del processo immaginativo e rappresentativo.

Sarà un risvegliare il primitivo, il sotterraneo, per farne forza dolce e guida sensata lungo il nostro personale vivere.

Poiché nessun è solo, è isolato, poiché nel corpo di ognuno di noi vivono il suo personale mondo, l’ambiente in cui cresce, il padre e la madre che lo hanno generato, allora sarà una pratica che farà scoprire di sé anche attraverso gli altri compagni d’avventura, sul terreno del gioco guerriero, gioco di lotta, gioco di relazioni. Io e te insieme.

Allora sarà Kenpo Taiki Ken che “L’arte del pugno permette in primo luogo di rinforzare il potenziale di salute, in secondo luogo di controllare un eventuale aggressore, in terzo luogo apre lo spirito...infine permette, talvolta, di modificare il corso del destino( Sun Lutang ).

 

 

(*) I più noti Maestri giapponesi viventi di Kenpo TaiKi Ken, allievi diretti del Maestro Sawai ( il fondatore del Kenpo Taiki Ken), nella radice comune evidente, manifestano differenze sostanziali, basti guardare praticare Michio Shimada, Nishino Kozo, Isato Kubo, Akio Sawai. E questa è l’Arte !!

La mia formazione marziale, come chi mi accompagna già sa, inizia nel Febbraio del 1976 con il Karate Shotokan e prosegue praticando diverse Arti, diversi stili, diversi sport di combattimento, con diversi Maestri e allenatori.

Tra questi, l’incontro con il Maestro Tokitsu Kenji, in piena (e mai interrotta) fase di ricerca che, di passo in passo, mi introduce al Kenpo Taiki Ken. Con lui, anche il Maestro Yamazaki Ansai ed il suo allievo diretto Ludwig Bosh, che non disdegna di attraversare l’Europa per darmi lezioni private. Mi accosto anche alla versione che ne dà il Maestro Stefano Agostini ed il suo riferimento, il Maestro Sun Li. Questi è un cinese che insegna a Tokio nel Dojo che fu del Maestro Oyama, allenando i duri e potenti praticanti di Karate Kyokushinkai e, per un cinese, farsi apprezzare in terra Giap non è poco !!

Così, il mio attuale Kenpo Taiki Ken nasce da questo retroterra ampio e vigoroso, corroborato da tutte le esperienze che, in questi quarant’anni, ho selezionato e tutt’ora seleziono, come utili alla mia pratica ed al miglioramento degli allievi che mi accompagnano in questo percorso. Allora, vi si trovano, con il Tai Chi Chuan, ampie tracce di Yoseikan Budo e Kali filippino e, come potrebbe mancare!!, la versione che ne dà tutt’oggi il Maestro Tokitsu Kenji.

 

 

L’appuntamento è per la notte tra Sabato 28
e Domenica 29 Maggio
La Notte del Guerriero
otto ore di formazione marziale “non stop”